martedì 12 luglio 2011

Il trucco c'è; ma non si vede???


Ebbene sì, mi trovo costretto a scrivere un altro post sul presidente del Napoli, Aurelio McLaurentiis. Questo cazzaro istrione, imprenditorucolo di terza categoria ma furbacchione di altissimo rango, riesce continuamente a superarsi e spostare sempre più in là il limite della vergogna, come se fosse un record olimpionico.
L'episodio che mi ha spinto a dedicargli ancora una volta il mio tempo e la fatica delle mie dita che battono sulla tastiera (oneroso impegno per un arricchiunito della mia risma) è la presentazione congiunta del nuovo sponsor (o secondo sponsor, per essere più precisi) e del nuovo acquisto Gokhan Inler.
L'evento è stato organizzato a bordo di una delle navi proprio della MSC, la compagnia di navigazione che accosterà il suo marchio a quello pre-esistente dell'acqua Lete sulle maglie del Napoli nella stagione 2011-2012 (maglie peraltro graficamente oscene). In un'atmosfera da castello rinascimentale, visto che il vascello era gremito da una vera e propria corte di giornalai prezzolati dallo stesso McLaurentiis, l'imbonitore dai capelli untuosi e dall'anima viscida ha eseguito un conto alla rovescia, peraltro mal calcolato, al termine del quale è spuntato fuori un poveraccio che indossava una maglia del Napoli e una maschera da leone, nonostante la temperatura elevata. Istruito in ogni sua mossa dal canuto lestofante, il meschinello ha prima rivolto i pollici verso l'alto, in segno di "yeah, mi piace, mi piace fare la scimmietta ammaestrata davanti a questi quattro giornalai accattoni", poi ha puntato il dito come se esultasse per un gol, e infine si è tolto la ridicola e assurda maschera, svelando la sua identità: Gokhan Inler, il centrocampista che il Napoli probabilmente ha fatto finta di inseguire negli ultimi 3-4 mesi, mentre in realtà era già nostro. Dopo essersi asciugato il sudore che gli si era formato inevitabilmente sul volto, ha rilasciato alcune dichiarazioni generiche e di circostanza, prima di lasciare la parola ai giornalai per le domande. Anche stavolta McLaurentiis ha avuto parole polemiche per la Gazzetta dello Sport, che attraverso il suo inviato cercava di informarsi sulla permanenza o meno di Hamsik, Lavezzi e Cavani. Dimostrandosi maleducato, oltre che parsimonioso e tessitore di inganni, ha dato del rompicoglioni a una persona che faceva semplicemente il suo lavoro, e ha ribadito di non voler vendere.
Eppure, checché ne dicano il cine-lestofante e i giornalai che tiene al guinzaglio, il problema esiste. Se un giocatore come Hamsik, titolare inamovibile, ben inserito nel gioco della squadra e amato dai tifosi, fa intravedere la possibilità di una sua partenza, le parole del giornalista Gianluca Monti non sono una semplice rottura di coglioni. Del resto il buon Marekiaro ha espresso il suo pensiero senza ambiguità: ha voglia di vincere. Probabilmente anche un ritocchino all'ingaggio sarebbe gradito, ma l'oggetto del contendere qui è la dimensione che McLaurentiis vuole dare a questa società e a questa squadra, e di conseguenza le sue chance di vincere qualcosa. Analizziamo il mercato in entrata del Napoli finora: Donadel, Dzemaili, Rosati e Inler: nessuno di questi è costato cifre stratosferiche, e nessuno dovrebbe avere un ingaggio superiore ai 2 milioni l'anno (anche se non sono ancora ben chiari i termini del contratto del turco-svizzero). Inoltre, sussiste l'assurda pretesa della rinuncia ai diritti d'immagine, con Inler che avrebbe acconsentito a dividerli con la società. Qual è il messaggio implicito che manda il club ai giocatori di grande livello, compresi quelli che ha la fortuna immeritata di avere in rosa? Quando le squadre che vincono, in Europa come anche in Italia, sono praticamente delle multinazionali, anche soltanto introdurre il concetto di limitare gli esborsi e i costi equivale a una ammissione di mediocrità. Mi devo ripetere, e sarò noioso, ma chi vuole vincere nel calcio ad altissimi livelli deve mettere in conto di buttare i milioni dalla finestra, e non vederli tornare mai più. Lo ha fatto Moratti, lo ha fatto Berlusconi, lo ha fatto Abramovic, lo hanno fatto gli americani del Manchester United e gli arabi del Manchester City; anche se quest'ultima compagine non ha ancora vinto niente (come del resto l'Inter pre-Calciopoli) si è ormai consolidata come una delle maggiori realtà calcistiche in Europa. Il Napoli, ricordiamocelo, ha disputato nell'era McLaurentiis una coppa Uefa, venendo eliminata al primo turno della competizione vera e propria dal Benfica, e una Europa League, superando a fatica il girone di qualificazione e venendo poi subito buttata fuori al primo turno a eliminazione, ad opera di una squadra buona ma non eccelsa come il Villareal. La squadra di una cittadina di circa cinquantamila abitanti. In pratica, è come se ci avesse buttati fuori l'Avellino.
L'anno prossimo disputeremo la Champions League. Essendo nuovi alla competizione (ci manchiamo dai bei tempi di Dieguito) capiteremo sicuramente in un girone difficile, con almeno una squadra blasonata, e con il livello medio comunque più alto dell'Europa League. Se in quella competizione abbiamo avuto difficoltà contro squadre come l'Utrecht (che non siamo riusciti a battere) e la Steaua Bucarest, figuriamoci cosa potrebbe riservarci un girone di Champions. Come e quanto si sta rinforzando il Napoli per affrontare questa difficile sfida? Non adeguatamente, a mio modesto parere. E cosa accadrebbe se si concretizzasse l'interesse del Milan per Hamsik, o quello del Manchester City per Lavezzi? Come sostituiremmo questi giocatori? Con Mascara e Dumitru? Aspettate, forse si può prendere Santana a parametro zero, se accetta di farsi pagare con le bottiglie di pomodori che lo scaltro Aurelio vorrebbe costringere Donna Jacqueline a fare, affinché d'ora in poi possa pagare i suoi campioni in natura, e non spendere più un euro.


Mentre scrivo queste righe leggo che sarebbe fatta anche per Britos. Beh, allora cambia tutto. Con questo gioiello, in cui molti vedono l'erede naturale di Beckenbauer, la nostra difesa è praticamente inespugnabile. Peccato che la simpatica Sandra Mondaini ci abbia lasciati: Sbirulino sarebbe stato l'acquisto  perfetto per completare il nostro mercato.
In una divertentissima scena di un film comico come si facevano una volta, un irritato James Senese chiede a Lello Arena se gli piace la musica o il fumo. Parafrasando quella domanda, credo che ci dovremmo chiedere se ci piace il calcio o il fumo; perchè questo furbacchione illusionista ci sta buttando davvero tanto fumo negli occhi.

martedì 5 luglio 2011

Il peccato mortale della condivisione

 Allora, uno vorrebbe crogiolarsi nella meschina piccolezza dei propri minuscoli, insulsi problemi privati, e invece si trova a dover scrivere di democrazia, libertà, progresso e compagnia cantante. Che palle. Mi dovete ancora rimborsare un'adolescenza e una giovinezza inservibili, e mi costringete a intervenire su tematiche di interesse comune e di grande delicatezza. Lo so che state attentando alla Costituzione, da parecchi anni ormai, ma non posso mica fare tutto io! Avrò anche il diritto di recuperare ciò che resta della mia vita interiore dallo sfacelo della civiltà occidentale contemporanea? Avrò anche il diritto di visionare, mentre sorseggio il mio caffè pomeridiano, scurrili volatili anglofoni dal turpiloquio facile...o no??? E invece mi si pongono problematiche più grandi di me, di fronte alle quali mi sento piccolo e impotente. E che acciderbolina!

Allora, l'AGCOM, ovvero quella branca della Mafia S.p.A. che si occupa di comunicazione mediatica, ha scatenato un vespaio di polemiche circa una sua delibera, che dovrebbe essere approvata domani, mercoledì 6 luglio. Molti temono che si profili un pericolo per la libertà di espressione, che le idee "scomode" possano essere censurate sul Web. Pur non escludendo questo rischio, io ritengo che il problema principale sia invece un altro: quello della lotta alla "pirateria" e della sua legittimità, o meno.

Da dove nasce tutto questo casino? Forse da una volontà di limitare la libera circolazione delle idee? Beh, il nesso fra le cosiddette libertà civili e il mercato è così forte e radicato nel mondo occidentale da non lasciare adito a dubbi: il rischio di censure tout court è praticamente inesistente. Possiamo pensare, dire e scrivere quello che ci pare, anche perchè esistono colossi della comunicazione mediatica e politica preposti a distribuire le caramelle dell'ideologia dominante alle masse, e uno sparuto numero di voci fuori dal coro non fa paura a nessuno. La questione è altra, a mio giudizio, e riguarda una delle principali aberrazioni del nostro tempo: il diritto d'autore.

Il diritto d'autore, tutelato ovunque da leggi e istituzioni talvolta appositamente create (vedi SIAE), si fonda sul concetto di proprietà intellettuale; un concetto che definirei assolutamente condivisibile. Se io scrivo un libro, una canzone, un articolo su un quotidiano, ho tutto il diritto di apporvi la mia firma, e vedermi riconosciuta la paternità di quell'opera. La proprietà intellettuale, però, non è solo questo. In una società in cui tutto è commerciabile (e dunque alienabile), la proprietà intellettuale diventa merce. Molta gente non è a conoscenza di questo aspetto, e l'ignoranza di un elemento fondamentale delle questione falsa il dibattito. Quando Pinco Pallino pubblica un libro per l'editore Tizio & Caio, firma un contratto in cui cede la proprietà intellettuale dell'opera del suo ingegno all'editore. Quest'ultimo, in base ai termini del contratto, si riserva il diritto di fare l'uso che più ritiene opportuno della merce da lui acquistata: correggere oppure omettere alcuni passaggi (ed esistono infatti figure professionali, i cosiddetti editor, dediti proprio a questo tipo di orrendi crimini), decidere in piena autonomia la veste grafica del libro, le strategie di marketing ecc. Naturalmente, un autore più affermato potrà firmare contratti a lui più vantaggiosi. Ma quello che conta di più è il diritto della casa editrice di vendere l'opera dell'ingegno di Pinco Pallino, corrispondendogli una piccola percentuale del ricavato (royalties). Il diritto d'autore, dunque, non serve tanto a tutelare l'autore, quanto chi acquista la proprietà intellettuale della sua opera.

Ricordate la battaglia combattuta anni fa dai Metallica ed altri "artisti" contro Napster? Fummo costretti ad assistere a strazianti appelli di stramiliardari che pregavano noi, comuni mortali perennemente in bilico sul baratro dell'indigenza, di non scaricare più i loro MP3, perchè la pirateria è un reato. Tremavano le ginocchia, a questi musicanti della minchia, al pensiero di non poter più viaggiare in jet privato, o non poter acquistare la quinta o sesta Ferrari Testarossa. E questo non perchè il file-sharing avrebbe ucciso il mercato musicale (solo un cretino può pensare una cosa del genere), ma perchè avrebbe seriamente ridimensionato l'industria musicale, quel sistema di surrettizia imposizione che fa funzionare il mercato del disco secondo logiche verticali, ovvero dall'alto verso il basso. Il file sharing non danneggiava e non danneggia la musica, come questi quattro accattoni volevano farci credere, bensì chi sfrutta la musica per arricchirsi, facendo pagare i CD prezzi assolutamente esorbitanti e sproporzionati rispetto ai costi di produzione.

Lo stesso discorso vale per l'editoria o il cinema. Quando cominciarono a diffondersi i videoregistratori, alcuni catastrofisti gridarono alla fine della settima arte. Naturalmente, era cambiato soltanto (e solo in parte) il modo di fruire del cinema; ma comunque c'era di che arricchirsi, per cui nessun problema. I programmi p2p, o quelli per scaricare torrent, ovviamente, sono invece il demonio fatto bytes. Non c'è dubbio che questi programmi abbiano fatto e facciano moltissimo per la diffusione del cinema e della musica (e in misura minore della letteratura), certamente di più dei canali di fruizione tradizionali. Permettono a chi lo desideri di conoscere ed eventualmente apprezzare un numero di artisti prima impensabile, se non per gli utenti ad alto ed altissimo reddito. E la gente non ha smesso di andare al cinema o ai concerti. Forse lo fa di meno, ma non è possibile che questo sia dovuto all'aumento del costo della vita (senza un corrispondente adeguamento dei salari) piuttosto che al file sharing? Tutto questo per dire che gli artisti potrebbero tranquillamente convivere con la pratica della condivisione. Chi non ci può assolutamente convivere sono quelle industrie che sarebbero rese superflue e superate dallo sviluppo di un mercato orizzontale, da pari a pari (per to peer). Dopo tutto il baratto non è una forma di scambio? Chi vuole che si consumi secondo logiche verticali, non democratiche, deve necessariamente guardarsi da quel pericolo. E lo fa criminalizzando la pratica, come vedete democraticissima, che lo minaccia. Io, per quanto mi riguarda, non accetto criminalizzazioni. Io, amici miei, sono un pirata e sono un signore.

lunedì 4 luglio 2011

Il garage del sempiterno oblio

Dopo anni di mobilità motorizzata, il vostro Bradipo 
è ridotto a deambulare come un qualsiasi vagabondo...

Ei fu, siccome immobile. La batteria era morta, non si accendeva neanche il quadro. Lo stupore si dipinse sul volto del giovane uomo che lo cavalcava, fiero come se fosse stato in arcione a un purosangue. I due avvocati scrutavano la scena con imbarazzo, senza proferire parola. Il sole, noncurante di cotale tragedia, picchiava imperterrito sulle loro più o meno rade capigliature, come a voler sottolineare che nulla contano, nell'economia dell'Universo, i nostri piccoli, puerili lutti privati. La mano girava la chiave, e poi lesta correva alla manopola dell'acceleratore, affannandosi nel cercare invano di rianimare il caro estinto. Nient'altro che accanimento terapeutico, dettato dal rifiuto della realtà di lui, che non lo volle creder morto. Cercava nello sguardo degli avvocati un appiglio, un cavillo legale, contenuto in chissà quale arcaico codice, che potesse vincolare il suo scooter all'esistenza. Ma la legge degli uomini è imperfetta, e l'opera delle loro braccia soggetta alla tirannia del tempo, che tutto logora e distrugge. E allora si diede per vinto, nascondendo dietro un sorriso emaciato un'incommensurabile angoscia, e il garage condominiale diventò cimitero per quel novello Ronzinante.
Il giovane uomo dalla più o meno rada capigliatura comprese che, da quel momento in poi, avrebbe dovuto contare solo sulle proprie gambe. Ripensò al suo primo motorino, un Sì bianco avuto in una sorta di comodato d'uso tacito e informale da un florido e rubicondo signorotto di campagna, a tutti i chilometri percorsi fra paesaggi campestri, scanditi dagli ulivi e dalle roche grida dei villici messapici; pensò al successore di quello, un vecchio Gilera verde scassato e polveroso, che lo accompagnò per poco meno di due anni, prima di spirare serenamente ad un'età di tutto rispetto; pensò al primo dei due giapponesi, prodotto dalla stessa casa della sua seconda chitarra, sul quale aveva battuto con consumata padronanza dei propri limiti le familiari strade dell'ebbrezza. E, infine, dedicò un pensiero anche a lui, il gigante buono, testimone del suo crepuscolo. Come due amanti che si incontrano tardi, avevano condiviso l'autunno delle loro vite. Lo scooter se ne era andato prima dell'uomo, ed ora lui sapeva con assoluta certezza che non sarebbe mai tornato ad amare.
Oggi il vecchio cammina, con passo incerto e quasi sempre senza una meta precisa. Lo sguardo è perso nel vuoto, gli occhi spenti, le braccia ciondolano come le inutili propaggini che sono, senza un acceleratore e un freno da azionare. Senza un compagno di strada, la sua vita è ridotta a un peregrinare senza meta. Se lo incontrate, non chiedetegli dove è diretto; vi sentireste rispondere l'ovvio. 
"Dove siamo diretti tutti, caro mio: verso il garage del sempiterno oblio."

sabato 2 luglio 2011

La morale dell'ostrica: da Padron 'Ntoni ad Aurelio McLaurentiis

Giovanni Verga; di lui ci si chiede se siano più notevoli le sue opere letterarie o i suoi baffi.
 
Ne ho subite di angherie, nella vita. Una di queste è stata la lettura forzata de I Malavoglia in un'epoca della mia vita difficile di per sé come l'adolescenza, in cui avrei avuto bisogno di qualche motivo di ottimismo; e invece giù con la morale dell'ostrica, la futilità di qualsiasi tentativo di migliorare, il pessimismo eletto ad aurea regola di vita. Si dice che Giovanni Verga abbia scritto il succitato romanzo per descrivere e denunciare le condizioni di sfiducia e abbandono in cui la versava la sua Sicilia nel tardo Ottocento. Ne siamo proprio sicuri? Possiamo, in tutta onestà, escludere l'esistenza di un impulso sadico, di una insana aspirazione a trasformarsi in uno degli aguzzini della prima giovinezza di milioni di italiani? Il povero diciassettenne, già colpito da acne, episodi di bullismo e dubbi sulla propria identità sessuale, doveva per giunta sorbirsi le disavventure di questi rustici pescatori, i loro amori di cattivo gusto e il sapere cristallizzato e apodittico che Padron 'Ntoni sciorinava con i suoi stramaledettissimi proverbi ogniqualvolta aprisse bocca. Ma i diciassettenni dovrebbero leggere Oscar Wilde, altro che Verga. Già ci è capitata la disgrazia di nascere in Italia, perchè volete infierire?

Tutto questo, però, non è che un preambolo, sul quale mi sono evidentemente soffermato più del dovuto. Il punto è che la morale dell'ostrica non è esclusivo appannaggio dei nostri amici di Aci Trezza, ma pervade buona parte della società italiana. Su questo il buon Verga ci aveva visto giusto. Prendiamo ad esempio il caso della Società Sportiva Calcio Napoli: negli ultimi anni, quando è diventato sempre più evidente che eravamo finiti nelle mani di un presidente poco avventuroso, per usare un eufemismo, molti dei tifosi azzurri si sono trasformati in tanti piccoli Padron 'Ntoni, e sostengono con convinzione la politica "dei piccoli passi" del loro intellettuale di riferimento.

Aurelio McLaurentiis, intellettuale di riferimento di Bastianazzo e del compare Alfio
 
Costui, lungi dall'essere il vivace innovatore per cui vorrebbe farsi passare, pensa per piani quinquennali come Stalin e parla di gestione aziendale come lo farebbe un qualsiasi pavido gesuita. E i tifosi abboccano. Oggi chi deve sostenere un esame di economia aziendale non ha bisogno di aprire un libro; basta assistere a una qualunque discussione fra tifosi del Napoli. Improvvisamente, la maggior parte di questi è diventata espertissima di quadratura dei bilanci, plusvalenze e, soprattutto, fair play finanziario. Quando si fa notare a queste persone quello che a me risulta evidente, ovvero che la politica di McLaurentiis è tale da precluderci la possibilità di aprire un ciclo vincente,  ti rispondono che non si può fare altrimenti, pena un nuovo fallimento. La morale dell'ostrica. Ma l'Inter, il Milan, la Roma, finanche la Juventus, che è ormai una squadra da centro classifica, spendono tutte più di noi per gli ingaggi. Perchè noi no? Perchè se no torniamo in Serie C. Così sentenzia Padron 'Ntoni.

Ma quello che più mi allibisce, mi perplime e mi scombussola, è ciò che questi tifosi rispondono quando fai loro notare che negli anni '80 il Napoli è stata una delle corazzate del calcio italiano: "Sì, e poi siamo andati in serie B e successivamente siamo falliti..."
Mi fate capire, di grazia, quale sarebbe il nesso fra il ciclo vincente del Napoli di Maradona e il declino successivo alla sua dipartita (declino peraltro graduale)? Avremmo forse commesso un peccato di ὕβρις nel vincere qualcosa anche noi, interrompendo decenni di bulimia sull'asse Torino-Milano? Gli dei ci hanno punito con il fallimento per aver osato vincere quello scudetto che faceva addirittura strano vedere cucito su una maglia a tinta unita?

A questo punto, fiducioso di essermi conquistato, se non la vostra stima, il vostro timore reverenziale, avendo sfoggiato la mia conoscenza del greco antico (e vi avverto che vi siete persi un riferimento joyciano), posso anche io far valere la mia prosopopea; la quale non ha proprio niente da invidiare a quella del cazzaro di Cinecittà. E allora posso avviarmi alla conclusione di questa arringa, certo che non potrete far altro che condannare l'imputato Aurelio McLaurentiis per i reati di tirchieria e mediocrità finanziaria, con le aggravanti della falsa testimonianza e della circonvenzione di incapaci. Vi piacciono le frasi fatte? Bene, se Padron Aurelio dice che chi va piano va sano e va lontano, io rispondo che chi non risica non rosica; e vi faccio notare che la storia del progresso è disseminata di persone che hanno innovato e rischiato. Dalla mia parte ci sono Cristoforo Colombo, Giordano Bruno, Galileo Galilei, i fratelli Wright, i fratelli Marx e i Monty Python; dall'altra molluschi e crostacei. Preferite la certezza dello scoglio, o il periglioso pelago dell'ambizione? Per quanto mi riguarda, io cazzo la gomena e salpo: l'acqua salmastra non mi si addice.