lunedì 27 giugno 2016

Multiple choice

E adesso vi tocca un post al giorno! E tutti sugli stessi due argomenti: la scuola e il Brexit, ovvero la mia vecchia e la mia nuova ossessione. Che volete, come tutti gli anziani mi ripeto. Si è creato un vuoto spaventoso nelle nostre vite. Un elefante ha lasciato la stanza, e mi sembra assurdo come in molti, la maggior parte di noi, non se ne sia accorta (o faccia finta di non essersene accorta). Quell'elefante era il collante sociale che ci teneva più o meno uniti, che ci faceva sentire compartecipi di un destino comune. Oltre la politica, oltre le differenze sociali (fino a un certo punto), perfino oltre la squadra del cuore. Quell'elefante si chiamava buon senso, o common sense, come dicono a Mugnano di Napoli: quel magnifico bagaglio di esperienze condivise, e di idee e posizioni basate su quelle esperienze. La visione del mondo di ciascuno di noi era frutto di un rapporto dialettico con la realtà, non di un indottrinamento internautico. Chi operava nel sistema mediatico scriveva o parlava di quella realtà da un punto di vista dialettico, schierandosi ovviamente, ma schierandosi su questioni reali. Oggi molti dei miei alunni non hanno mai visto un film di Fantozzi (e io insegno a Genova, eh); come pretendiamo che convivano e comunichino fra loro? Il vegano se la farà con il vegano, l'hipster con l'hipster, il rapper con il rapper e così via. A ognuno la sua setta, la sua nicchia, e le sue verità, ovviamente preconfezionate e mai passate al vaglio della ragione. Perché, è chiaro, se la tua fragilissima identità si costruisce su una serie di dogmi, tu poi quei dogmi li devi difendere tooth and nail, come dicono a Monteruscello.

Provate a leggere questa intervista. Notate come il giornalista pone le domande: la risposta è già contenuta nella formulazione della domanda stessa, e il filosofo se ne accorge e lo fa notare. Non c'è ricerca, non c'è indagine, non c'è sforzo conoscitivo. Ci sono risposte imparate più o meno a memoria, una lettera su cui mettere ogni crocetta. Io lo so da dove viene questa mentalità. Io lavoro nella fabbrica di questa mentalità del belino, e dico del belino. Chiedi ai tuoi alunni di imparare a replicare una serie di affermazioni apodittiche, e la maggior parte non avrà problemi; fai leggere un testo e invitali a commentarlo liberamente, e li vedi andare nel panico. Questi sono i ventenni oggi. Da una parte del voto e anche dall'altra.

Vi faccio una domanda, e ve la faccio perché veramente non ho una risposta, per quanto sembri incredibile, in questa epoca di certezza universale. La domanda è: un'altra Unione Europea è possibile? Ora, una risposta affermativa implicherebbe un processo di trasformazione. Ma, ammesso e non concesso che questo processo di trasformazione possa essere avviato, chi dovrebbe portarlo avanti? I tecnocrati che oggi governano l'Europa? Beh, sono loro che l'hanno plasmata così, perché dovrebbero modificarla? It works a treat, come dicono a Palma Campania. Al massimo potrebbero apportare qualche correttivo per limitare ulteriormente le ingerenze dell'opinione pubblica e della volontà popolare nei loro affari. Dunque, se riforma ci deve essere, va fatta dai popoli. Da quei popoli che sbagliano i test a scelta multipla. Ma allora il problema è la presunta "ignoranza" dei popoli o il test a scelta multipla? State attenti a dove mettete la crocetta.
 

domenica 26 giugno 2016

Il collegio dei docenti e l'abuso di democrazia

Cari amici, come potete vedere non trovo pace. Da qualche giorno a questa parte, un po' perché la scuola è sospesa, un po' perché i britannici hanno fatto la marachella, ho tanta voglia di scrivere. Anche perché poi, fra una partita e l'altra di Euro 2016, leggo le dichiarazioni di questo o di quel sadico antisociale (in Italia abbiamo una cantera di questa gente, che il Barcellona ci fa un baffo), il quale ci spiega come il Brexit sia stato un'onta inaudita, una macchia indelebile sulla camicia buona dell'Occidente.
 
Nel titolo del post faccio riferimento proprio a una di queste dichiarazioni, quella dell'ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Roberto Saviano tira fuori dal cascione addirittura Hitler e Mussolini. Lui dice di ricordare come le folle acclamavano i due leader (lui "ricorda" tutto, probabilmente era anche compagno di banco di Göring). Insomma, siamo di nuovo al popolo bue che non sa, non deve decidere.
 
E cosa c'entra il collegio docenti? Un po' di pazienza. Ché poi, se mi leggete, è certamente per questo mio modo di costruire i post, mica per attingere al mio Verbo. O almeno spero. Dunque, se non fate gli insegnanti e dunque non siete mai stati a un collegio docenti, vi spiego cos'è: è un luogo in cui viene data la possibilità a noi professori di ratificare decisioni prese da altri. Il DS (dirigente scolastico, oggi il preside si chiama così) parla, parla, parla fino a sfinirti, e poi ti fa alzare la mano. Non importa come voti. Un voto contrario alla linea della dirigenza non è che un temporaneo ostacolo, una battuta d'arresto; tanto comunque una proposta alternativa dovrà essere stilata per forza da loro. Tu non deciderai mai niente, perché non hai diritto di ingresso colà dove si puote. La scuola è governata da un'idea tecnocratica, non democratica.

Ma cosa vogliono dire questi due termini? Entrambi contengono la parola greca antica kratos, ovvero "potere". Potere del popolo contro potere della competenza, della techné. La democrazia, nella nostra epoca, deve essere maquillage, una bella facciata dietro la quale il palazzo trama contro i villici. Stare con questi ultimi (dei quali del resto fai parte, 999 volte su mille) ti fa bollare immediatamente come "populista", come se il popolo fosse cacca. E loro, questo, lo pensano davvero. Disprezzano il popolo per la sua ignoranza (guardate i social e datemi torto, se potete), come se l'gnoranza fosse colpa di chi la subisce, e non di chi ha preso a colpi di maglio per decenni il diritto universale all'educazione. Diritto che era stato affermato proprio perché potessimo esercitare come si deve la democrazia, non per insegnarci a essere bravi sudditi, mentre comanda chi sa farlo. La disobbedienza, cari i miei tecno-fascistelli, non è un abuso della democrazia; la disobbedienza è la democrazia. Quella cosa che, quando alzi la mano, puoi decidere.
 
 

venerdì 24 giugno 2016

Una chitarra da riaccordare

Cari lettori, buongiorno! Vi sarete accorti del panico generato dal voto britannico. Si è scatenata un'isteria millenaristica intorno alla decisione di questo popolo evidentemente becero e razzista, salviniano senza sapere di esserlo. Geova li punirà, non c'è dubbio. Fire and brimstone, come dicono a Pontecagnano. La quasi totalità dei miei amici su Facebook ha detto la sua, in termini prevalentemente apocalittici. Potevo mai io, re indiscusso degli idioti, perdere un'occasione per confermarmi tale?
 
Saprete, e se non lo sapete ve lo dico io adesso, che fra le tante onte che arreco all'Universo c'è quella di violentare orrendamente la chitarra, cercando di estorcerle suoni dotati di un minimo di armonia e costrutto. Ovviamente non ci riesco, ma non è quello adesso il punto. Il punto è che io ed alcuni dei miei amici suoniamo la chitarra, o ci proviamo. Il primo ostacolo, nel prendere lo strumento in mano, è costituito dall'accordatura. La chitarra è uno strumento che la perde facilmente. Ora, fin quando le corde sono in dissonanza fra di loro è facile: ti accorgi subito che la chitarra è scordata. Il difficile è quando tutte le corde si sono abbassate o alzate di tonalità nella stessa misura, e dunque lo strumento risulta apparentemente intonato. Sospetti che non lo sia quando ti metti a suonare insieme al tuo amico e senti che le vostre chitarre non sono in assonanza. Verifichi che non lo è quando ti affidi alla oggettività del diapason (tiempe belle 'e na vota...) o di un accordatore elettronico. C'è, dunque, una prova del nove che dirime ogni dubbio, una fonte di certezza terza rispetto alle due chitarre. 
 
Ma se invece  entrambe le chitarre fossero scordate in modo da risultare accordate fra loro? Questo è difficile che accada, perlomeno a me non è mai capitato di sentirlo. A meno che... 
 
Oggi - e per la verità già da un po' - la "destra" e la "sinistra" mainstream si sono accordate, è proprio il caso di dire, su uno spartito quasi perfetto. Hanno dato il LA a una profonda ristrutturazione della psicologia collettiva dei popoli, del nostro modo di percepire la realtà e, soprattutto, noi stessi. Si suonano un contrappunto continuo che, più che marcare differenza, esprime complementarietà. Non sono visioni alternative del mondo; sono visioni perfettamente atte a convivere (e, anzi, interdipendenti) destinate a diversi segmenti del mercato del consenso. L'effetto è un'armonia rassicurante, che ci culla nelle nostre certezze, fino a che... fino a che il diapason della realtà irrompe sulla scena e ci fa capire che sono tutti fuori tonalità.
Lavoro, giustizia sociale, libertà innanzitutto economica, diritti. Questo è il LA. Su questo va accordata la chitarra. Facciamolo, per la miseria, e poi ci renderemo conto degli stucchevoli barocchismi dietro i quali si nasconde il trasversalissimo partito dell'ingiustizia, del privilegio, dello sfruttamento. E poi magari mettiamo via le velleità da concertisti e lo spartito di Segovia, e iniziamo a suonare la canzone semplice e autentica che parla di chi siamo e dove vogliamo andare.

giovedì 23 giugno 2016

Il sacro bue e la rivoluzione possibile.

Cari lettori, buonasera. Dal momento che il caldo è ormai arrivato, i raggi del sole si abbattono impietosi su chiunque abbia l'ardire di esporvisi, e le mosche ronzano intorno alla carcassa putrefatta della civiltà occidentale come intorno a una testa di porco, non v'è che una soluzione: chiudersi in casa e non aprire a nessuno. Ma come sopravvivere? Al di là di qualche rapida sortita per approvigionarsi, come passare il tempo che ci separa dal prossimo autunno, quando sarà di nuovo sicuro avventurarsi nel mondo esterno? Io posso dire solo che mi impegnerò per fare la mia parte. Comincio subito.

Il successo elettorale del M5S in diversi comuni (in particolare Roma e Torino) nelle ultime amministrative ha scatenato un'ondata di ironia e sarcasmo. Sappiamo bene che, con l'avvento dei social network, siamo diventati tutti grandi filosofi e/o comici. Nulla sfugge alla nostra comprensione, e mai e poi mai perderemmo la possibilità di sfoggiare il nostro sublime senso dell'umorismo attraverso qualche arguto motteggio, che naturalmente non manca mai di suggerirsi alle nostre eccelse menti. Grazie a Mark Zuckerberg e compagnia, non siamo più costretti ad essere dei poveri coglioni che lavorano tutta la vita per pagarsi il mutuo e, magari, comprarsi la macchina nuova ogni cinque o sei anni. Oggi possiamo essere tutti qualcuno. Guardate, perfino io!

Però devo confessarvi che a volte dubito della mia intelligenza. A dirla tutta, ne dubito quasi sempre. Il fatto è che non vi capisco. Avendo un'intelligenza rozza e poco sviluppata, non arrivo dove volano le acquile come voi. Ad esempio, non sono mai riuscito a capire una cosa, ve lo confesso con tutto il candore del caso (tè tè, beccati questa allitterazione!): com'è che il popolo qualche volta è bue, mentre altre è un'entità di ineffabile purezza, una fonte di suprema legittimazione morale alla quale solo i giusti hanno il diritto di abbeverarsi?

In attesa delle vostre risposte, che spero arrivino presto e numerose (parlo con voi, sommi sacerdoti della ragione!), proverò ad arrangiare qualcosa da solo. E, poiché sono così stupido, non posso che andare avanti a botte di domande. Di quelle ne ho tante; di risposte, ahimé, poche. La prossima domanda è questa: ma chi è il popolo?

No, perchè il linguaggio è complesso (scusate se ogni tanto mi concedo un'affermazione) e c'è una cosa che si chiama "polisemia": le parole hanno più significati. A volte questi sono distanti fra loro, e allora possiamo distinguerli chiaramente. Ad esempio, "canto" può essere l'atto del cantare, ma anche un angolo (sebbene questo secondo significato sia un po' desueto). Altre volte, invece, i vari significati di un lemma possono essere più vicini. Ed è lì che l'affare si imbroglia. Il popolo, ad esempio, può essere l'insieme dei cittadini di un paese (il popolo italiano, il popolo francese ecc.) ma anche qualcosa di diverso, meno neutrale, più connotato. Vediamo un po' di definizioni. Secondo il Sabatini/Colletti, consultabile sul sito del Corriere, nell'accezione numero 4:

In senso sociale, il complesso dei cittadini che costituiscono la parte più numerosa, meno agiata di uno stato.

Per il Garzanti online:

L’insieme delle classi sociali di più modeste condizioni economiche e civili.

Per l'Hoepli, consultabile sul sito di Repubblica:

Il complesso delle classi sociali meno abbienti della popolazione di uno Stato.

Dunque, oi polloi, come dicevano i pederasti olivofagi, la moltitudine, la turba, la zantraglia, la mazzamma. La sfaccimma della gente. Gente che ha poco e conta poco. Cari amici, se ci togliamo il prosciutto dagli occhi ci rendiamo conto che noi ne facciamo parte. Se la smettiamo di confondere ottocentesche narrative romantiche sul proletariato con la realtà che abbiamo fuori da quella porta (oltre la quale torno a implorarvi di non mettere piede nelle ore più calde, e comunque mai più del tempo strettamente necessario) ci renderemo conto che il popolo oggi, quella sentina della storia disgustosa e nauseabonda, siamo noi. Se mi stai leggendo vuol dire che non sei su un panfilo, circondato da donnine in topless; e quindi anche tu, che ti piaccia o no, sei popolo.

E qui sono certo di aver causato a molti profonda insofferenza. Dice "noi abbiamo studiato!" E 'sticazzi, le menti raffinate che mandano avanti la baracca saranno sempre un passo avanti. Dice "il dentista e l'avvocato non sono come l'operaio!" Certo che non lo sono. E l'operaio non è come il precario del call centre, il quale a sua volta non è come il disoccupato. E perfino il disoccupato, se può godere di qualche rete sociale (in genere la famiglia) non è come il nullatentente costretto a chiedere la carità per non morire di fame. Ma è anche vero che, più sei ai margini di una società, più sei disperato, meno riesci a interessarti alla cosa pubblica. Non è che sei bue. Hai altri cazzi per la testa. E questo non ti nobilita.

Un processo politico rivoluzionario, per avere successo, deve essere portato avanti da una base di consenso quanto più ampia è possibile, specialmente se te la stai giocando con un nemico che riesce a produrre tanto consenso, giocando sporco. I marginali in una società non hanno mai prodotto, e mai produrranno, significativi cambiamenti politici. Questo mi arrischio ad affermarlo con certezza. Le rivoluzioni le fanno oi polloi: il che in Italia nel 2016 vuol dire l'operaio, l'impiegato, il salumiere, il farmacista e pure l'amministratore di condominio. Ecco perchè il M5S guadagna voti. Vuole fare la rivoluzione che si può fare, quella del bue che si è stancato di arare il campo al padrone e poi essere disprezzato, di essere insomma cornuto e mazziato. E il bue magari non sarà intelligente come voi che avete studiato e leggete i libri scritti fitti fitti e senza le figure, ma è forte. E la forza si sconfigge con la forza, non con le citazioni e le battute di spirito. Per questo, essendo io un idiota, chiudo parafrasando Majakovskij: attenti al bue, non sia mai gli venisse in mente di torcere il collo ai canarini che cinguettano contro la sua rivoluzione.  

martedì 7 giugno 2016

Tutti insieme appassionatamente

Cari amici, ho capito di essere come Concetta Cupiello: mi sono fatto vecchio, sono diventato aspro... sarà che in questi giorni si sta chiudendo l'anno scolastico e, per quanto possa sembrare incredibile a gente della nostra generazione, che ai primi di giugno si "ritirava", i miei alunni stanno sostenendo ancora interrogazioni. Perfino domani, ultima giornata ufficiale di lezioni, dovrò sentire due persone. Di questo, come di ogni altra manchevolezza dei miei studenti, il responsabile sono naturalmente io; io, che ho osato mettere in discussione il dogma del lieto fine, in cui questi ragazzi sono stati allevati.
 
Sono diventato, come dicevo, aspro. Un tempo, quando io stesso ero fra i banchi di scuola e sul mio capo cresceva qualcosa di simile alla scarola, ero propenso ai frizzi e ai lazzi. Allietavo i compagni col mio buonumore e le mie rime spiritose e mordaci. Oggi questo continua ad accadere, in una certa misura, in aula professori; non più, ahimé, in classe. Sapete com'è, oggi sono un insegnante. Sento di avere delle responsabilità. Per questo somministro insufficienze e traumi psicologici, e per questo devo temere la tremenda vendetta dello spirito di Julie Andrews.
 
Ma non è solo uno sfogo personale, questo. Come spesso accadde, o mythos deloi, ovvero, per i non grecisti, il fatterello da cui parto non è che uno spunto aneddotico per insinuare le mie teorie più o meno bislacche. Quando vedo i giovani radical chic, penso due cose: la prima, naturalmente, è una semplice constatazione di quanto ossigeno si sprechi all'interno dell'atmosfera terrestre; la seconda è che un simile scempio debba avere delle cause. Dove sono, dunque, le radici del male?
 
Come dicevo, i miei studenti sono stati presi da un improvviso, irrefrenabile impulso a parlarmi di Wordsworth e Coleridge. Per questo mi fermano ognora nei corridoi, al che io non posso fare a meno di domandare, come l'ospite dello sposalizio della famosa poesia, quella dove qualcuno spara a un gabbiano (cit.), 
 
Now wherefore stopp'st thou me?
 
Ma non sono che affettazioni di maniera. So bene cosa vogliano. Vogliono portarmi nella terra of ice and snow del gelo psicoevolutivo,  quel luogo in cui l'ingegno umano è
 
as idle as a painted ship upon a painted ocean
 
e lì sottopormi al supplizio che mi spetta per aver abbattuto l'albatros della loro spensieratezza con i miei voti "rossi". Vogliono valicare le frontiere che separano il successo dall'insuccesso, senza dimostrare il minimo rispetto per chi ha lavorato per costruirlo, il successo. Vengono a provare l'interrogazione, come se il loro insegnante fosse una slot machine. E pensano che il mero fatto di provarci debba determinare l'ammissione in seno alla ecclesia, in quanto eterni catecumeni che non imparano mai, una buona volta, quei cazzo di dieci comandamenti, manco fossero cento.
 
Non esistono problemi da risolvere, ostacoli da sormontare, prove da affrontare (con la conseguente possibilità di non farcela). C'è solo una pretesa di avere la tavola apparecchiata. Questo è l'uomo nuovo che vogliono i miei alunni. Ecco da dove vengono i coglioni che parlano di solidarietà e accoglienza con i soldi di papà sul cellulare, in un paese in cui i posti di lavoro spariscono a velocità vertiginose. Ed ecco perchè io continuerò a sparare all'albatros, e riempire di rosso la sezione VOTI del registro elettronico, nella speranza che il finale di questa nostra triste vicenda collettiva veda  l'inetto di oggi risvegliarsi un giorno
 
A sadder and a wiser man
 
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