venerdì 30 novembre 2012

Ennesima provocazione


Salve, lettori del Bradipo. Ancora una volta, a scrivere è Rigoberto Saviani, difensore della legalità, depositario del quinto e sesto segreto di Fatima e guardiano del Santo Sepolcro. Solo io posso dirvi come si fa la vera pasta e fagioli con le cotiche, come si tolgono le macchie più ostinate dal velluto a coste, e dove sono la ragione e il torto in qualsiasi diatriba. Per questo ho approfittato di questo spazio gentilmente offertomi dal Bradipo, che è tutto sommato un buon uomo, ma sostanzialmente ignorante e impreparato, privo del mio spessore filosofico e del mio fascino di intellettuale tenebroso e condannato dalle minacce dei malvagi gaglioffi casalesi ad andar di terra in terra, come gli anarchici di Lugano, Ugo Foscolo e l'Ebreo Errante.

Ebbene, è proprio di questo popolo che tanto ha sofferto, che vorrei parlarvi. Scacciato senza colpa (altro che anarchici, quei camorristi bombaroli!) dalla terra che lo stesso Jahweh, nella sua infinita e parziale misericordia, gli aveva assegnato; perseguitato per secoli da popoli invidiosi del suo primato nella classifica del favore divino; sputato, deriso, perseguitato, sterminato...e quando finalmente arriva il nostro turno di metterci sotto qualche povero cristo e farlo piangere con le lacrime come un moccosiello di tre anni, tutti a romperci i coglioni! E si fa???

Scusate, ma quello che è successo ieri all'Assemblea delle Nazioni Unite è assolutamente vergognoso e intollerabile! Non è questa la strada verso la pace, come ha giustamente fatto notare il moderato e ragionevole Benjamin Netanyahu. Si comincia facendo sedere un fetente di palestinese come membro osservatore, e si finisce che pretendono pure loro l'acqua potabile. No, qui una cosa deve essere chiara, e se nessuno ha il coraggio di dirla o scriverla sarò costretto a farlo io: noi siamo un popolo in credito di atrocità. Scusate, ma secondo voi perchè un paese che ama atteggiarsi a baluardo della civiltà occidentale nel Medio Oriente va a schiaffare la stella di David sulla bandiera, se non per creare una sacrosanta confusione, oserei dire una quasi perfetta corrispondenza fra identità religiosa e identità nazionale? In culo al principio di laicità dello stato! Noi siamo lo stato ebraico, tutto quello che ci fidiamo di fare a quei quattro pastori seminomadi lo dovete considerare un risarcimento, e dovete rendervi conto che lo facciamo anche in nome e a beneficio di quegli ebrei che, dimentichi dello spirito dell'Antico Testamento e della proba e divina crueltà di cui abbonda, si fanno prendere da una poco virile pietà nei confronti dei palestinesi, che nel ranking del favore di Jahweh sono penultimi, seguiti solo da una tribù cannibale dell'Amazzonia che non è mai entrata a contatto con l'uomo bianco, e che io conosco in virtù della mia onniscienza.

Ma il mondo non ha ancora capito che qualsiasi criterio di equanimità è inapplicabile, nel nostro caso? Che il solo ipotizzare una mediazione fra i nostri diritti e i presunti diritti dei palestinesi ci offende profondamente? Ma cosa credevate, quando avete legittimato l'idea sionista? Di poter ragionare con noi? Io, Rigoberto Saviani, non posso che togliermi il cappello davanti all'operazione realizzata in Terra Santa: a questa perfetta sintesi di rispettabile legalità e prevaricazione camorristica, insaporita dal delizioso gusto retro della teocrazia.

Scusatemi, l'amico Bradipo scalpita, protesta, si sbraccia. Mi fa notare innanzitutto che il titolo di questo mio articolo riprende quello di una canzone dei gloriosi Punkina, e che dunque sarebbe giusto citarli; e inoltre, come avrete già capito, ha la temerità di dissentire ancora una volta dalle mie idee. Dice, e lo cito testualmente, che tutte le religioni, con i loro testi, paramenti sacri e variegati strumenti di tortura andrebbero confinate ai musei. Come corollario di quanto appena detto, sostiene che il fondamento di qualsiasi autorità politica deve risiedere nel mandato popolare, non in quello divino; e se su un medesimo territorio convivono più confessioni religiose, a tutte va accordato lo stesso status, essendo l'esistenza di tutte le divinità ugualmente indimostrabile. Che la separazione fra stato e chiesa, fra potere temporale e spirituale, fra identità religiosa e identità nazionale, è ben chiara al mondo occidentale, e la nebulosità che assume quando si comincia a parlare di Israele è indice di completa estraneità alla tradizione di pensiero illuminista e post-illuminista (fatta eccezione per Rocco Buttiglione, il Cardinale Ruini e altri che potete ben immaginare). E chiude affermando che non gli garba punto che una manica di invasati sanguinari abbia a disposizione l'arma atomica; in particolare in virtù del fatto che il vecchio concetto del potere deterrente degli arsenali nucleari va a farsi benedire quando si mette in mezzo l'Iran. La bomba atomica di Israele è giusta e democratica, quella di Ahmadinejad è fondamentalista e ribalda.

Bene, amico Bradipo. Non sono d'accordo con te, e francamente me ne sbatto di quello che ha detto Voltaire, ma siccome tu mi fai scrivere sul tuo blog immagino di doverti fare delle piccole concessioni. Però adesso lasciami concludere il mio ragionamento. Quello che è successo ieri, amici, è una grave provocazione, come si evince già dal titolo di questa mia ennesima lectio magistralis. Jahweh è molto contrariato, ci ho parlato dieci minuti fa, e vi garantisco che ha un diavolo per capello. Lasciate che ve lo dica con molta chiarezza, al fine di dissipare ogni equivoco: la pace in Israele sarà una conquista definitiva solo quando l'ultimo palestinese sarà rinchiuso in un recinto, senza terra, senza acqua, senza possibilità di riscatto individuale o collettivo. Se non vi sta bene, non protestate con me; prendetevela con il Dio che ordinò ad Abramo di sgozzare suo figlio Isacco, se avete il coraggio.

giovedì 29 novembre 2012

Fame (I'm gonna live forever)


Mi avete rotto i coglioni. Dovete andare a lavorare. 

Solo così si poteva aprire, questo post. Solo così posso mettervi in guardia, cari amici del Bradipo, dal pressappochismo e dall'impreparazione con i quali tratterò, come spesso accade, un tema più grande di me. Ma siccome questo paese è privo di un ceto intellettuale, e la gente pensa che Oscar Giannino sia una persona intelligente solo perchè si traveste da Gabriele D'Annunzio e dice le parole difficili, io non mi mantengo, e vi riverso addosso la mia ignoranza e la mia scrittura confusionaria e a tratti fanciullesca. Eppure io, di questo potete star certi, qualcosa da dire ce l'ho; e questo mi rende già più degno di essere letto dei duecentoquaranta trilioni di finti blogger che vi vendono porta a porta la Bibbia semi-laica dell'ideologia dominante.

Questo post è interamente dedicato a tutti coloro che ammuffiscono per decenni in sale prove ammuffite (ammuffiscono per osmosi), facendo musica con onestà e integrità, e pertanto rimanendo oscuri e sconosciuti ai più. In particolare, lo dedico al gestore di una sala prove ben precisa, quella che frequento. Non farò nomi perchè mi rendo perfettamente conto di come una persona tutto sommato rispettabile e inserita nella società possa nutrire il sacrosanto desiderio di non essere associata in alcun modo a me e alle mie losche attività di blogger oscuro e avvezzo alle muffe. Vi basti sapere che costui è depositario di chiavi per il suddetto antro e versato nella teoria e tecnica musicale, applicata nella fattispecie al basso elettrico.

Ieri sera, nella consueta pausa di metà prova, divenuta necessaria in quanto si avvicinano i quaranta e vi giuro che dopo un'oretta di punk rock la vista si annebbia, ho intavolato con il suddetto musicista e fornitore di servizi una lunga discussione sullo stato dell'arte della scena musicale underground a Napoli, ma anche sulla musica e sull'industria musicale in generale. La musica rock e pop oggi fa cacare: su questo eravamo d'accordo. Se ne trova molta di più rispetto a 20 anni fa, ma paradossalmente il livello è sceso, anziché aumentare. Oggi chiunque può fare un disco; non più i demo di una volta, di qualità vistosamente inferiore ai prodotti industriali. Oggi, spendendo poche migliaia di euro, si riesce ad avere qualcosa che suona più o meno come i dischi "veri", dai quali il 90% degli ascoltatori (compreso me) non riuscirà a sentire la differenza. Una straordinaria opportunità, teoricamente, per esprimersi liberamente, per fare tutto quello che ti passa per la testa, senza dover scendere a compromessi con Tizio e Caio, senza dover subire processi di selezione. Faccio il disco, lo metto su Internet gratis, te lo faccio sentire. Ti piace? Bene, suono la tale data nel tale posto.

E invece no. Devo avere il produttore, il tour manager, l'ufficio stampa e lo scenografo ricchione con il baffetto. Perchè non sono un musicista, sono un cazzo di yuppie, voglio il successo, voglio i soldi, voglio che mi dicano bravo. Perchè da piccolo mi guardavo Saranno Famosi e volevo essere come Leroy. Perchè voi che mi venite a sentire mi fate schifo, mi servite solo ad arrivare dove voglio arrivare. Siete come i nemici morti di cui i mongoli riempivano i fossati per attraversarli, ed espugnare così i castelli. Io sono un grande artista, avete capito??? Passo le giornate a riempire Facebook di link, a caccia di un "mi piace" che dia una boccata d'ossigeno al mio ego ninfomane. E se non mi "likate", se non venite ai miei concerti, comincio a fare la vittima, a dire che in Italia non si può fare niente, che non si dà spazio all'arte e compagnia cantante (mi si perdoni il gioco di parole). Non mi passa neanche per l'anticamera del cervello che forse non ho talento, non ho niente da dire, non piaccio. Mi sto arrampicando, cerco appigli, non riscontri.

Ed ecco che il cerchio si chiude, dando in extremis una insperata parvenza d'ordine e compiutezza a questo post. Torniamo all'invito che ho usato come incipit: vai a lavorare. Se non riesci a vivere di musica, forse un motivo c'è. Vai a lavorare, la mattina, e la sera vieniti a chiudere fra le muffe che spettano a chi fa musica senza essere Leroy Johnson. Condividi quello che hai da dire e da dare, e può essere che alla fine qualcuno te lo dica pure, che sei bravo. Tu però non ci credere mai, fatti una risata e attacca il prossimo pezzo. Fai presto, che all'una, l'una e un quarto al massimo, l'impianto si deve spegnere. Poi dobbiamo andare a riportare la roba in sala, e poi...e poi a letto, che domani si lavora.

Muffe amate senza scopo di lucro

mercoledì 28 novembre 2012

Basta ca ce sta 'o sole, basta ca ce sta 'o mare...


Come forse saprete, ieri il Sole 24 Ore ha pubblicato una classifica della qualità della vita in varie città italiane, nella quale Napoli figura al penultimo posto. Peggio di noi solo Taranto, sversatoio dei veleni dell'ILVA. A questa graduatoria lo scrittore napoletano Erri De Luca ha risposto con la seguente dichiarazione:

Il Sole 24 ore pubblica una statistica sulla qualità della vita secondo la quale Napoli è all’ultimo posto. Ignoro i criteri di valutazione ma dubito che siano adeguati allo scopo. C’è qualità di vita in una città che vive anche di notte, con bar, negozi, locali aperti e frequentati, a differenza di molte città che alle nove di sera sono deserte senza coprifuoco. Considero qualità della vita poter mangiare ovunque cose squisite e semplici a prezzi bassi, che altrove sarebbero irreali. Considero qualità della vita il mare che si aggira nella stanza del golfo tra Capri, Sorrento e Posillipo. Considero qualità della vita il vento che spazza il golfo dai quattro punti cardinali e fa l’aria leggera. Considero qualità della vita l’eccellenza del caffè napoletano e della pizza. Considero qualità di vita la cortesia e il sorriso entrando in un negozio, la musica per strada.  Considero qualità della vita la storia che affiora dappertutto. Considero qualità della vita la geografia che consola a prima vista, e considero qualità della vita l’ironia diffusa che permette di accogliere queste graduatorie con un “Ma faciteme ‘o piacere”.
Per consiglio, nelle prossime statistiche eliminate Napoli, è troppo fuori scala, esagerata, per poterla misurare.

Ora, io non ce l'ho con Erri De Luca. Il suo problema è solo uno: quello di fare parte della percentuale di napoletani che, per diritto di nascita, per merito o per una combinazione di questi due fattori, riescono a tirarsi fuori dalla melma. Tutto vero, quello che ha detto. Ma capirete che il Capo di Posillipo rischia di venire meno alla sua funzione consolatrice, se lo si guarda dal posto di osservazione della miseria e del degrado. La città vive di notte perchè la gente non ha bisogno di andare a letto presto per svegliarsi riposata la mattina, come succede in luoghi con un minore tasso di disoccupazione. Se i prezzi della focaccia e del saltimbocca sono bassi è perchè la maggior parte dei napoletani vive con poco o pochissimo, e se la merce costasse di più rimarrebbe invenduta. Il caffè, la pizza, le canzoni, l'ironia, sono tutte cose vere, ma fanno parte della nostra cultura, sono un retaggio della nostra storia. Sarebbe ora che a Napoli la gente cominciasse a guardare avanti, anziché passare la vita a rovistare nel cascione di un passato presuntamente glorioso, e della misera eredità che ci ha lasciato. Con quello strano "oggetto a forma di chitarra" ci possiamo letteralmente pulire il culo.

Una classifica della qualità della vita deve tenere conto della vivibilità di una città, non di quanto è bella la cartolina. Deve tenere conto di come è amministrata, dei suoi servizi, delle sue infrastrutture, e soprattutto, dal punto di vista di una persona di sinistra - quale è sicuramente Erri De Luca - di come ci vive la povera gente, i lavoratori, il sottoproletariato. Non tu, scrittore di successo e benestante, quando torni a visitarla. Lavorare a Napoli, spostarsi a Napoli, trovare un soluzione abitativa a Napoli, pagare una cazzo di RCA a Napoli; di questo dobbiamo parlare. Di che cosa vuol dire nascere in un quartiere che cade a pezzi, da genitori disoccupati o sottoccupati, quando non proprio organici a quel sottobosco economico e sociale che spesso si designa con il termine vago e generico di camorra. Di quali prospettive possa avere chi decide di aprire un'attività produttiva o commerciale in questa città, e a quali difficoltà e limiti vada incontro. Poniamoci queste domande, e credo che alla fine dovremo dare ragione al Sole 24 Ore. A Napoli si sta male. Il che non vuol dire che questa città non abbia grandissime potenzialità, ma che non le esprime. E non le esprimerà mai, se continuiamo a rifugiarci nella retorica del sole, del mare e della sfogliatella.

In ultimo, sarà opportuno chiarire che nessun napoletano ha motivo di sentirsi offeso da quello che ho scritto. O meglio, mi correggo: se questa città vi sta bene così, sentitevi pure offesi. Se avete votato la classe dirigente che ha sistematicamente saccheggiato questa città e questa regione fin da quando io ne abbia memoria, sentitevi offesi. Se pensate che sia normale per un napoletano avere pretese più contenute rispetto a un vicentino o a un savonese, sentitevi pure offesi. Erri De Luca in parte ha ragione, c'è un fattore di cui la classifica in questione non ha tenuto conto: si chiama Questione Meridionale. E acconciarsi la bocca con la proverbiale tazzulella 'e cafè non la risolverà.

domenica 25 novembre 2012

Ma che ce frega, ma che ce 'mporta...


 ...di queste primarie. Cari lettori del Bradipo, questa volta dovrete avere un po' di pazienza nei miei confronti. Se la mia scrittura ha di solito, almeno in minima parte, le virtù della chiarezza espositiva e della fluidità, stavolta aspettatevi un pacciugo ripugnante, per citare gli indimenticati Paolino Paperino Band. Proverò a spiegare, in modo inevitabilmente disorganico e confuso, per quale motivo questa consultazione elettorale interna al PD mi lascia del tutto indifferente. Per raggiungere tale scopo, dovrò affrontare - e mi scuso anticipatamente per il modo sommario e inadeguato in cui lo farò - vari temi, e chiarire una serie di equivoci che potrebbero sorgere per via delle mille distorsioni del linguaggio e del discorso politico partorite dall'egemonia culturale di una classe sulle altre, vieppiù (e dico vieppiù) quando esssa è tanto schiacciante e subdola.

Cominciamo subito col dire che io mi sento un moderato. Dice, come Tabacci? No, non come Tabacci. Moderazione vuol dire barcamenarsi fra due estremi. Oggi viviamo in un mondo che di moderato non ha niente. Il modello neo-liberista è la negazione della moderazione. Se qualcuno vuole fare il moderato, deve cominciare dal mettere in discussione quel modello, e di conseguenza l'unione monetaria europea, che ne è figlia. Deve ricominciare a parlare non dico di socialismo, ma almeno di socialdemocrazia. Ecco, la socialdemocrazia è moderata; la passiva accettazione del capitalismo selvaggio, con l'aggiunta di qualche pista ciclabile, no.

Adesso, avendo letto l'ultimo capoverso, uno potrebbe concludere che io sono un socialdemocratico. Beh, proprio socialdemocratico...no - diremo, parafrasando il megadirettore di fantozziana memoria. Il problema della socialdemocrazia è perfettamente descritto dal megadirettore stesso: "Bisognerebbe che per ogni problema nuovo tutti gli uomini di buona volontà cominciassero a incontrarsi senza violenze in una serie di civili e democratiche riunioni, fino a che non saremo tutti d'accordo". Come fa notare lo sfortunato ragioniere, così ci vorranno almeno mille anni; al che lo scaltro interlocutore ribatte che lui può aspettare. Insomma, il modello socialdemocratico è una dei tanti travestimenti che storicamente il capitalismo ha indossato, per sopravvivere e prosperare. Tamponare problemi che tu stesso hai creato ha un che di schizofrenico, non vi pare?

Eppure sarebbe un inizio. Uscire dall'Euro (e se crolla, sticazzi), tornare alla lira e alla sovranità monetaria, reintrodurre la scala mobile e l'equo canone, iniziare politiche di integrazione commerciale e politica fra gli stati dell'Europa Meridionale, tutti colpiti dalle politiche di macelleria sociale della UE. Questo sarebbe moderato. Dire alla culona (sì, CULONA, perchè a un certo punto si deve scendere a questo livello) che con i nostri BOT la Deutsche Bank si può pulire il culo (o pulire quello di Angela, se ce la fa), perchè facciamo default, secondo l'antica logica del ci hai messo l'acqua e nun te pagamo. Glielo dai a tua sorella, l'Euro. 

Ma tutto questo non è in discussione. E vi ho spiegato che sono un moderato, che verso una società degna del volume delle nostre scatole craniche ci possiamo andare anche a piccoli passi, ma ci dobbiamo incamminare. Che me ne frega di far sposare gli omosessuali, se io stesso non credo nel matrimonio, ma vorrei invece pari diritti per le coppie di fatto? Che me ne frega delle quote rosa, quando sono convinto che la donna sia esattamente pari all'uomo sotto il profilo intellettivo, e credo che metterle a disposizione corsie preferenziali finisca per negare quell'uguaglianza? Preoccupiamoci piuttosto di eliminare le discriminazioni che esistono nei loro confronti sul posto di lavoro, o del fatto che spesso non vengono nemmeno assunte, perchè poi se restano incinte non possono venire a lavorare. La corruzione? Discorso lunghissimo. In breve: costruiamo un'Italia in cui non sia necessaria e strutturale, e rientrerà nei parametri di qualsiasi altro paese sviluppato. 

E, dulcis in fundo, per quale motivo dovrei scegliere fra una serie di personaggi che non hanno denunciato l'assoluta illegittimità dell'attuale governo, instaurato con una specie di colpo di stato soft e sostenuto da un sistema mediatico ormai sudamericano (e lo dico senza offesa per l'America Latina, che è oggi la parte migliore del mondo)? Quando si tornerà a parlare di politica, guardate, io sono disposto a votare pure alle primarie del PDL. Però si deve parlare di politica. Di togliere i soldi a Tizio per darli a Caio. Di uno Stato che decide, promuove, proibisce, finanzia, incentiva e disincentiva. Quello sì che riguarderebbe tutti. Queste primarie no. Queste primarie sono una gara fra osti senza scrupoli per venderci la loro mercanzia; e non importa chi sceglierete: il vino è tutto annacquato.

venerdì 16 novembre 2012

Bravi, così si fa


Allora, nei giorni passati non ho scritto niente, un po' perchè avevo altro per la testa, un po' perchè sono in una fase di strafottenza totale rispetto al mondo universo, un po' perchè dovevo metabolizzare. Le ultime due ragioni sono in qualche modo collegate al fatto che c'è tanta idiozia là fuori. Ma proprio tanta. E siccome la stragrande maggioranza dell'umanità non si vuole togliere il vizio di attribuire automaticamente autorevolezza a quello che proviene dalla carta stampata o dallo schermo televisivo (siamo essenzialmente rimasti al livello di impressionabilità degli antichi aztechi che si offrivano docilmente al sacerdote per farsi sacrificare a qualche dio serpente dal nome irriproducibile), mi dicevo "ma che scrivi a fare?" La mia idea, nella sua banale semplicità, può essere più valida di quella di un Saviano (ci vuole veramente poco), ma siccome lui è un eroe della legalità e io uno stronzo qualsiasi, alla fine nelle teste vostre e di milioni di altri italiani restano le cazzate di Saviano, e non i miei tentativi di ragionamento. Anche adesso, leggendomi, probabilmente starete sorridendo, pensando che deve essermi andato di volta il cervello, a volermi mettere con Frà Roberto Savianarola, santissimo e dottissimo uomo di lettere e di pensiero.

Il nostro Don Roberto stavolta sforna un volto inedito e insospettato, quello dell'hippie che vuole mettere i fiori nei cannoni, e invita i poliziotti a unirsi ai manifestanti anziché picchiarli. Il furbacchione in questo modo raggiunge un duplice obiettivo:

1) oscura le ragioni della violenza, mettendo il discorso su un piano che non è politico, ma che fa appello alla naturale ripugnanza che OGNUNO DI NOI prova nei confronti della violenza stessa.

2) simula simpatia con chi scende in piazza, e in particolare con la componente studentesca, che è probabilmente quella che più gli interessa. La stessa cosa cercò di farla, in modo forse un po' meno sottile, con un articolo dell'ottobre 2010 su Repubblica. Anche lì, solidarietà agli studenti e rifiuto della "violenza".

Oggi sono venute fuori nuove immagini, quelle dei lacrimogeni sparati dalle finestre del Ministero della Giustizia. Non credo vada commentata la ridicola giustificazione offerta da alcuni rappresentanti delle forze del disordine, evidentemente estranei al concetto di vergogna, secondo cui i lacrimogeni sarebbero stati sparati da terra, per poi rimbalzare sulle pareti dell'edificio. Fanno il paio con la teoria sul proiettile che uccise Carlo Giuliani, che sarebbe stato deviato in volo da un calcinaccio. Quelle immagini chiariscono perfettamente a chi non abbia paura di guardare in faccia la realtà che ormai siamo nell'anticamera dello stato di polizia, se non ci siamo già del tutto dentro. La violenza poliziesca non è opera di alcune mele marce, è ciò che si chiede a queste persone. E allora mi rendo conto che potrebbe sorgere in qualcuno la domanda: ma perchè un ragazzo come tanti (lasciamo da parte quelli che ci provano gusto) arriva a farsi strumento di una repressione brutale e sistematica del diritto di manifestare?

Proviamo a inventarci una storia. Una storia che, per risultare credibile, abbia i crismi della verosimiglianza. Diciamo che ieri a Roma è sceso in piazza Giorgio, studente ventiquattrenne di Lettere. Giorgio studia a Roma, ma non è romano; è di Rieti, e per mantenersi agli studi in una città così cara lavora part time in un call center per 400 euro di fisso più i bonus. La famiglia deve comunque aiutarlo, altrimenti non ce la farebbe. Quando uscirà dall'università ci sarà poco ad aspettarlo, professionalmente parlando. Probabilmente cercherà di fare qualche straordinario al call center, mentre cerca una sistemazione più adeguata (che chissà quando troverà). Dall'altro lato c'è Mario, un ragazzo calabrese di 23 anni. Lui si è arruolato in polizia, guadagna circa 1200 euro al mese. Fissi. Vive nella stessa società di merda, senza luce e senza aria, però ogni tanto gli offrono la possibilità di sfogarsi su qualche "zecca". Gli capita, ogni tanto, di dover subire piccole angherie da parte dei suoi superiori, ma tutto sommato non si lamenta. Fa parte di un gruppo lavorativo molto coeso, in cui vige un forte spirito di corpo. Sa che, se anche qualche volta gli capitasse di esagerare con il manganello, incontrerebbe comprensione. A differenza di Giorgio, non ha voluto studiare, e non saprebbe nemmeno indicare Rieti sulla cartina. Ma è robusto e non ha paura di niente, e così fa fruttare le sue doti nel modo migliore che ha a disposizione.

Ora, perchè una società tratta Mario meglio di Giorgio? Perchè il primo serve a chi comanda, il secondo no. Semplice, banale, ma vero. Ricordate i Promessi Sposi (chi avrebbe mai pensato che li avrei citati su questo blog...)? Don Rodrigo non va da nessuna parte senza i bravi; gli servono a difendersi, certo, ma anche e soprattutto a incutere timore, a spingere Don Abbondio ad agire contro coscienza. Voi pensate che oggi i poliziotti e i carabinieri siano servitori dello "stato", e quindi nostri? Ma quale stato? I bravi sono di chi li paga. I bravi sono bravi quando fanno i bravi, non quando fanno i bravi. Perdonatemi, non ce l'ho fatta, la tentazione è stata troppo forte. Torniamo a Don Abbondio, il famoso "vaso di terracotta". I bravi hanno gioco facile perchè sanno che ha paura di rompersi. Se i bravi di oggigiorno sparano lacrimogeni in faccia a chi protesta, è per rompere i vasi di terracotta. Non criticateli, non ha senso: stanno facendo i bravi. Per quanto riguarda noi, si tratta solo di scegliere fra la paura di rompersi e quella di essere lasciati a marcire in un seminterrato senza luce e senza aria.
 

martedì 13 novembre 2012

La realtà è un bignè

 
I più sagaci di voi avranno intuito, dalla sempre più rada frequenza dei miei post, che mi sono cacato il cazzo. Si tratta di un fenomeno ciclico, più o meno come le maree o le crisi economiche, che si ripresenta ogniqualvolta vengano meno tutte quelle illusioni e quegli equivoci che ti portavano a vedere la vita con gli occhi di una canzonettista francese d'antan, invece che con quelli di un minatore gallese del primo Novecento. Ma tu lo sai, sai che prima o poi il grisù si diraderà, e ti ritroverai con una baguette sotto il braccio e il cuore colmo di aspettative completamente infondate, eppure non per questo di minore impatto sul tuo mondo interiore. E questa è la vita, mesdames e messieurs.
Oggi, anzichè andare a farmi la doccia dopo il consueto caffè mattutino, ho deciso di scrivere qualcosa. Segnali di ripresa? Mah...

Il fatto è che ieri si è verificata una vera e propria atrocità, che non potevo esimermi dal fare oggetto di sarcasmo e, perdonatemi, di vera e propria acrimonia. Mi riferisco, naturalmente, alle guaratte... ehm, volevo dire al dibattito per le primarie del centro sinistra. 
Ora, voi dovete sapere che io, fra tanti limiti e difetti, ho un dono: quello di capire in brevissimo tempo che qualcosa fa schifo. Una volta, anni fa, mi capitò di guardare un paio di minuti di un episodio di Sex and the City, e da allora ho la certezza, incontrovertibile per quanto mi riguarda, che si tratta di assoluta spazzatura. Mi direte "come fai a dirlo dai pochi minuti che hai visto?" La solita obiezione. Non lo volete capire che ho i superpoteri. Qualche volta ho provato a immaginare un imam che guarda una puntata qualsiasi delle avventure di quelle quattro sbarazzine picare della pica (nome salentino dell'organo genitale maschile); alla fine non avrebbe altra scelta, se non quella di attaccare con violenza, in ogni sua predica, la decadenza morale dell'occidente, e guidare il primo assalto all'ambasciata di turno.

Oh, mio Dio! Mi stai dicendo che in Iran c'è la monogamia???

Dunque, ieri mi è capitato di vedere qualche secondo del dibattito televisivo fra i cinque candidati premier (già la parola mi fa venire l'arteteca addosso) del PD, e vi ho immediatamente individuato qualcosa che mi ha fatto paura. No, dico proprio paura, non l'ho buttata lì così, la parola. Ora provo  a spiegarmi. Ma abbiate pazienza, perchè la dobbiamo prendere alla larga.

Quando ero ragazzino, si parlava dell'America (leggi USA) come qualcosa di lontano e assolutamente estraneo alla nostra realtà. Dire "e che stiamo, in America?" equivaleva a dire che un comportamento, un giudizio o un'analisi erano del tutto fuori luogo, perchè non tenevano conto della realtà dei fatti. L'America, nel nostro immaginario, era il luogo dell'assenza di realtà. Naturalmente, questa impressione ce la aveva comunicata il cinema, a ben vedere noi degli USA sapevamo poco e niente. Ma devo dire che crescendo e conoscendoli meglio quell'impressione è stata confermata. Gli Stati Uniti d'America sono il primo e, per quanto ne sappia, unico paese al mondo creato interamente dall'alto verso il basso o, come direbbero loro, secondo una logica top down. Anche la realtà, laggiù, è un prodotto. In un paese in cui moltissime strade non hano neanche i marciapiedi, in cui le piazze sono una rarità, in cui la gente non vive momenti di socialità che non siano mediati dal consumo, la realtà non può essere che un prodotto. Ma a noi ragazzini napoletani sembrava che l'Italia non potesse mai andare in quella direzione. Forse all'epoca ce ne dispiaceva, ma avevamo la chiara percezione che un paese in cui una ricetta di cucina si può trasformare in articolo di fede fosse al riparo dall'americanizzazione. E questo, amici miei, è il senso della democrazia: produrre cultura dal basso, tanto culinaria quanto politica.

Ci sbagliavamo. Abbiamo visto aprire i Mac Donald nella città della pizza, della mozzarella e della parmigiana di melanzane, abbiamo visto spuntare come funghi i centri commerciali (le famigerate mall), siamo arrivati perfino a celebrare Halloween (o Samhain, che poi è un perfetto esempio di come la cultura mainstream americana vampirizzi prodotti culturali altrui, lasciandone intatta solo l'esteriorità). E, last but not least, abbiamo visto la morte della politica. Ma come ha fatto la gente, quando si è sentita dire che le "ideologie" erano morte, a non togliersi le scarpe e tirarle verso il televisore? Il risultato di questa passività è stato che oggi di "ideologia" ne è rimasta solo una, quella del top down, della realtà bignè, la apro e ci metto dentro quello che voglio io.

Allora, ci sono cinque buste, scegliete. Però sappiate che la TAV si fa, la riforma dell'istruzione non si tocca, di riconsiderare la posizione dell'Italia rispetto a una UE che ci ha portati sull'orlo del baratro nemmeno a parlarne. Guardate quella come si è vestita, scegliete se vi piace di più la narraffione di quello o i "ma scusate" di quell'altro, se non riuscite a dormire c'è Tabacci che fa proprio al caso vostro. Scegliete la busta, e poi lasciate fare a noi: il ripieno di vostra scelta (la customizzazione), una veloce infornata, e la democrazia è servita.


domenica 4 novembre 2012

Nessuno tocchi Aronica


 Da un po' non scrivevo, vittima della pigrizia e di quel vuoto di senso che, paradossalmente, appesantisce la tua vita svuotandola. Ho capito che solo una cosa può darmi gioia e soddisfazione nella vita: andare contro le opinioni diffuse,  le facili conclusioni a cui salta una mente non avvezza all'analisi. E allora oggi trovo un senso alla mia domenica nella difesa di Salvatore Aronica.

Il "lucchetto palermitano", come è stato frettolosamente ed incautamente soprannominato da un commentatore/tifoso di scarsa onestà intellettuale, ha fatto una cappellata. "Cappellata", uno di quei simpatici eufemismi usati dai giornalisti sportivi per non ricorrere a lessemi più coloriti, quali "cazzata", "stronzata", o "puttanata". Questo è quanto ha fatto Salvatore Aronica, a pochi minuti dalla sua entrata in campo. Ma dal riconoscere questa ovvietà a gettare la croce di questi due punti persi sulle spalle di "Totò che pisciò svariate volte", soprannome forse più adatto al nostro, anche perchè fa riferimento al titolo di un film dei suoi concittadini Ciprì e Maresco, ce ne passa. Oggi il Napoli ha fatto pena, ha offerto uno spettacolo indegno del prezzo del biglietto, e in questo spettacolo Aronica non è stato che la ciliegina sulla torta; una torta di merda, farcita di merda, ricoperta da un sottile strato di merda, e servita con un contorno di merda finemente tritata.

Quando gioca in casa contro una neopromossa, una squadra che abbia ambizioni di vertice non ha scuse: deve fare la partita, e solo una serie di sfortunate circostanze può rendere accettabile un risultato non pieno: prodezze del portiere avversario, pali, gol annullati ingiustamente. Oggi il Napoli ha meritato di pareggiare, per quanto si è visto in campo. Il Torino ci ha sovrastati nel possesso palla, ed è riuscito anche a creare alcune situazioni pericolose nella nostra area. Ora, possiamo stare fino a domani mattina a fare analisi dotte e approfondite, ma alla base di tutto c'è una semplice realtà: il Napoli non ha la qualità per sbrigare in scioltezza pratiche relativamente semplici come una sfida in casa contro il Torino.

Quando in Natale in casa Cupiello Ninuccia distrugge il presepe del padre, quest'ultimo non la biasima per il disastro; e non certo perchè consideri il danno di lieve entità (tutt'altro, lo paragona al terremoto di Casamicciola), ma perchè ravvisa in sua moglie la causa ultima del comportamento della figlia. La nemica della casa, la nemica dei figli, la nemica mia.

Avrete già capito, se mi seguite da tempo, dove sto andando a parare. La Concetta in questione è il nostro istrionico e roboante presidente, Aurelio De Laurentiis. Il nemico del calcio a Napoli, il nemico di qualsiasi ambizione che non abbia a che fare con l'ABI e il CAB. Vi siete ammoccati le stronzate (concedetemelo, orsù, questo turpiloquio) che ci propinava sul fair play finanziario e il bilancio in attivo? Mi dispiace per voi, perchè se avete creduto il Napoli una grande squadra la delusione deve essere forte, dopo uno scempio così. Per quanto mi riguarda c'è una sola speranza: il trapasso del mai abbastanza vituperato cazzaro. Dite a Pasquale che, se si dovesse sentire male l'imbonitore di Hollywood, non accendesse le candele alla Vergine. Per Concetta, tutte le candele; per Aurelio De Laurentiis, nemmeno una. Allo scuro, deve buttare il sangue.