lunedì 12 agosto 2013

La larva, la celletta e il povero ragno


Oggi sarei invitato a una festa in piscina. Bello, eh? Tuffarsi nell'acqua fresca, trovare refrigerio dall'arsura mentre un Dan Peterson circondato da leggiadre fanciulle ti informa che, quando il sole ti spacca in quattro, è il momento di Lipton Ice Tea. Il problema è che dovrei trovare le energie per farmi una doccia, vestirmi e arrivare nel luogo in cui la piscina è situata. Un'ordalia del fuoco. 

Non trabocco vitalità, in questo periodo. Non sopporto più il paese che mi cinge d'assedio. E so che peggiorerà. Non tengo genio di fare niente, e niente mi dà gusto. Tutto è scialbo, scolorito dagli impietosi raggi di questo maledetto sole africano. Ho visto un gelataio, mezz'ora fa, nel deliquio della deboscia prolungata e impenitente. Era un miraggio. Eppure i soldi se li è saputi prendere.

Conoscete lo sceliphron spirifex, volgarmente detto "vespa vasaio"? Si tratta di un insetto dalle sembianze decisamente inquietanti, ma che pare sia innocuo per l'uomo. Costruisce nidi di fango nelle nostre case, spesso nelle librerie, nelle intercapedini fra i libri e le mensole. In questi nidi ci sono le sue larve, che la vespa vasaio nutre di ragni immobilizzati con il veleno e depositati vivi nelle cellette. Ecco, il mio destino è quello del povero ragno. Resterò nella cella, vivo ma incapace di muovermi, fino a quando l'orripilante larva del mondo del lavoro, del mutuo ventennale e del centro commerciale la domenica non riterrà di cibarsi di me. Vade retro, femmina. So dove portano le tue sinuose curve.

Io sono un debosciato  a ragion veduta. Non pensate che mi sia abbandonato, che mi sia lasciato andare. Nelle parentesi di impegno che ciclicamente ricorrono nella mia vicenda biografica, divento produttivo. Sì, ma a pro di che? Ricordatevi che la larva vi divora quando vuole: meglio starsene fermi e zitti, è capace che si dimentica di mangiare.

Vi state ammorbando? Avete ragione, perdonatemi. Non voglio deprimervi, cerco solo qualche briciola di solidarietà. Tra qualche giorno sarò al mare, su una spiaggia affollatissima, circondato da elettori del PD immersi nella lettura di noir tutti uguali, scritti con grande mestiere ma senza un centimetro di intestino crasso. Bukowski lodava John Fante perchè era uno scrittore che non aveva paura dell'emozione. Certo, è anche vero che il mondo una volta te ne dispensava, di emozioni. Quel mondo aveva una pluralità di architetti, che litigavano continuamente fra loro, fondavano scuole distinte, erigevano edifici separati. Era un mondo disordinato, instabile, vivo. Non era fatto di cellette di fango. 

In un guizzo di vitalità, e accarezzando dolcemente i tasti per non svegliare la larva che dorme, anche io ho voluto scrivere qualcosa che avesse un respiro un po' più ampio di questi brevi quadretti di orrore e degrado. Senza mestiere, senza editing, ma con un po' di intestino. Un amico sedicente Asperger mi ha fatto notare tonnellate di refusi, ma l'imperfezione è il marchio di fabbrica della solitudine (oltre a quello che state pensando voi ridacchiando, zozzosi) . Ve ne faccio dono, perché se siete arrivati fin qui ve lo meritate. E perché, se io non uscirò mai dall'infame bozzolo, sapere che qualcuno lo ha visitato allevierà un po' questa pena da irrecuperabile sfrantummato.  

Siccome mi rompo i coglioni di cercare un sito su cui caricarlo, se siete interessati voi contattatemi e io vi mando il PDF.