domenica 24 maggio 2015

La prova del cuoco

Nell'aprile del 2012 scrissi un post sul Napoli di Mazzarri intitolato Non si frigge il pesce con l'acqua , in cui dicevo la mia sui risultati al di sotto delle aspettative di quell'annata. In quella sede assolvevo il tecnico di San Vincenzo, che a mio parere, con tutti i suoi limiti, aveva fatto il massimo possibile con la rosa a sua disposizione. Quando arrivò Benitez, e con lui alcuni giocatori di altissimo profilo, pensai che si stesse svoltando; oggi credo di poter affermare tranquillamente che mi sbagliavo, e mi trovo costretto a scrivere due righe sul fallimento di questa stagione.
 
Qualcuno si chiederà perchè non aspetto la fine del campionato, e di vedere se ci qualificheremo per la Champions o meno. Per me questo è ormai irrilevante. Penso che si sia visto abbastanza. E, se tre anni fa assolvevo Mazzarri, quest'anno giudico Benitez colpevole. Sia detto, en passant, che non sono preda di un accesso di titanismo: so benissimo che i miei verdetti lasciano il tempo che trovano. Come al solito, nel mio angolino di sano solipsismo faccio un po' quel che mi pare.
 
Dunque, dicevamo che Benitez è colpevole. Di cosa? Beh, per quanto mi riguarda è chiaro: Don Rafael, da buongustaio qual è, ha preteso di mettere insieme una sontuosa pietanza con ingredienti non adeguati. Sarà che quest'anno ho insegnato in un istituto alberghiero, ma la metafora culinaria mi sembra quanto mai azzeccata. Alla sua personale prova del cuoco, lo spagnolo si è visto mettere davanti un po' di verdura male assortita e nemmeno tanto fresca, una pagnotta dell'altro ieri e qualche etto di jamon serrano che si era portato da casa. Dando prova di scarso realismo o presunzione (delle due una, non si scappa), si è riproposto di preparare un piatto da gourmet, una cosa da palati raffinati. Si è affaccendato ai fornelli "sin prisa y sin pausa", mentre la salsa si azzeccava sotto e la maionese impazziva. Alla fine, in versione "fat Spanish waiter", ci ha servito la porcata senza battere ciglio.

A questo punto sarà anche il caso di notare che chi porta al grande chef il pane duro e la verdura della settimana scorsa non è un fulgido esempio per l'industria della ristorazione; e qui alludiamo al mai abbastanza vituperato cinecazzaro Aurelio De Laurentiis, furbacchione che il Napoli e i suoi tifosi tengono all'ingrasso come faceva la strega cattiva con Hansel e Gretel, senza però - purtroppo - l'intento e la possibilità di infornarlo quando raggiunga la stazza desiderata. Ma di questo ormai ci siamo anche stancati di parlare. La realtà è questa. Non ci servono i Carlo Crocco del pallone, ci serve gente pratica che sappia tirar fuori qualcosa dalla magra dispensa che ci ritroviamo. Rafa ha fallito la prova del cuoco. Avanti un altro, e che chiunque arrivi sappia che non si tratta di sollazzare i nostri palati, ma di placare la nostra fame.

venerdì 15 maggio 2015

Capa tosta

Cari amici, qualcuno mi accusa di scrivere solo di scuola, ultimamente. Bene, li faccio subito contenti: questo post parlerà di calcio. Ieri il Napoli è stato eliminato dall'Europa League, da una squadra che gli addetti ai lavori giudicavano non trascendentale. Una squadra, miei cari lettori, che sembrava alla nostra portata. Cosa è successo? Semplice: loro hanno segnato e noi no. Quando una compagine il cui intero attacco vale di meno del tuo centravanti fa più gol di te nell'arco dei 180 minuti, qualcosa non ha funzionato. Interroghiamoci (è un modo di dire, non voglio parlare di scuola!) dunque.

Questo film, a dir la verità, io l'avevo già visto. Si attacca, si cinge d'assedio la cittadella dell'area di rigore nemica, per poi dover capitolare davanti ai primi colpi di fionda del Davide di turno. Ieri, però, sono riuscito a fare un cosa che quando guardo il Napoli non riesco a fare quasi mai: mi sono distaccato, complice anche la profonda convinzione, maturata dopo appena pochi minuti dal fischio d'inizio, che non saremmo andati in finale. Grazie a questa distanza sono riuscito a guardare l'incontro con un disincanto che in genere mi riesce impossibile. Ed è allora, cari i loro, che ho avuto la mia epifania. Per spiegarvela ricorrerò, come al solito, al più pusillanime biografismo.

Quando ero un pargolo e giocavo con gli amici su campetti improvvisati della circoscrizione Vomero-Arenella, nessuno voleva mai fare il portiere. Alla fine, dopo lunghe e stremanti trattative, si faceva un po' a turno. Quando ci andavo io, in porta, ricordo che guardavo con molta apprensione lo svolgimento dell'agone, nella speranza, prodotta dalla consapevolezza di non valere cento lire come portiere, che gli avversari non arrivassero troppo spesso al tiro. Spesso, purtroppo, questa speranza rimaneva frustrata. La squadra si sbilanciava e rimanevano dei buchi in cui si infilavano gli avversari, procedendo poi a impallinarmi come una quaglia. Ieri, sera, da una prospettiva diversa, ho visto esattamente la stessa cosa. E secondo me Andujar si sentiva un po' come me quando mi toccava andare in porta.

C'è una differenza fra la filosofia speculativa e il calcio, e se guardate lo sketch dei Monty Python sulla partita fra filosofi capirete bene quale: nel calcio non conta tanto pensare bene, quanto il banalissimo vincere. Come? Fatemelo dire in spagnolo, ché alla fine poi Don Rafael è una persona amabile e simpatica, e ci piace il suo idioma: como sea. In un modo o nell'altro. Di stinco, di nuca, di tibia, di naso, como sea. Perfino di deretano, come il compianto Paulo Roberto Cotequinho, centravanti di sfondamento, al secolo Alvaro Vitali. Nel calcio bisogna essere pragmatici, contano i fatti. E allora, quando i fatti dimostrano che il tuo pensiero non è utile allo scopo, tu dovresti modificare il tuo pensiero. Don Rafael no. Come tanti allenatori di prima grandezza (questo non glielo nego certo), ha un credo, e la tifoseria si è conseguentemente spaccata fra chi crede in lui e chi lo contesta praticamente a prescindere dai risultati. In un inane festival della capa tosta, ognuno dice la sua verità, mentre il Napoli perde con il Verona, l'Empoli e altre bande di musica di quella risma, fallndo sfida dopo sfida.
 
L'anno prossimo è probabile che arrivi un nuovo mister. Si è parlato di Mihajlovic. Chiunque sia, la mia speranza è solo una: che la testa di costui abbia la malleabilità di chi sa che il calcio consiste nel fare un gol più dell'avversario, como sea.


 
 

sabato 2 maggio 2015

31 aprile



Cari amici del Bradipo, ieri non era 1 maggio. No, qualsiasi cosa stiate pensando, fidatevi: non era 1 maggio. Il 1 maggio è primavera e c'è il sole, ieri qui a Genova pioveva e faceva quasi freddo. Il 1 maggio è giorno di riposo per i lavoratori, e io ho passato il pomeriggio a correggere le verifiche dei miei alunni. Pile di verifiche da correggere, fanciulli a blocchi da educare. "Fanciulli a blocchi" è una locuzione usata non ricordo più da quale compagno/a di classe in una versione di greco. La causa di una scelta lessicale tanto infausta fu evidentemente l'incapacità di decostruire il significato per poi ricostruirlo nella propria lingua. Per farlo, è necessario un ordine mentale. Il lavoro, di qualsiasi tipo sia, consiste appunto in questo: mettere ordine, trasformare secondo precisi criteri generati dalla nostra mente al fine di ottenerne un vantaggio. E dunque io non potevo riposare, ieri 31 aprile, perché c'era tanto ordine da mettere negli elaborati e nelle menti dei miei discepoli.

Ancora in serata, mentre ammiravo le avvenenti cameriere della pizzeria Totò e Peppino di Brignole, un intrigante scorcio di hinterland napoletano nel cuore di Genova, pensavo a quelle verifiche. Hanno ragione i miei amici e lettori di questo umile blog a dire che sono diventato monotematico, che nella vita c'è altro dalla scuola. Sì, lo ammetto, ho un problema: ho la sindrome di Socrate. Ma prima che a qualcuno venga in mente di obbligarmi a bere cicuta (come se non bastasse l'inferiore qualità del caffè genovese) ci tengo a precisare che il mio amore per i fanciulli è di tipo rigorosamente platonico. Si tratta non già di disperdere il seme, offizio che ossessiona questa nostra epoca tristemente e aridamente votata al consumare, che senza la capacità di rigenerare equivale al distruggere; ma invece di piantare il seme del buon ordine.

Da quando sono all'IPSSA Bergese ho ripensato spesso a un concetto espresso da Thomas Paine in Common Sense e ripreso da William Godwin nella Political Justice, quello del governo come "male necessario". Un male che, secondo il buon William, può essere contrastato e debellato grazie a una "gradual illumination of the human mind". Ed è questo il punto, di questo post come ormai probabilmente di tutta la mia vita: contribuire, per quel poco che mi è possibile, a illuminare.

E continuiamo a saltare di palo in frasca, perchè dove sta scritto che l'ordine debba essere prevedibile e noioso? Peppino De Filippo, la cui immagine ieri campeggiava imponente su un muro del locale di ristoro già menzionato, era un uomo di destra. Era, diciamola tutta, fascista, cosa che diede luogo a proverbiali litigi con il fratello Eduardo. Ma ascoltate qualche intervista di Peppino, e capirete che era un uomo molto serio. Ho l'impressione che Peppino fosse una di quelle persone che si innamorano dell'idea di un ordine imposto dall'esterno perchè non credono, magari non immaginano neanche che sia possibile un ordine generato dall'interno. Del resto, l'argomentazione dei "treni che arrivavano in orario" in funzione di apologia del fascismo è ben più proverbiale dei litigi fra i due fratelli De Filippo.

E veniamo finalmente alla conclusione. Viviamo in un'epoca rivoltante nella sua violenza e nel suo fanatismo. Un'epoca fan accanita dell'ordine imposto. Il vostro amico Bradipo crede, forse ingenuamente, che sia assolutamente necessario e soprattutto possibile mettere ordine innanzitutto nelle nostre testoline. Per questo si ostina a zappare, svangare, arare l'ingrato campicello simbolico che gli è toccato in sorte. Nella speranza che un giorno riusciremo a liberarci del 31 aprile, e potremo goderci il sole e l'ozio di un 1 maggio conquistato insieme a una umanità più degna, più evoluta, più saggia.