giovedì 29 settembre 2011

Il bestiario dell'amore

E' ufficiale: ormai Gallo's si è trasformato nell'Accademia di Atene. Ogni qualvolta io vi metta piede torno a casa onusto di acutissime congetture e alati pensieri. Il contatto con personaggi di spessore filosofico evidentemente notevole mi stimola alla riflessione ed ingenera in me insolite riflessioni. Stamattina, svegliatomi dopo la schifezza del sonno, e dopo aver passato una mezzoretta a rigirarmi nel letto nel vano tentativo di riaddormentarmi, mi sono alzato, mi sono fatto una bella doccia, e sono ora davanti al PC per donarvi una dotta disquisizione sull'amore hic et nunc, qui nella ridente città di Napoli, agli albori del terzo millennio.

Da questo preambolo capirete, e converrete con me, che la forma del bestiario era una scelta praticamente obbligata. Vi parlerò degli esemplari maschi delle specie in questione, lasciando a chi conosca meglio il genere femminile l'incombenza di completare il presente studio. Seguitemi, orsù, in questo excursus  nel giardino zoologico del sentimento: sarà istruttivo e divertente, in conformità con la celebre massima oraziana del delectando prodesse. Bene, ora che mi sono anche sparato questa posa da quattro soldi, possiamo cominciare.

1: I piccioncini


Coloro che amano, ricambiati, all'interno di una coppia. Molto spesso questi individui non hanno neanche il buon gusto di vergognarsi e chiedere scusa per la loro sfacciata buona sorte, come un tennista il cui servizio viene smorzato dalla rete prima di finire nel campo dell'avversario, spiazzandolo. Essi sono l'equivalente romantico del signore medievale che banchettava allegramente mentre i suoi sudditi morivano falcidiati dalla carestia. Di loro più non ragioneremo.

2: Il centauro
Dopo la menzione d'obbligo per una specie tutto sommato priva di interesse, ora ci addentriamo nel regno del propriamente mostruoso. Il centauro è il risultato della fusione fra uomo e cavallo: l'uomo si innamora, e il cavallo che è in lui lo fa galoppare, nitrire e imbizzarrirsi oltre ogni umana immaginazione. Disarcionato il buon senso e qualsiasi principio logico e morale, da Aristotele a Kant, egli scorazza per le praterie dell'amore non corrisposto, arrecando danni al patrimonio e alle persone fisiche. Chi non è mai stato un centauro alzi la mano...

3: Il cane





Se solo potessi sperare in un tuo bacio, una carezza, un tuo sguardo...la mezza promessa che un giorno,  forse, mi farai portare la tua busta della spesa...come puoi ancora respingermi? Non vedi che scodinzolo alla semplice menzione del tuo nome? Tira un bastone, una palla da tennis, una pantofola...e mi vedrai correre felice, per inseguire l'oggetto che tu hai tenuto nella mano...è questo tutto quello che ti chiedo...il mio amore sta tutto in un monosillabo: bau.

4: Il pipistrello




La amavo, e lei ha lasciato che il mio amore finisse nel letame. No, non mi meritava. Non meritava una persona così sensibile, profonda, speciale...per questo mi sono rinchiuso nella mia stanza, in penombra, davanti a Facebook, e posto video dei Sisters of Mercy e frasi tratte da Il Corvo. No, è inutile insistere, non esco di qui. Non mi meritate. Quando comincerò a bere il sague delle vergini portatemi da uno psichiatra, ma fino ad allora non mi importunate, perchè voi non mi potete capire

5: L'avvoltoio


L'avvoltoio è una delle tipologie di amante più spregevoli. Esso punta una donna di solito impegnata, per attendere che questa ridiventi disponibile nel momento in cui la sua relazione dovesse finire. Discende opportunisticamente sulle carogne degli amori altrui, sfruttando il lavoro di caccia e abbattimento della preda svolto da qualcun altro. Porta con sè l'insopprimibile tanfo della morte, e lo stigma sociale che deve necessariamente accompagnare il necrofago.

6: Il coniglio


Ecco infine la categoria peggiore, quella di coloro che, di fronte all'amore, fuggono. Costoro l'amore lo contemplano da lontano,  sublimando la totale assenza di contatto con la donna amata scrivendo componimenti poetici e facendo lunghe passeggiate nei più deserti campi. Francesco Petrarca è stato il più noto esponente di questa tendenza. Pensate che una volta, mentre andava in giro per un bosco, vide Laura tutta nuda, che si bagnava in un ruscello o qualcosa del genere...e lui che fa? Scappa! Eh, sì; se fosse per i conigli la razza umana si sarebbe già estinta...

Cari amici, siamo arrivati alla fine del nostro viaggio attraverso i misteri del cuore umano e della biodiversità amorosa. Spero di avervi arrecato diletto, e vi chiedo perdono se sono venuto meno a questa funzione...Ora vado a scrivere un sonetto, e a giocare a nascondino con l'amore, come si conviene al pavido poeta...

martedì 27 settembre 2011

Sta diventando un'abitudine...

E che diamine! Non si riesce più a dormire tranquilli! Persino astenendomi dal consumare peperoni per cena, continuo ad essere visitato in sogno da importanti figure del Rinascimento inglese. Questa volta è toccato a Sir Thomas Wyatt, modello perfetto di cortigiano, ricordato per aver introdotto il sonetto nella tradizione poetica anglofona.


Dopo aver eseguito un perfetto inchino elisabettiano (pur essendo vissuto sotto il regno di Enrico VIII) Sir Thomas si è rivolto a me in un inglese dal vocabolario desueto e dalla pronuncia oltremodo ostica. Stavo per dirgli di tornare solo quando avesse finito il Great Vowel Shift, come si può dire a un bambino che potrà uscire a giocare solo dopo aver finito gli spinaci, quando mi sono reso conto che il poveretto si trovava in uno stato di pressochè totale abiezione. Quello che sono riuscito ad evincere dai suoi monottonghi e dai suoi rotici arcaismi è stato che Sir Thomas è depresso perchè i giovani di oggi non leggono più i suoi sonetti. E in effetti, proseguiva il cortigiano, chi può biasimarli? Dopo cinquecento anni, le sue scelte lessicali possiedono la stessa attualità del suo inchino, le sue rime non fanno più rima, e la sua materia, pur restando valida perchè intimamente legata alla natura umana, risulta priva di mordente per il modo eccessivamente manierato in cui è affrontata.

Commosso dalle preci di un altro disgraziato come me, non ho saputo dire di no. Abbiamo scelto insieme un sonetto da "modernizzare", e dopo una veloce lettura gli ho mosso le mie critiche. Innanzitutto, gli ho detto, lascia perdere lo schema petrarchesco, e adotta il distico finale; funziona meglio. Lui è stato d'accordo, visto che ora pendeva dalle mie labbra, sebbene avesse enormi difficoltà a comprendere la particolare varietà di Southern British English parlata da un advanced learner di estrazione sudeuropea. Mi sono messo a lavorare, e subito mi sono accorto che il componimento non era farina del sacco di Tom. Era scopiazzato (e in modo piuttosto imperfetto, oserei dire) da un famoso sonetto del Petrarca:
Pace non trovo, e non ò da far guerra;
E temo e spero, ed ardo e sono un ghiaccio;
E volo sopra 'l cielo, e giaccio in terra;
E nulla stringo, e tutto 'l mondo abbraccio.
Tal m' à in pregion, che non m' apre né serra;
Né per suo mi riten, né scioglie il laccio:
E non m' ancide Amore e non mi sferra;
Né mi vuol vivo, né mi trae d' impaccio.
Veggio senza occhi; e non ò lingua, e grido;
E bramo di perir, e cheggio aita;
Et ò in idio me stesso, ed amo altrui:
Pascomi di dolor, piangendo rido;
Egualmente mi spiace morte e vita.
In questo stato son, Donna, per vui.
Bene, ecco il modo in cui il rubicondo e florido adultero aveva reso tale capolavoro:
I find no peace, and all my war is done.
I fear and hope. I burn and freeze like ice.
I fly above the wind, yet can I not arise;
And nought I have, and all the world I season.
That loseth nor locketh holdeth me in prison
And holdeth me not--yet can I scape no wise--
Nor letteth me live nor die at my device,
And yet of death it giveth me occasion.
Without eyen I see, and without tongue I plain.
I desire to perish, and yet I ask health.
I love another, and thus I hate myself.
I feed me in sorrow and laugh in all my pain;
Likewise displeaseth me both life and death,
And my delight is causer of this strife.

Non mi sorprendo, dunque, che la tua poesia sia stata pressochè dimenticata, se non da pochi addetti ai lavori. Caro Tom, qui c'è ben poco da salvare...Questo è il succo di ciò che gli ho detto, aggravando ulteriormente il suo stato di abbattimento. Ma prima che potesse gettarsi nelle acque del Tamigi, in un gesto puramente dimostrativo in quanto il tizio è morto da mezzo millennio, avevo già pronta la mia versione, che qui riporto per il diporto di chiunque avesse tempo da perdere e intendesse dedicarlo alla sua lettura:

I find no peace, and have no war to fight,
I fear and hope, I burn and freeze like ice;
I soar in fancy, yet I cannot take flight,
nowt I hold, yet have the world in a vise.
My captor keeps my cell door on the latch,
will not keep me nor let the charges drop;
Love will not kill me, but I’m barred from snatch;
I am alive, but my head’s for the chop.
Eyeless I see, I have no tongue and shout,
I wish for death, and still succour I seek!
I hate myself, for my love’s cast in doubt;
I find solace in my life being bleak.
Such is my state, I can’t tell death from life,
for she who promised peace brought about strife.


Bene, alla fine Sir Thomas è rimasto contento. Non so come l'abbia presa Cicciotto Petrarca, autore dell'originale, e nutro dubbi in particolare sulla scelta di menzionare la patana (snatch) in tale contesto, ma ogni epoca ha il proprio zeitgeist. Cari Petrarca e Wyatt, vostro fu il tempo dei dotti e devoti studi, e della raffinata erudizione; mio quello dell'assalto alla patana, con tutti i mezzi e senza mezzi termini. Voi vi nutriste di bellezza ed arte, io di bagordi e sordide ambizioni. Se voi potevate accontentarvi del plauso accademico o dell'apprezzamento del sovrano e della corte, io devo andare oltre, e preoccuparmi di non restare ai margini di questo mondo che capisce solo i denari e la patana, con gli occhi pieni di meraviglie e le mani vuote. 


Ed ora mi rivolgo a voi, Edmund Spenser e Sir Philip Sidney. Vi prego di farmi dormire tranquillo. Se volete svecchiare il vostro inglese guardatevi qualche sitcom o tutte le puntate di Eastenders (voi che tempo da perdere ne avete persino più di me). E quando scriverete le vostre nuove opere, sulla vostra bella nuvoletta, ricordatevi l'ingrediente più importante per il rozzo palato di questa epoca sciagurata: la patana.




 

domenica 25 settembre 2011

Deja vu

So che mi si criticherà. Si dirà che "porto peste", che penso troppo in negativo, addirittura che non voglio bene al Napoli. Ma qualcuno dovrà pur assumersi la responsabilità di dire le cose come stanno, a proposito del Napoli 2011-2012. Mercoledì abbiamo perso una partitaccia contro una squadra mediocre come il Chievo, e tutti giù a criticare Mazzarri (probabilmente l'allenatore più cazzuto della Serie A) per l'eccessivo turnover; ieri sera il mister ha fatto giocare praticamente la formazione tipo, e abbiamo fatto un'altra partitaccia. Molti dei nostri hanno dimostrato di essere spompati, o comunque non al meglio della forma. La soluzione, semmai, è più turnover, fatto più di frequente, magari non cambiando sette elementi tutti insieme, ma centellinando le energie di ciascun  calciatore in forza al nostro organico in una rotazione continua. Il problema è che, se Hamsik e Lavezzi erano sottotono (leggermente il secondo, vistosamente il primo), i Santana e Pandev che li hanno sostituiti non hanno fatto vedere granchè. Quello che è emerso dalle ultime due partite è che le seconde linee tanto sbandierate non sono poi così valide.

Mentre addetti ai lavori e tifosi si entusiasmavano per la campagna acquisti io, che non mi sono mai sognato di fregiarmi del titolo di intenditore di calcio, applicavo dei semplici ragionamenti deduttivi. Il padre di una mia collega di università amava ripetere la frase "si 'a fatica era bbona 'a faceveno 'e prievete": se il lavoro fosse una bella cosa, i preti lavorerebbero. Ovvero: visto che faticare non è una cosa piacevole, chi può scansarsela lo fa volentieri. Il fatto che i preti non lavorino confuta automaticamente ogni argomento in favore della bontà del lavoro. Naturalmente non pensiamo alle poche persone che hanno la fortuna di fare qualcosa che amano per guadagnare, ma ai 9/10 dell'umanità. Applicando la stessa logica alla nostra campagna acquisti, possiamo dire che se Santana era buono la Fiorentina gli rinnovava il contratto; se Pandev era buono l'Inter, che aveva già perso Eto'o, non ce lo prestava; se Inler (ieri uno dei più deludenti)  era costante nelle sue prestazioni l'Udinese lo vendeva per una cifra più alta a qualche grande club. Non voglio dire che quelli appena citati non siano dei buoni giocatori, ma semplicemente che sono stati presentati con troppi squilli di tromba. Allo stesso tempo va notato che non si è preso un laterale sinistro da alternare a Dossena (ieri sera in visibile affanno) nè un centravanti da area di rigore, che in una partita come quella di ieri forse sarebbe potuto tornare utile.

Il Napoli, in definitiva, è ancora quello dell'anno scorso, con gli stessi pregi e gli stessi limiti. Imbarazzante la sua mancanza di idee contro le difese schierate, e ormai mettiamoci in testa che chiunque venga a giocare al San Paolo farà, o almeno cercherà di fare, la partita che ha fatto ieri sera la Fiorentina. Martedì sera il Villareal cercherà di prendersi il suo onesto punticino, e rischiamo di assistere a un altro spettacolo frustrante e demoralizzante. Tutto questo per merito di questo signore qui, al quale auguro di morire presto e male:



Questo cazzaro maledetto ci ha propinato e continua a propinarci tante di quelle chiacchiere che sembra sempre Carnevale, ma non ha ancora investito un beato pene in questa squadra. Il fair play finanziario di cui tanto si riempie la bocca lui lo pratica da quando è arrivato, nel 2004, per il semplice motivo che Aurelio De Laurentiis non è un imprenditore, ma un bottegaio. Qualcuno mi ha fatto notare che la sua Filmauro non ha certo i fatturati dei grandi gruppi industriali che stanno dietro squadre come Inter, Milan e Juve. Perfetto. Allora dica chiaramente che il Napoli non ha, nè mai potrà avere, l'ambizione di vincere qualcosa. Se Aurelio De Laurentiis vuole che il Napoli vinca, deve trovare altri finanziatori, o più semplicemente andarsene e cedere il club. Venga qualche sceicco che fa un buco per terra ad ogni campagna acquisti, e ci regali finalmente la squadra che merita questa città. Il cazzaro torni a dedicarsi a tempo pieno ai filmacci orrendi che produce e smetta di prendere in giro gli sportivi napoletani. Sportivi che devono crescere, devono svegliarsi, diventare più esigenti e più diffidenti delle dichiarazioni del nostro untuoso aguzzino dalla testa impomatata. Oppure, se così preferiscono, continuino a illudersi a ogni vittoria di avere una grande squadra, per poi amareggiarsi la domenica successiva dopo aver perso con il Chievo o qualche altra squadretta di Carneadi. Io non ho posso, ho il fegato già troppo malandato.

Sarà stato l'alcol o il Napoli a ridurre così questo fegato?

sabato 24 settembre 2011

Orride metamorfosi

Dopo gli ultimi due post, dedicati a far mostra della mia acuta capacità critica e della mia intelligenza superiore alla media, mi trovo costretto a tornare su un vecchio argomento: i sogni balordi.

In quello che ho fatto poche ore fa, mi trovavo all'interno di un'automobile, in via A. Falcone, una tortuosa strada di un quartiere residenziale della mia città puntellata di baretti oltremodo tristi per gente triste che non sa di esserlo. Specifico sempre questi dettagli topografici perchè Google Analytics mi informa che il mio blog è visitato anche da utenti residenti in altre città. Ebbene sì, sono extraurbano. Bene, seduto a fianco a me c'era nientedimeno che Eduardo. Io lo guardavo stupito, restavo a bocca aperta per qualche secondo (o almeno questa era la percezione onirica del mio stupito silenzio) e gli dicevo, con la voce rotta dall'emozione: "Maestro, mi siete venuto in sogno?" Lo dicevo in napoletano, ma lo riporto in italiano perchè, ci tengo a ribadirlo, sono extraurbano.


Lui mi guardava un po' e poi, senza convenevoli e giri di parole, mi diceva: "Ma tu non si capisce perchè sei triste." Io rimanevo sorpreso da questo enunciato: "ma come, maestro, non lo sapete? Voi che siete nel regno della Verità..." A quel punto cominciavo ad avere quella strana sensazione di pericolo imminente che si ha talvolta negli incubi. E infatti, dopo aver girato il collo a 360° come in quella famosa scena de L'Esorcista, il grande Eduardo si trasformava in...Zio Peppe dei Camaldoli, il celebre animatore di tanti dibattiti culturali sulla Radia Giolla!


Sghignazzando sguaiatamente, il vegliardo campestre si burlava di me. Intanto l'auto si era messa in moto, e io mi accorgevo che alla guida non c'era nessuno! Sì, perchè mentre all'inizio io ero al posto di guida ed Eduardo sul sedile del passeggero, ora io mi ero spostato su quest'ultimo e zio Peppe era sul sedile posteriore, e continuava a proferire oscenità sulle "zizze".

Mentre cercavo di prendere il controllo del mezzo, improvvisamente mi rendevo conto che la macchina stava procedendo, di propria iniziativa, in retromarcia. In tutto ciò, zio Peppe continuava a ridere e contemporaneamente riusciva a mantenere un flusso costante di turpiloquio. Tutto ciò era troppo. Mi sono svegliato, mi sono reso conto di essere tornato alla "realtà". Troppo poco era durata la conversazione con quel grande uomo (intendo Eduardo, naturalmente, senza offesa per zio Peppe). Volevo scambiarci ancora due parole...e allora ho provato a riaddormentarmi, per vedere se riuscivo a sognarmi il seguito. Ma purtroppo il tempo dei grandi uomini è finito. A noi toccano nani e ballerine, e la presidentessa di Confindustria che dice di voler salvare l'Italia. Standard & Poor's ha detto che d'ora in poi i sogni non possiamo più permetterceli; solo incubi. Non riusciremo più a renderci conto se siamo svegli o dormiamo. E precipiteremo in un cupo baratro, vittime di un'auto senza guida, mentre qualche vegliardo sghignazza e non parla d'altro che di zizze.

giovedì 22 settembre 2011

Realtà parallele

No, miei cari lettori, non preoccupatevi. Se, leggendo il titolo del post, avevate sospettato che Sandro Giacobbo si fosse impossessato del mio PC con l'aiuto degli alieni, delle mummie spaziali e dei morti viventi di Atlantide, tranquillizzatevi pure. Il paranormale non c'entra. In questo mio scritto assonnato e mattutino vorrei affrontare invece un tema caro al Novecento (secolo che rimpiango per tanti aspetti): il perenne conflitto fra realtà psicologica e realtà sociale.

Sì, alcuni saranno delusi perchè, dopo un risultato e una prestazione imbarazzanti del Napoli contro una squadra modesta come il Chievo aspettavano l'ennesima giaculatoria contro Aurelio De Laurentiis. Ma ormai sapete come la penso sul cazzaro di Castelvolturno. Il match ha dimostrato chiaramente l'inadeguatezza delle seconde linee, gente acquistata da Mac Laurentiis a tanto al chilo, con i saldi di fine stagione. Se ancora non convenite con me sul fatto che il Napoli non sia ben attrezzato per igli impegni che lo aspettano, non so che altro dirvi. Chiusa parentesi.

E torniamo all'argomento di questa dotta disquisizione. Ieri sera, dopo la partita, sono salito come faccio spesso in questo periodo da Gallo's, un simpatico pubbettino sito nella mia bella Napoli, in via Morghen, di fronte alla stazione della funicolare. Lì il vetusto si reca a prendere il fresco della sera, e a disquisire del più e del meno di fronte a una bella birra. Grazie alla compresenza di menti eccelse e all'uso di sostanze psicotrope, la conversazione si arricchisce spesso di spunti interessanti quanto insoliti, e acquista molteplici chiavi di lettura, quasi tutte deliziosamente criptiche. Di ciò il vetusto si bea. Uno dei principali temi toccati nell'occasione è stata la difficoltà del succitato vetusto di comprendere l'assurda pretesa di alcune persone di tenere un piede in due scarpe. Come se Pirandello non ci avesse insegnato niente! E da Pirandello a Eduardo (che ultimamente sta monopolizzando l'attenzione nel circolo filosofico in questione) il salto è breve.

 La funicolare di Montesanto, stazione Via Morghen

Nell'ultima puntata vi ho parlato di Natale in casa Cupiello. Stavolta vorrei accennare invece a un'opera più leggera, quantunque non certo frivola: Ditegli sempre di sì. In questa briosa commedia vediamo Michele Murri, un paziente psichiatrico appena uscito dal manicomio, interagire con una serie di persone "normali", all'interno di situazioni più o meno convenzionali. L'ostinazione di Michele a voler razionalizzare ogni comportamento, ogni frase, ogni slancio, lo porta a una rovinosa ricaduta che lo farà tornare nel luogo dal quale era uscito. Il problema sta proprio nello scarto fra la realtà psicologica, soggettiva dei personaggi, esseri umani dotati di sentimenti, passioni, paure e via discorrendo, e la realtà sociale, che ci vorrebbe sempre univoci e coerenti. Passa facilmente per pazzo Luigi Strada, con le sue stravaganze, il suo disprezzo delle convenzioni, il suo ridere e piangere a scopo dimostrativo. E allora Don Luigi Altamura (uomo serio e pratico) ostacola l'amore fra lui e sua figlia Evelina, subordinando una incontrovertibile realtà psicologica alla meschina realtà sociale del non avere una "posizione".

L'amore non guarda in faccia a certe minuzie, si sa. Romeo e Giulietta non si amano, alla faccia dei dissapori di lunga data fra i Capuleti e i Montecchi? Vanno stimati, perchè fanno una scelta di campo. Rinnegano le famiglie che ostacolano il loro amore, arrivano a disprezzare i loro cognomi, che li vorrebbero nemici. Romeo e Giulietta avrebbe avuto il successo che ha avuto se i due giovani veronesi si fossero limitati a incontri sporadici, fugaci connubi, per poi tornare a fare pubblica mostra di freddezza reciproca? Se Romeo e Giulietta avessero voluto tenere un piede in due scarpe oggi Verona sarebbe nota solo come Città dell'Aids.

 Romeo e Giulietta. Pare che anche loro avessero l'Aids

Bisogna lottare, lottare strenuamente contro il divario fra ciò che è e ciò che noi vorremmo che fosse. Tutti gli equivoci di cui rimane vittima Michele Murri sono figli del modo condizionale. Il poverino non riesce a capire che esiste una realtà ipotetica, che coltiviamo nella nostra immaginazione, perfino di fronte al più insormontabile degli ostacoli. Se smettiamo di immaginare, il mondo si ferma, smette di progredire. Se releghiamo l'immaginazione agli spazi lasciati vuoti dalla realtà sociale la mortifichiamo, e la nostra realtà psicologica si impoverisce, nel migliore dei casi; nel peggiore, facciamo la fine di Michele Murri. 

Eh no, qua bisogna ragionare!

Ed è inutile e fuori luogo qualsiasi richiamo alla realtà sociale come metro di valutazione oggettivo. Passando da Eduardo ad Almodovar con l'agilità di una bertuccia su una liana, chiuderò questo già troppo lungo delirio con le parole del travestito Agrado in Tutto su mia madre: "una è più autentica, quanto più somiglia all'idea che ha sognato di se stessa".

domenica 18 settembre 2011

Il dilemma di Vittorio Elia



Ogni anno, a Natale, io devo guardare Natale in casa Cupiello. Un po' come Don Luca deve fare il presepio; altrimenti non mi sembra Natale. Ora, essendo partenopeo, sono cresciuto con le versioni per la televisione delle commedie di Eduardo. Ero ancora un bambino quando ho assistito per la prima volta alle vicende di questa disgraziata famiglia; disgraziata in un modo così ordinario, così familiare per l'italiano del Sud, da farlo partecipare al suo dramma in modo ancora più intenso.

Ma se oggi mi appare chiara la centralità del tradimento di Ninuccia nell'impianto drammatico, da piccolo quell'aspetto mi risultava ostico, quasi incomprensibile. Pargolo qual ero, non capivo l'amore, la gelosia, la forza delle convenzioni sociali, il senso dell'onore, tutto ciò che muoveva la succitata Ninuccia, il fabbricante di bottoni Nicolino Percuoco e il magnifico villain Vittorio Elia. La mia attenzione si focalizzava sul modo di parlare desueto, anacronisticamente garbato, su quei gesti che il progresso tecnologico e scientifico ha reso superflui (come quello squagliare la colla che genera uno dei tanti piccoli litigi fra Luca e Concetta), e sulla comicità  di Tommasino e dei suoi battibecchi con i familiari. Certo, quegli elementi farseschi servono a creare un contrasto assolutamente tragico fra il mondo di Don Luca e quello di Concetta, di Ninuccia e dei due uomini che se la contendono. Ma il bambino questo non lo capisce; come Lucariello, crede che il mondo sia tutto un presepe, dove ogni pastore sta al posto suo e svolge la sua funzione senza cercare di uscire dall'ordine precostituito.

Ma, come ci insegna Cooper, "la comparsa dell'amore è sovvertitrice di ogni buon ordinamento sociale della nostra vita". E allora irrompe sulla scena Vittorio Elia, il quale non sa che farsene dei presepi, fatti di materia senza vita. Il suo sfotticchiare Don Luca la dice lunga sulla sua filosofia. Del resto, anche lui è una vittima, a modo suo. L'amore arriva e lo stravolge, lo priva del senno, lo porta a presentarsi a casa della donna che ama, benchè sappia benissimo che lì ci sarà il marito di lei. E Nicola Percuoco, come osserva Donna Concetta, "è un uomo positivo". Da lì il violento diverbio fra colui che Nina dovrebbe amare, se la vita fosse effettivamente un presepe, e l'uomo che invece ama, in barba ad ogni tentativo fatto in millenni di storia per incanalare le nostre vite su binari che ci impediscano di deragliare.

Ed ecco che, dopo anni passati a guardare lo stesso dramma ridendo di Tommasino che si vende le scarpe e il cappotto di Zio Paqualino, e senza capire che la vera cattiveria in quella storia era altrove, uno comincia a farsi giovanotto e a capire Vittorio Elia e il suo dilemma.
Non parlo del dilemma di Ninuccia perchè la sua posizione è molto chiara: costretta a sposare un uomo maturo che non ha mai amato per soldi, contravvenendo a un dettame della musica folk a livello mondiale, dal Salento all'Irlanda, trova in Vittorio una valvola di sfogo e una rivincita contro l'imposizione genitoriale; in particolare contro la madre, che come apprendiamo dai dialoghi l'ha a suo tempo abilmente manipolata, spingendola egoisticamente a fare della sua vita ciò che lei, Concetta, desiderava. L'amore per Vittorio Elia è la maturità sentimentale e sensuale di Ninuccia. No, il vero dilemma è quello di Vittorio, combattuto fra l'impulso a far sua Ninuccia in modo definitivo, e il timore di distruggerne la reputazione e condannarla a pagare il diritto alla felicità con la morte sociale.

Che cosa è giusto? Che cosa è sbagliato? Che deve fare Vittorio Elia? (provate a immaginare quest'ultima frase pronunciata da Eduardo, con il tono enfatico, quasi disperato a cui ricorre il povero Don Luca ogniqualvolta si trovi di fronte a qualcosa che non riesce a concepire). Chissà cosa vuole dirci lo stesso autore quando fa in modo, sul finire del terzo e ultimo atto, che un delirante Lucariello scambi Vittorio per Nicolino e metta la sua mano in quella di Ninuccia. Quando ero piccolo quella scena non la capivo proprio, e nemmeno mi rendevo conto della sua importanza. Oggi invece mi colpisce ogni volta che la vedo, e mi rendo conto che attraverso quella sequenza va letta tutta l'opera. Mo' uno dovrebbe avere ben altra scrittura per rendere giustizia a quel capolavoro di scena...Diciamo semplicemente che Luca Cupiello si è fatto il suo personale presepe, ha cercato di riparare una realtà rotta come la testa di uno dei suoi Re Magi; e la trovata drammatica straordinaria sta nel fatto che, in una incapacità ormai completa di leggere la realtà, ricompone gli elementi di quel presepe nell'ordine sbagliato. Come se a mezzanotte nella mangiatoia avesse messo Maometto, al posto di Gesù bambino. Eppure quel presepe, fatto così, è più bello. Sì, ho deciso. Io Vittorio Elia lo assolvo.


Il presepe più bello

lunedì 12 settembre 2011

We are such stuff as dreams are made on...

Carissimi amici dei Quaderni del Bradipo, gioite ed esultate! Gaudium magnum! Dopo un'esistenza largamente insignificante e intollerabilmente ordinaria, finalmente mi è capitato qualcosa di eccezionale.
Quando ieri intorno alla mezzanotte, dopo la solita serata casalinga passata davanti a Facebook, Youtube e Windows Media Player, mi sono messo a letto per godere del meritato riposo dello sfaccendato (non far niente stanca tantissimo), non avrei mai pensato che la nottata mi avrebbe portato cotanta visione. Amici, lettori, concittadini, prestatemi orecchio! Chi mi è venuto in sogno è stato nientepopodimenoche William Shakespeare!


Il Bardo dell'Avon, ormai inquilino del condominio di coloro che tutto vedono e tutto sanno,  mi ha detto innanzitutto che Bin Laden non è morto, ma vive con Elvis, Bob Marley e Moana Pozzi su un isolotto del Pacifico; ha poi profetizzato la sanguinosa sconfitta di Silvio Berlusconi ad opera di un discendente della stirpe di Lancillotto ("tre volte il freddo acciaio/in quel borioso petto affonderà"), e infine ha voluto premiare il mio studio dei suoi sonetti con un'opera inedita, che Egli stesso mi ha dettato, e che ho trascritto fedelmente non appena sveglio. Ve lo dono così, in lingua originale, lasciando eventualmente a più alti ingegni  il compito di tradurlo.

My love is like the sullen, sturdy oak
that groweth, unattended, in the wild:
out of its limbs acorns aplenty broke
even though from thy heart I was exil'd.

Its roots have all the nourishment they need
though thy fair hand may stroke a different bark.
It was enough for thee to plant a seed
for it to sprout, beneath skies cold and dark.

Think not on it, when love's gay duties call
thy fulsome frame to fanciful delights;
though gnarled with age and weather I'll stand tall
and wait out all the needed days and nights.

But for thy love, no more than wood I be;
come to me, if you would, or fell this tree.


Ora vi lascio, e chiamo immediatamente la Oxford University Press: questa perla non potrà certamente mancare dalla loro prossima antologia della letteratura inglese!

martedì 6 settembre 2011

La catena della sodomia


Cari lettori, bentornati sulla mia umile rubrica. Come sono andate le vacanze? Vi siete divertiti? Vi siete rilassati? Avete pucciato il savoiardo baffone nel dolce cappuccino dell'amore terreno?
Spero di trovarvi in ottima salute, perchè ho intenzione, con l'arrivo del nuovo anno lavorativo/accademico, di riprendere ad ammorbarvi l'anima con rinnovato vigore.

L'argomento che vorrei affrontare con voi oggi è succintamente e, spero, efficacemente esposto nel titolo. Tranquilli, non mi sogno neanche lontanamente di trattare argomenti scabrosi: sono un puritano con licenza di bere, e quando bevo mi trasformo in una sorta di Mr Hyde, un vittoriano malvagio e dissoluto, ma la cui malvagità e dissolutezza sono definite proprio dal sistema di valori che egli, contraddicendolo in modo così lampante, in effetti finisce per validare. Mi sto arravogliando mani e piedi; volevo solo dire che il sesso, nella sua forma terrena, vile e tridimensionale, non è materia che mi si addica. La catena di cui sopra è una semplice metafa di un sistema ben consolidato che vige in questo paese, una specie di scaricabarile del nocumento, il cui principio si può così enunciare: "se subisci un danno da chicchessia, proverai a rifarti su una o più persone a caso; e così via, fino all'ultimo, tapino anello della catena."
Passiamo ora dall'enunciazione di un principio generale al caso particolare di cui voglio parlarvi.

Nei giorni scorsi ho notato una sensibile diminuzione nella velocità della mia connessione. Poichè quest'ultima è del tipo wireless, sono giunto alla conclusione che probabilmente sono vittima di leechers, che sfruttano parte della mia banda per navigare gratis. Dopo un iniziale fastidio di fronte all'impossibilità di guardare un cacchio di video su Youtube senza perdere un quarto d'ora per caricarlo prima, ho riflettuto su un dettaglio che complicava di parecchio l'aspetto morale della vicenda: anch'io sono stato un leecher! Sì, quando al mare, provvisto di apposita chiavetta, sognavo già di passare quelle tre o quattro ore giornaliere su Facebook che non mi avrebbero fatto sentire la mancanza di casa; salvo poi realizzare che la chiavetta avrei potuto benissimo trasformarla in un sex toy, per quello che serviva...
E allora, lo confesso, mi agganciai alla rete wireless di qualche ignaro villeggiante, e lo vampirizzai come oggi vengo vampirizzato. Chi la fa l'aspetti. L'Universo trova sempre il modo di esercitare la giustizia cosmica. Ma, dico io, non sarebbe bello vivere in un paese in cui nessuno andasse in culo a nessuno, se non in un contesto ludo/erotico, e fra adulti rigorosamente consenzienti? Perchè, cari Tim, Vodafone et alii, non producete delle chiavette che siano effettivamente atte allo scopo della cyber-navigazione, di modo che nessuno debba attaccarsi alla connessione altrui come gli scugnizzi d'antan si attaccavano al proverbiale tram?

Passare dalla mutua sodomia al mutuo soccorso: un obiettivo concreto per il nuovo millennio.

 Pëtr Kropotkin, un celebre sostenitore del principio del mutuo soccorso. 
Non si conosce invece la sua posizione sulla mutua sodomia.