venerdì 31 dicembre 2010

La sintassi dei sogni e la felicità impraticabile

Capita di tanto in tanto che, per uno strano scherzo del destino, di quelli tanto cari a Lina Wertmuller, dagli abissi marini spunti fuori qualche bizzarra creatura dall'aspetto vagamente e inspiegabilmente inquietante. Ricordate, ad esempio, lo squalo preistorico pescato nelle acque del Giappone qualche anno fa? Ecco, capita a volte che dai più profondi recessi delle nostre menti affiorino alla superficie abominii non meno insoliti e mostruosi (nel senso latino del termine). Gli abissi della psiche, come tutti sappiamo, si chiamano "inconscio"; che, come ci spiega Massimo Troisi in Le vie del signore sono finite, significa appunto "in testa". L'inconscio è lì, ben localizzato, studiato e analizzato ormai da un secolo abbondante; eppure seguita a creare equivoci e confusioni. Del resto, è evidente: un conto è sapere che esiste la Fossa delle Marianne, e un altro conoscerla palmo a palmo.

Chlamydoselachus anguineus, meglio noto come squalo preistorico giapponese

L'inconscio, come abbiamo detto, si trova dentro la testa; ma cosa c'è dentro l'inconscio? Pare che la risposta sia: i sogni. Quando non mangiava strudel o ascoltava Mozart (magari gustandone al contempo le deliziose palle), Sigmund Freud si accomodava nel suo studio in compagnia di donne nevrotiche e le incoraggiava a raccontargli, con dovizia di particolari, i loro sogni. Oddio, che fossero nevrotiche lo sosteneva lo stesso Sigmund, qualcun altro potrebbe ipotizzare che fossero molto più semplicemente infelici, insoddisfatte. Il punto è che, nella rigida società viennese dell'epoca, perdere il proprio contegno anche soltanto per un attimo, in presenza di testimoni, era assolutamente inaccettabile. Una battuta appena sconveniente, una risatina di troppo, una scenata a tavola, specie davanti ad ospiti, equivalevano per quei borghesotti dai rigidissimi colletti a sbroccare. Sono sessista o biecamente boccaccesco se ipotizzo che i problemi di Anna O. si sarebbero potuti risolvere molto meglio e più rapidamente con l'intervento di un gigolò, anziché di un medico? Se invece volessi dar retta alla mia giovanile e ormai accantonata (e con ottime ragioni) indole romantica, direi che forse il problema di Anna O. era di non aver mai trovato l'amore, qualsiasi cosa voglia dire questa frase dal sapore così smielato e retorico. I sogni, per Freud e i suoi seguaci, sono come indizi, prove di un delitto da cui partire per ricostruire il misfatto, e risalire al colpevole. Del resto, se l'infelicità è una malattia, va individuato l'agente patogeno. Io mi abbandonerò invece alla mia indole comico-poetica, da eterno e incorreggibile Pulcinella, e definirò i sogni ingiunzioni di sfratto: quando un pensiero resta per troppo tempo nell'inconscio, il padrone di casa gli intima di fare fagotto. Un pensiero sfrattato dall'inconscio non può fare altro che prendere la mappatella e andarsene a stare dove il Super-Io non gli rompe più le scatole: nei nostri sogni.
Il problema, a questo punto, è che uno vorrebbe anche farlo uscire quel pensiero dal limbo, dalla terra di nessuno che è la dimensione onirica; ma purtroppo lì i pensieri si combinano e si manifestano in base a una sintassi differente. La sintassi della vita da svegli, ben esemplificata dalla sua omologa che regola i nostri idiomi, è lineare (le parole e le frasi si susseguono, sono disposte in base a una sequenza con un ordine preciso) e conforme ai principi elementari della logica formale (se A è diverso da B non può essere anche uguale a B). La sintassi dei sogni è diversa, è un guazzabuglio di elementi che non si capisce cosa abbiano a che fare l'uno con l'altro, si sovrappongono, si confondono, mutano e precipitano gli uni negli altri.

E allora mettere ordine in quel caos risulta arduo; tirare fuori il senso da quell'acquitrino di simboli è un po' come pescare il pescecane preistorico di nipponiche origini.
Affascinato da questo mondo curioso assai, certamente più interessante di quello che mi circonda quando apro gli occhi, cominciai una decina d'anni fa a prendere nota dei miei sogni. Seguendo le indicazioni e le dritte di alcuni siti di dubbia validità scientifica, mi accinsi addirittura a decifrare questi pensieri che migravano a orde dal mio inconscio, come per l'emanazione di leggi razziali, più che semplici ordinanze di sfratto. Sempre, s'intende, in uno spirito rigorosamente pulcinellesco e men che dilettantistico. Le conclusioni a cui mi portò questa attività furono essenzialmente due:

1) Sto diventando forse ricchione.

2) La felicità è sostanzialmente impraticabile.

Sorvolando sulla conclusione numero uno, in quanto trattasi di affermazione che, fra il serio e il faceto, si trova molto più sul versante del faceto, passiamo a commentare il secondo punto.

Quanti fantasmi mi hanno visitato in anni e anni di frenetica attività onirica... Sì, perchè, accortosi evidentemente che prestavo attenzione a tutti quei pensieri sfrattati, il mio inconscio ha progressivamente incrementato il numero di sfratti. Sono arrivato ad annotare oltre un centinaio di sogni, in circa cinque anni; e si tratta solo di quelli che riuscivo a ricordare abbastanza bene da stenderne un resoconto. Dare una sistemazione a tutti quegli sfollati non era un'impresa da poco; sarebbe stato più facile trovare alloggio a tutti i terremotati dell'80. Vedevo le loro facce stravolte da profughi, da vittime della guerra e della fame, ma non capivo le loro lingue. Non potevo andare incontro alle loro richieste, per quanto pressanti fossero. Certo, dialogavo perfettamente con loro nella zona franca della fase REM, ma una volta fuori era difficile dare loro un senso pertinente alla vita "reale".
Questi profughi erano i miei desideri, i miei bisogni, le mie aspirazioni recondite. E c'era lo stesso rapporto fra me e loro che può esserci fra Calderoli e un senegalese che va in moschea a Milano indossando la maglia del Napoli. E allora, d0v'è l'interprete? Come mediare fra due lingue, e due mondi, così diversi? Chi può chiarire il mistero dei sogni?
Agire d'impulso, seguendo il messaggio che crediamo di discernere in quelli, può essere pericoloso. Possiamo ritrovarci nelle condizioni del povero Alberto Saporito di cui sopra, o in quelle di Sigismondo, l'abbrutito tiranno protagonista di un famoso dramma di Calderón de la Barca, anche lui incapace di distinguere i sogni dalla realtà. E così, proprio quando ti sembra di essere riuscito a dominare il corso degli eventi, di aver dato alla tua vicenda una sintassi coerente, anche una forma stilisticamente discreta, rischi di risvegliarti nella tua cella, in catene. A me capita puntualmente, ogni volta che mi faccio un bel sogno. Alla fine non si riesce a capire più se gli occhi sono aperti o chiusi. O forse, come ipotizzava Borges (e qui chiudiamo questa volgare messinscena di cultura letteraria), ognuno di noi è sognatore e sognato allo stesso tempo. Ciò vorrebbe dire che qualcuno sta sognando me... Ih che suonno 'e mmerda ca se sta facenno!

mercoledì 29 dicembre 2010

La leggenda del re bevitore

Cari lettori, oggi parliamo di mitologia. Per la precisione, di una leggenda nordica che si credeva perduta, e che solo pochi anni orsono è stata riportata alla luce dal lavoro certosino del grande archeologo Sir Michael Hunt, della University of East Anglia. Si tratta del mito di Vognar, il grande Rigurgitatore. La versione che ci è pervenuta (una pergamena ritrovata da Hunt in un sottoscala dell'Ikea) risale al XII secolo, ma pare che la leggenda fosse in circolazione almeno da cinquecento anni prima, e fosse parte di una saga ormai perduta.
Vognar, re dei Geati e discendente di Beowulf, è stimato dal suo popolo per la saggezza e il valore in battaglia; ma sono soprattutto le smodate quantità di alcol che ingerisce tutte le sere a guadagnargli la sua illustre fama. Purtroppo capitava di tanto in tanto che Vognar avesse diverbi con la giovane moglie Inge, una fanciulla bella e florida, che rinfacciava al marito i bagordi protratti fino a tarda ora e (dicono i più maliziosi) il suo conseguente venir meno ai doveri comiugali. La violenza domestica è sempre qualcosa di deprecabile; ma quando questa ha luogo nella stanza da letto di un guerriero vichingo, laddove quegli custodisce la sua grossa e pesante ascia bipenne, gli esiti sono spesso e volentieri nefasti. Fu così che Inge cessò di essere bella e florida per passare su due piedi allo status di cadavere orrendamente mutilato. Le società scandinave arcaiche presentavano caratteristiche fortemente egalitarie (come ci insegna Sir Michael nel suo Storia sociale della Scandinavia altomedievale), e così Vognar fu costretto all'esilio dal consiglio degli anziani.
Vognar il grande Rigurgitatore, in una illustrazione di Gustavo Dorè

Nelle tortuose e sdrucciolevoli (per via del ghiaccio) stradine di Trondheim non riescheggiarono più i salaci motteggi e le sguaiate risa dell'ebbro monarca, e ben presto il volgo (che, vale la pena di ricordarlo, è zotico e ciarliero) si dimenticò di lui. Tutto procedeva come sempre, in quell'accrocchio di casupole fra le immense foreste di conifere e il gelido Mare del Nord. I Geati non sentirono il bisogno di eleggere un nuovo re, ma entrarono in assemblea permanente (le società scandinave arcaiche erano un fulgido esempio di democrazia partecipativa) e fondarono l'ingiustamente dimenticata Comune di Trondheim.
Proprio quando sembrava che tutto si fosse aggiustato per il meglio, qualcosa di orribile rammentò a quegli ipotermici bifolchi la ragione che rende necessari momarchi e asce bipenni: dalle oscure, profonde e frigide acque del mare emerse il Kraken, più mostruoso e malvagio che mai. Appena il Kraken fu salito il superficie, i Geati capirono che avevano fatto un tragico errore di calcolo. Presero a strapparsi i capelli e maledire la loro avventata decisione, mentre l'abominio pelagico li afferrava fra le possenti fauci e li divorava senza pietà.

Il Kraken salito in superficie, in una illustrazione di Gustavo Dorè

Caro lettore, la Svezia oggi non sarebbe altro che uno sterminato cimitero, se Vognar non fosse tornato nella città natale, allertato da una visione che il benevolo Odino gli aveva mandato in sogno. Lanciato il suo urlo di battaglia, si scagliò sul Kraken con tutta la sua forza, ma si accorse subito che le armi convenzionali non potevano nulla contro quella creatura demoniaca. E così Vognar ingurgitò una quantità smodata di idromele, fino a esserne ebbro e satollo. Poi, cacciatosi due dita in gola con la risolutezza di cui solo il vero beone è capace, prese a vomitare senza il minimo ritegno nella direzione del Kraken. I bifolchi ipotermici non potevano credere ai loro occhi: quel mostro dalle dimensioni mastodontiche venne spazzato via senza difficoltà dall'osceno torrente che sgorgava dalle fauci di Vognar. Con un verso assordante quanto straziante il Kraken si inabissò nelle acque dalle quali poc'anzi era salito in superficie, fra il tripudio dei Geati. Vognar, stravolto per lo sforzo, giaceva esanime in una pozzanghera fetida e ripugnante, ma vittorioso e finalmente riabilitato. Quello stesso volgo che lo aveva cacciato come un cane randagio ora lo acclamava come il salvatore di un intero popolo. In suo onore fu costruita una sfarzosa Sala dei Bagordi, e fu eretta una magnifica statua di bronzo di Vognar, il grande Rigurgitatore. E' anche vero che per svariati mesi da quelle acque immonde non si riuscì a pescare un merluzzo che fosse uno...ma questa è un'altra saga.

Il vomito, in una illustrazione di Gustavo Dorè

venerdì 17 dicembre 2010

Nè con don Saviano nè contro don Saviano


Ah, che bello poter finalmente discutere di qualcosa che non sia sempre il solito Napoli o un generico malessere privato. Con la vita politica ormai ai minimi storici dell'Italia repubblicana, i movimenti si impadroniscono delle strade e, nel bene e nel male, fanno parlare di loro. Come accade di norma ogniqualvolta gruppi numerosi di persone si riuniscono in un qualsiasi luogo, per un qualsiasi scopo, sono scaturite tensioni e si sono innescate dinamiche potenzialmente pericolose. Martedì pomeriggio, a Roma, nella zona di Via del Corso/P.zza del Popolo, queste dinamiche sono sfociate in tafferugli piuttosto violenti fra manifestanti e forze del (dis)ordine. Come è ovvio nell'era della comunicazione e dell'high-tech, questi scontri sono stati ampiamente documentati con video e fotografie. Abbiamo visto i sanpietrini, le bombe carta, i fumogeni, e poi i manganelli, le suole degli anfibi e addirittura la pistola di un finanziere che, a dirla tutta, non aveva l'aria di essere molto presente a se stesso mentre la brandiva, anche perchè aveva subito un discreto cappottone a base di calci, pugni e colpi di bastone. Fatemelo dire subito: è stato un errore. Se porti centomila persone in una piazza non hai bisogno della violenza per avere visibilità. Inoltre, dare addosso ai servi per colpire il padrone non ha il minimo senso: per quanto Ignazio La Rissa ieri sera si prodigasse in complimenti e leccate di culo ai poliziotti che per 1200 euro al mese devono fare quel lavoraccio e devono anche prendersi gli insulti e le botte, la verità è che non interessa a nessuno se un povero cristo che non ha trovato di meglio per guadagnarsi da vivere si rompe la testa. Condanno quella violenza, senza attenuanti.
Ora che ho messo in chiaro la mia posizione, vorrei però far notare come quelle intemperanze, tra l'altro frutto di una esasperazione che chi ha il sederino al caldo (metaforicamente, in questo gelido inverno...) difficilmente può capire, hanno fatto passare in secondo piano (se non terzo o quarto) le ragioni della protesta. La situazione insoddisfacente della ricostruzione all'Aquila. La gestione tragicomica dell'emergenza rifiuti a Napoli. E, dulcis in fundo, una riforma dell'istruzione così cattiva da aver messo d'accordo studenti, ricercatori e docenti nel condannarla.
Non sono così ingenuo da non capire che i movimenti spontanei, quelli non pilotati da partiti o altre istituzioni politiche o economiche, fanno paura. Fanno paura a tutti coloro che esercitano un potere, la cui gestione o la cui stessa legittimità potrebbe essere messa in discussione. La stampa non fa eccezione. Un giornale come Repubblica, che conduce una battaglia quotidiana contro Berlusconi e il centro-destra, martedì e nei giorni seguenti si è prodigato nel mostrarci la violenza dei manifestanti, come se gli scontri con la polizia fossero qualcosa di nuovo e inaudito nel panorama delle lotte sociali. Siccome il PD con tutta probabilità muore dalla voglia di cavalcare questa protesta (così come il PCI nel '90 fa provò a cavalcare la Pantera) per riavvicinarsi alle masse che si è perso per strada durante questi vent'anni di costante degenerazione e impoverimento politico, bisogna isolare i violenti. O, per meglio dire, gli elementi più radicali. Non per aiutare il movimento a esprimersi in modo più intelligente e democratico, ma per imbrigliarlo e strumentalizzarlo. La lettera di don Saviano agli studenti , così come la salita di Bersani sul tetto della Facoltà di Architettura di Roma, rientra esattamente in questa logica.
Non è sulla condanna della violenza che dissento; avete letto la mia, poche righe fa. Quello che vorrei discutere è se sia opportuno o meno di usare il tuo spazio su un quotidiano che orienta l'opinione della sinistra moderata per criticare gli errori di un movimento che, sebbene passibile di critiche, è nato per opporsi a ben altre violenze. Un approccio che conosciamo bene, perchè è lo stesso che i sionisti in genere (fra cui lo stesso Saviano) usano per giustificare alcune politiche e iniziative militari di Israele: si mostra il palestinese (magari bambino) che lancia la pietra contro il blindato, e questo serve per instaurare una narrativa distorta, che catapulta lo spettatore nel mezzo dell'azione senza fargli lo "spiegone" di quello che è successo prima. Un po' come se ci mostrassero Otello che soffoca Desdemona senza farci capire cosa lo ha portato a farlo; certo che così Iago ne uscirebbe pulito. Dalle testimonianze dei contemporanei sappiamo che gli spettatori partecipavano molto attivamente alle rappresentazioni dei drammi di Shakespeare, in un'epoca in cui non esistevano molte altre forme di intrattenimento oltre al teatro, e quindi questo era rivolto a persone di ogni estrazione sociale. Pare che in più occasioni qualcuno dei più esagitati fra il pubblico provasse addirittura a salire sul palcoscenico per aggredire fisicamente il rancoroso veneziano. Le ingiustizie, si sa, suscitano indignazione e rabbia nell'animo umano. E se può tanto la rappresentazione di un'ingiustizia, un torto vissuto in modo indiretto, stiamo a meravigliarci che in mezzo a una folla di persone private della loro dignità e del loro futuro ce ne fossero alcune decise a sfogarsi contro i bersagli che avevano a disposizione? Ripeto, a scanso di equivoci, che questo metodo di protesta io non lo condivido. Ma perchè non parliamo di Iago? Di questo governo vergognoso, e di quello che ha fatto e continua a fare al nostro paese? Di un'opposizione preoccupata solo di limitare i danni, di non essere travolta dal fiume in piena delle "invasioni barbariche", di questa merda di pensiero unico, mentre da tre anni abbiamo sotto gli occhi i penosi limiti dell'ordine mondiale che quella "cultura" ha prodotto?
Roberto Saviano, mo' due parole te le voglio dire pure io che sono l'ultimo stronzo (a differenza dello sceicco Beige). Ti ho stimato tantissimo quando ho letto Gomorra. Era qualcosa di nuovo, un modo di parlare di camorra che non era più quello freddo e distaccato del bollettino di guerra, o semplicemente ricostruzione giornalistica dell'attività poliziesca e giudiziaria di contrasto alla criminalità. Tu ci hai portato negli atelier (in inglese li chiamano sweatshops e mi suona meglio) dove cinesi e napoletani si contendono il lavoro che offrono loro i grandi marchi, a nero e per pochi soldi, per poi rivenderne i prodotti a caro prezzo nelle boutiques, o addirittura farli indossare a una Angelina Jolie per una serata di gala. Ci hai portato in mezzo alla guagliunera di Casal di Principe e di Scampia, ci hai fatto capire che vuol dire per loro entrare nel Sistema o imbracciare un Kalashnikov. Ci siamo fatti una pisciata sui sogni di onnipotenza di quel boss che voleva essere Scarface, proprio nella piscina della sua villa sequestrata e poi data alle fiamme perchè nessun altro potesse occuparla. E che tu avessi da dire qualcosa di nuovo lo hanno capito milioni di persone in tutto il mondo, persone che grazie a te ora sanno cosa è veramente Napoli, e cosa è l'Italia.
Poi sono arrivate le minacce, la vita sotto scorta, e l'assalto di un altro sistema alla tua immagine pubblica. Hai cominciato a scrivere articoli per Repubblica, l'Espresso e compagnia bella, tutti deludenti, banali, buonisti. Quella rabbia, quel bisogno di dare voce a chi non ce l'ha, quella cazzimma di cui parlava Pino Daniele (lo cito di nuovo, ma è sempre un Pino d'antan) quando diceva "aiza 'o vraccio 'e cchiù, pe nun te fà 'mbruglià, e dalle 'nfaccia senza te fermà"; tutte queste cose ti hanno abbandonato. Avevi paura, comprensibilmente, che ti facessero fuori. E allora ci hai pensato tu: hai ucciso quella voce solista che faceva tanta paura. Sei entrato nel coro, ti sei preso lo spartito che ti hanno dato, e adesso canti la stessa canzone che cantano tutti gli altri benpensanti, quelli che scrivono un libro all'anno e vendono 5000, 10.000 copie, perchè parlano a una sparuta minoranza di bravissime persone con un alto livello di istruzione e dal reddito in genere medio-alto che non vedono altra soluzione ai mali della nostra società al di fuori di una constatazione ciclica e fine a se stessa del malcostume e della corruzione. Bene, questa è stata la tua scelta, e io posso dirmene deluso, ma non certo metterne in discussione la legittimità. Però allora anche tu astieniti dal parlare di cose che non ti appartengono più, da cui tu stesso ti sei voluto allontanare. Non sei più uno scugnizzo, non sai più stare per strada, non sai più cantare il blues. Sei diventato un prete. E allora, visto che i pulpiti non ti mancano, fai pure i tuoi sermoni. Ma, per carità di dio che non esiste, non li fare a chi, per dirla con Guccini, ha sempre avuto, e sempre avrà contro, "gli dèi, i comandamenti ed il dovere". Quelli, Robè, sono scugnizzi, e tu con loro non ci accocchi più niente.

mercoledì 15 dicembre 2010

I cartoni animati giapponesi, la pedagogia spicciola e l'eterna lotta fra il bene e il male


Bene, l'Italia s'è desta (come accade spesso quando le arriva l'acqua alla gola), e anch'io dunque mi scuoto dal mio consueto torpore, nonostante la temperatura insolitamente rigida di questo dicembre napoletano, e metto la testa a pensare. Naturalmente, essendo io un grandissimo arricchiunito, non prendo neanche in esame la possibilità di uscire di casa e partecipare attivamente alla vita del paese, dando fuoco magari all'auto di qualche piccolo imprenditore berlusconiano evasore fiscale e approfittandone per scaldarmi un po'; no, il mio sederino ignavo rimane saldamente ancorato alla sedia, ma in compenso il mio cervello peppéa come il ragù sul fuoco, per donarvi succulente porzioni di saggia follia.
Tra ieri e oggi il web è stato inondato di foto della manifestazione di ieri, in particolare di alcuni dei suoi momenti più truculenti. Sebbene a me risulti evidente che almeno la metà dei "facinorosi" siano infiltrati delle forze del (dis)ordine, alcuni politici, opinionisti e facce di cazzo assortite hanno approfittato di tali immagini per tirare fuori ancora una volta la storiella dei manifestanti violenti e antidemocratici, come se le manifestazioni di ieri avessero coinvolto solo le poche decine di "facinorosi" che vediamo devastare Via del Corso; e, soprattutto, come se le succitate forze del (dis)ordine non avessero svolto un ruolo principe, come spesso si verifica, nell'innescare la violenza attribuita ai dimostranti.
Bene, io ho una nipotina di sei anni che spesso si trova a guardare i telegiornali, a tavola con suo padre, i suoi nonni e me, e ogni tanto mi pone delle domande sulle notizie che sente. Io le rispondo in termini grottescamente manichei, per cui ormai nella sua personale hit parade del Male Berlusconi ha superato la strega di Biancaneve e tutti gli altri cattivi delle tonnellate di film d'animazione che conosce praticamente a memoria. Un passatempo che apprezzo particolarmente è discutere con lei delle varie punizioni da comminare al nano malefico; anche se, ahimé, si tratta di supplizi piuttosto infantili, come ad esempio fare un sacco di puzzette nel gabinetto e poi chiudercelo dentro. Io penso che questa mancanza di cattiveria agonistica nei confronti di un personaggio della risma di Silvio Berlusconi sia dovuta proprio alla natura dei cartoni animati, prodotto tradizionalmente destinato al pubblico infantile, nell'era del politically correct. Non ci sono più i cartoni di una volta, quelli giapponesi con cui siamo cresciuti noi bambini degli anni '80. Io a 5 anni guardavo Goldrake, non la Sirenetta o la Bella e la bestia, e quindi sapevo che nel mondo esiste un male inestirpabile, che va combattuto a oltranza. I venusiani non finivano mai, il bene non trionfava, ma a stento riusciva a respingere il male puntata dopo puntata. E, badate bene, i venusiani non erano "cattivi" nel senso di moralmente abietti: i venusiani facevano il male in quanto nemici del pianeta Terra. Questi cartoni animati erano realmente educativi, perchè ti mostravano che esisteva un noi e un loro. Ti mostravano come la sete di potere e di dominio sia alla base di ogni forma di barbarie. I tiranni, i nemici della collettività avevano fattezze mostruose, disumane, proprio per evidenziare la loro antiteticità a tutto ciò che è umano. Quei cartoni animati, a loro modo (giapponese), erano libertari. E come non citare, accanto ad Atlas Ufo Robot, capolavori come Jeeg robot d'acciaio e soprattutto Daitarn 3, che oltre a questi bei concetti sul bene e sul male ci offriva anche una finestra sul mondo femminile e sull'interazione fra uomini e donne.


Un po' più tardi uscì Ken il guerriero, un'epopea post-atomica con sottotrama romantica (mancava però la linea comica), in cui una manciata di superuomini riempiti di anabolizzanti si contendevano il dominio di ciò che restava del mondo. Quanta violenza c'era in Ken il guerriero...
Ora, tutti questi psicologi, pedagoghi e opinionisti che parlano in TV o tengono rubriche su quotidiani e riviste spesso ci dicono che i bambini non vanno traumatizzati, non vanno esposti alla violenza, addirittura se guardano un film dove c'è una scazzottata o una sparatoria in più devono essere in compagnia dei genitori. Mi pare che si esageri. Ma non è che forse la ragione per tutte queste preoccupazioni non è la serenità e l'equilibrio dei bambini, quanto piuttosto il senso di colpa rispetto all'ordine sociale ed economico del mondo che consegnamo loro?
Pino Daniele, quando era ancora una persona seria, cantava che i bambini andavano esposti al sole, perchè dovevano capire dove faceva freddo e dove faceva più caldo. I bambini devono sapere come va il mondo, devono sapere che non è un luogo ordinato, giusto, ragionevole. Devono capire che se Ken schiatta la capa a una ventina di fetenti con un solo pacchero a mana smerza non è perchè lui sia un violento o un prepotente, tutt'altro: è semplice autodifesa. Devono capire che alla base della violenza c'è sempre un sopruso, una minaccia, un finto ordine. Le bambine devono smettere di sognare il principe azzurro, perchè nella realtà principi, re e potenti di vario genere e provenienza non sono di solito buoni e generosi; e, quand'anche lo fossero, durerebbero poco sul loro trono, perchè tali doti mal si conciliano con l'esercizio del potere. Devono capire, i bambini, che non c'è ordine prima dell'avvento dell'eroe, e che questi non può contare sull'aiuto di fate o maghi, e pertanto non emergerà necessariamente vincitore dalle sue prove. Devono capire che la vita non è una favola, ma un'epopea, e che il finale dobbiamo scriverlo tutti insieme. E se ne schiatteranno di cape, in questa eterna lotta fra il bene e il male.

martedì 14 dicembre 2010

L'uomo di niente

Oggi ad ora di pranzo, dopo vari giorni passati a promettere, mercanteggiare, sedurre e subornare, il governo ce l'ha fatta. Silvio Berlusconi si salva alla Camera per tre voti. Potremmo passare un buon quarto d'ora io ad affastellare epiteti a carico di tali personaggi, e voi a leggerli. Ma invece io vorrei che questo post fosse una riflessione, se è possibile e opportuno riflettere quando le principali città italiane sono sconvolte da disordini di piazza di una violenza alla quale non eravamo più abituati ormai da molti anni.
In questi giorni di sospensione dell'attività parlamentare l'Italia che non si riconosce in Berlusconi e in questo governo è rimasta con il fiato sospeso, in preda a un senso di angosciosa attesa. Si era come Vladimir ed Estragon, i due personaggi che aspettano Godot nel celebre lavoro di Beckett. E mi sembra che il paragone in questo caso non sia peregrino, visto il livello di assurdità che ha raggiunto la vita politica italiana. Un altro elemento che potrebbe rendere legittimo l'accostamento è che Vladimir ed Estragon sono in genere rappresentati come barboni, mendicanti cenciosi, uno stato patrimoniale dal quale ormai pochi italiani possono dire di essere realmente lontani. E il parallelismo si spinge oltre: che succede in Aspettando Godot? Niente. E niente è successo oggi.
I protagonisti della non-vicenda parlano fra loro senza in realtà dire niente; personaggi minori entrano ed escono di scena, alludendo talvolta a Godot, ma senza fornire indicazioni certe e precise circa la sua venuta. Soprattutto, non sappiamo per quale ragione i due poveracci aspettino Godot, e come quest'ultimo intenda aiutarli. Insomma, vorremmo uscire da questo tunnel lungo 16 anni, ma non sappiamo come fare. Aspettiamo qualcosa di non ben chiaro, che ovviamente non arriva. Anche l'azione, finanche nelle sue forme più decise, come assaltare una camionetta e darle fuoco, è improntata a un generico malessere per il quale non saprei individuare una cura. Se domani, per assurdo, Berlusconi decidesse di rimettere il suo mandato nelle mani di Napolitano, i nostri problemi sarebbero tutti risolti? Un ipotetico governo di solidarietà nazionale affronterebbe i problemi dell'occupazione, dei salari, delle pensioni, la riforma dell'istruzione, il problema rifiuti e quant'altro in modo soddisfacente e rispondente in qualche modo all'interesse comune?
Questa è l'Italia costruita da Berlusconi distruggendo poco a poco il paese, certo pieno di contraddizioni, ma sveglio e vitale, che esisteva prima del suo avvento sulla scena politica. Questo è il paese che rimane dopo decenni di mazzolature mediatiche da parte delle sue reti televisive, di quella assoluta leggerezza così pesante quando la si usa come un oggetto contundente, le donnine seminude che non dicevano mai niente eppure facevano arrivare il suo messaggio fin troppo forte e chiaro, le immagini di una libertà che a ben vedere era ed è gretta, angusta, reazionaria, ma che con la giusta luce (apri tutto Biascica!) sembra una bella soap opera americana. Questa è l'Italia del niente, in cui da 5-6 mesi non si parla di altro che di una drammatizzazione del niente che a Beckett je fa 'na pippa.
Parlavo prima degli epiteti che avrei potuto affibbiare ai "traditori" del FLI e dell'IDV. A Berlusconi ne potrei indirizzare anche di più, ma stasera vorrei limitarmi a uno: uomo di niente. Uomo di niente, leader di un paese di niente, in alternativa al quale non esiste che il niente. Non rammarichiamoci troppo del fatto che è ancora in sella: è ccosa 'e niente.

giovedì 2 dicembre 2010

Cribari, ovvero: la fuga dei cervelli...dai loro proprietari.


Ieri sera, ad Annozero, si parlava della riforma Gelmini e delle sue conseguenze sul già disastrato mondo accademico italiano. Non sono solo gli studenti ad essere colpiti, con l'aumento delle rette e la mancata erogazione di servizi come mense e studentati, ma anche i ricercatori, che vengono precarizzati come se fossero operatori di call center (senza voler minimamente offendere tutti coloro che lavorano nei call center). Cosa resta dunque ai nostri ricercatori? Emigrare. La fuga dei cervelli.
Guardando il programma, non ho potuto fare a meno di pensare che quei ricercatori, se non altro, portano il cervello con sè. Quello che è toccato a Emilson Sànchez Cribari, invece, è un fato molto più crudele e beffardo. Il merito di questa scoperta va alla signora Valentina Calvanese in Cuomo, peraltro non pagata da alcun istituto universitario. Tanto è l'ingegno dell'italica stirpe, che facciamo fare passi avanti alle scienze perfino senza volere, en passant, fra una risata e l'altra. Questa clamorosa scoperta, come avrete capito dal titolo, conferisce un nuovo significato all'espressione "fuga dei cervelli". Del resto, la staticità e mancanza di reattività del difensore brasiliano (sulla quale commentavo nel post precedente) è tale da rendere assolutamente plausibile un allontanamento di qualunque dei suoi organi dal resto del corpo. Quando questo accade con il cervello, come capirete bene, il processo è irreversibile. Come posso correre dietro il mio cervello, se la mia motilità è stata compromessa dall'assenza dello stesso? E vi basti questa spiegazione, in attesa della pubblicazione dei findings sulla prestigiosa Lancet.
E ora, andiamo a esaminare l'eziologia di questo singolare disturbo, altresì designabile dalla dicitura "le immani cazzate difensive di quello scellone rincoglionito di Cribari".
Cominciamo dal primo gol, in occasione del quale fa filtrare un cross dalla sinistra di Mertens, mi pare, che avrebbe controllato anche Ironside. Va detto che anche De Sanctis, in questo caso, ci mette del suo, restando ad aspettare un pallone che tagliava tutta l'area di rigore, anzichè andarci incontro. Il secondo gol, invece, è colpa di an'altra discreta capa di chiodo, ovvero il men che mediocre Vitale. Sul terzo gol, scaturito da un calcio d'angolo, Cribari riesce a dimenticarsi di marcare il centravanti avversario. Cioè, spieghiamolo bene questo concetto: quello è il centravanti, è alto un paio di metri, se arriva un cross alto in area chi devi marcare tu? Ovviamente noi non ci scandalizziamo, perchè sappiamo che Cribari non era in possesso del suo cervello. Era già un miracolo che stesse in piedi, ma del resto le galline non continuano a correre per l'aia dopo essere state decapitate? E non finiscono qui le prodezze del nostro centrale di difesa. Durante i minuti di recupero, su un cross di Vitale (che forse se giocasse come esterno di centrocampo in un 4-4-2 sarebbe anche decente) riesce a stampare il pallone sul palo da circa 40-50 centimetri di distanza. In quell'occasione mi ha fatto tanta tenerezza che avrei voluto porgergli un orsacchiotto, di quelli che si regalano ai tirassegni quando centri tutti i palloncini. Guardate che non è facile colpire il palo quando hai di fronte una porta di 7 metri e 32 centimetri. Lui ci è riuscito, e mi sembra giusto riconoscere la sua bravura.
Per finire, vorrei documentare fotograficamente un'altra importante scoperta della signora Calvanese in Cuomo, ovvero la inquietante somiglianza fra Cribari e Mariangela Fantozzi. Goffo, rimbambito e brutto come la morte: e osate credere che esista un dio?


lunedì 29 novembre 2010

C'eravamo tanto amati...

Uno spettro si aggira per Castelvolturno: si tratta di Walter Mazzarri, passato da uomo della provvidenza a salice piangente umano e arrampicatore di specchi senza uguali. Questo tecnico che tutti noi napoletani (eccezion fatta per quei pochi che non seguono il calcio o sono affetti da disturbi psico-sociali che li portano a tifare per altre compagini) abbiamo esaltato l'anno scorso, oggi arranca in una mediocrità incolore. Quella squadra che al suo arrivo si era scossa dal torpore della gestione Donadoni appare ora apatica, svogliata, perfino molle. L'inusitato gesto di Hamsyk in occasione del terzo gol dell'Udinese, quel saltello che sembrava fatto apposta per evitare il pallone, anzichè respingerlo, è lo specchio del non-calcio nel quale siamo ormai precipitati. Certo, qualcuno a questo punto potrebbe dire che siamo comunque quarti in classifica, ma io faccio parte di quella minoranza di persone che ritengono sia compito di un allenatore dare un gioco alla squadra, non fare risultato. E questo perchè nel calcio lo score è frutto di episodi, una partita si può vincere senza meritare o perdere ingiustamente; eppure a lungo andare gli episodi finiranno per equilibrarsi, e verrà fuori il reale valore degli uomini in campo e dell'allenatore che li guida. Inoltre, l'esperienza ci insegna che il Napoli in campionato parte sempre forte, per poi avere vistose flessioni nell'arco del torneo. Insomma, la classifica in questo momento lascia il tempo che trova. Quello che conta è il gioco della squadra, e da questo punto di vista temo che la situazione non sia rose e fiori.
Del resto, si tratta di un film già visto. Nel nostro secondo anno di Serie C1 mister Reja ci fece stravincere il campionato, con 13 punti di vantaggio; la stagione successiva facemmo parecchia fatica, e conquistammo la promozione solo all'ultima giornata, grazie all'aiuto del gemellato Genoa, già promosso, che praticamente ci regalò il pareggio. Ma allora cos'è che non va nel nostro club? A cosa è dovuta questa funesta crisi del secondo anno? Io credo che la situazione sia semplice: la nostra società non ha la più pallida idea di cosa sia una mentalità vincente. Cari amici, in un mondo perfetto non dovrebbe mai più essere consentito a un allenatore del Napoli di schierare la difesa a 3: tale scelta tecnica dovrebbe comportare automaticamente la pena di morte per crocefissione. La difesa a 3 è l'epitome della mediocrità. E potrebbe anche passare se fosse una buona difesa...ma rendiamoci conto che il compianto Sbirulino guarda la nostra retroguardia dal cielo e ride! Seduto sulla nuvoletta accanto, Buster Keaton non riesce, per quanto si sforzi, a mantenere la sua proverbiale espressione impassibile, quando osserva Cannavaro in azione. Qual è allora la soluzione? Comprare qualche difensore decente, no? E invece chi ti compra De Laurentiis? Cribari!!! Uno che prima di fare il calciatore aveva valutato la possibilità di una carriera come modello di posa; e non certo per la bellezza, bensì per la spiccata attitudine all'immobilità! Proprio quando avrebbe dovuto fare acquisti importanti per tentare il salto di qualità, il nostro presidente ci ha mostrato il volto micragnoso del capitalismo. In un mondo civile e ragionevole un tribunale del popolo lo condannerebbe a un certo numero di frustate e poi gli sequestrerebbe fino all'ultimo centesimo, mettendolo a disposizione della gestione fallimentare per fare finalmente una squadra come si deve. E invece noi continuiamo a berci le sue cazzate da romano cazzaro.
Ma cosa c'entra in tutto questo il povero Mazzarri? C'entra, c'entra...c'entra come a suo tempo c'entrava Reja. Perchè, da buon italiano, pensa più a pararsi il culo e a stare tranquillo che non a fare bene il proprio lavoro. La società dice che la squadra sta bene così? Ma che grande, immensa cazzata! E Mazzarri come reagisce? Asseconda il cazzaro micragnoso. Invece di bestemmiare come il miglior Mario Cioni e salire su un tetto, minacciando di buttarsi giù se non gli comprano un difensore che non sia portatore di handicap, dice che va tutto bene. Poi comincia il campionato, e sono alti e bassi. Gli alti sono dovuti al fatto che ormai la serie A italiana è su per giù al livello di quella delle isole Far Oer; infatti in Europa League non riusciamo a vincere una partita che sia una, e prendiamo una lezione di calcio da un Liverpool mai così in crisi.
Sarebbe auspicabile, a questo punto, una maggiore chiarezza da parte del tecnico di San Vincenzo. Il Napoli è una squadra dalle possibilità piuttosto limitate, non attrezzata per competere su due fronti, e comunque troppo carente in termini di qualità per ben figurare in Europa League. Il progetto di De Cazzariis di portare il Napoli in scempions è ormai carta straccia, se mai ci avesse creduto il micragnoso maledetto. Domani, molto probabilmente, faremo un'altra figura di pupù contro il volenteroso e ben disciplinato Utrecht. Mazzarri faccia la persona seria. Smetta di accampare scuse, e dica la verità: con questo organico non si va da nessuna parte. E non c'è soluzione tattica che tenga: hai voglia a mettere rum, la merda non diventa babà.

martedì 23 novembre 2010

The monster files: storia di un decorso

Cari amici, la convalescenza volge al termine. Ormai solo qualche strisciolina di quel particolare nastro adesivo d'uso medico che a Napoli chiamiamo sparatrappo copre questo capolavoro che ha sostituito il mio naso. Come vi avevo promesso, ho documentato con un coraggioso reportage fotografico i giorni successivi all'intervento. Si sconsiglia la visione ai deboli di cuore e di stomaco.

Day 2

Day 3

Day 5

Day 8

Come potete vedere, ormai sono tornato quello splendido esemplare di ometto che ero. Visto il successo di questo intervento, ho pensato di farmi rifare anche un'altra appendice, un po' più a sud del naso. Non vorrei si creasse una questione meridionale all'interno del mio organismo. Non potrei sopportare l'apertura di circoli leghisti all'interno delle mie narici. E immaginate quanto sarebbe incresciosa un'emergenza rifiuti nella mia area genitale...dubito fra l'altro che Saviano interverrebbe sull'argomento. Ora si tratta di trovare un donatore: pare che un falegname della Val di Susa abbia perso in un incidente di lavoro il dito mignolo del piede sinistro. Mi sono già messo in lista.

venerdì 19 novembre 2010

Lacrime, sangue e muco: e vi lamentate delle manovrine?


Dunque, è fatta. Martedì 16 novembre il vostro entra in sala operatoria, all'ospedale Monaldi di Napoli. Dopo una lieve anestesia e un breve intervento si sveglia con un'impalcatura al posto del naso. Gli sembra, nella foschia del risveglio, di udire anche le garrule, vivaci esclamazioni tipiche dei muratori partenopei...
Ma no, non vi sono industriosi, seppur lillipuziani, operai sul mio naso. Esso, raddrizzato con abile manovra dal sapiente chirurgo (cosa della quale ho un vago e stranamente rilassato ricordo), è ora protetto da una robusta armatura, quale cavaliere medievale abbigliato per il nobile ufficio della guerra.
Seguono due giorni penosi, durante i quali il vostro Bradipo è costretto a tenere dei fastidiosi tamponi nelle narici, al fine di evitare pericolose emorragie e stabilizzare il nuovo assetto dell'appendice (si parla sempre del naso). Due giorni fatti di noia, brodini e diarrea, dei quali il primo passato in ospedale, il secondo a casa (la formula era quella del day hospital). Ci tengo ora a precisare, per evitare grotteschi fraintendimenti, che i brodini e la diarrea seguivano un senso di marcia obbligato all'interno del mio organismo, ovvero dalla bocca verso lo sfintere: mangiare diarrea sarebbe stato davvero troppo!
Ordunque, scontata la condanna della tamponatura, antica tortura medievale citata peraltro nel Malleus Maleficarum, alla quale si dice sia stato sottoposto anche il Campanella, mi reco dal simpatico cerusico per la rimozione dei tamponi stessi. Con un'altra abile manovra quest'ultimo mi sfila dalle narici due corpi estranei di mezzo metro l'uno, che probabilmente avevo conficcati nel cervello, senza farmi fare il tiro a segno con i santi del paradiso. Non altrettanto delicata è l'infermiera, la quale, in un impeto di calvinismo, si mette in testa di pulire i grumi di sangue che ho intorno al naso. Ne fanno le spese Sant'Antonio da Padova, San Giovanni decollato e San Crispino, scelto non a caso in quanto protettore degli scarpari. A questo punto, non ancora disposta ad arrendersi, la donna propone di versarmi dell'acqua ossigenata sulla parte, mentre mi tiene chiusa la bocca con della carta assorbente. Quello che segue è praticamente una sessione di waterboarding, come se il vostro Bradipo fosse un fanatico seguace di una religione che gli precluderebbe i suoi spuntini notturni a base di salame e vino rosso. Tale è il trauma che rimango in silenzio, in uno stato di completo shock, per alcuni secondi, al termine dei quali fortunatamente Giovanna D'Arco desiste dai suoi propositi e mi lascia quieto.
Non resta altro all'operatore, del quale non faccio il nome per non associarlo in alcun modo al mio, con probabile grave detrimento per lui, che indicarmi le terapie da seguire per i prossimi giorni e darmi appuntamento a martedì per togliere ciò che resta dell'armatura, ovvero un gessetto che mi stringe la parte centrale del naso, per cause a me ignote.
Per ora l'appendice (sempre il naso) è un turgido ricettacolo di sangue, muco e pomata per curare le piaghe. Ma un giorno, lo so, guarirà. Sarà libero e funzionale, e io correrò per prati fioriti gridando "Allelujah". Tornerò ad abusare di vino e salame (possibilmente piccante) senza dover più temere fastidiose irritazioni della mucosa. Danzerò nella pioggia come Gene Kelly, facendomi beffe dell'umidità come uno che indossa la fascia del dott. Gibaud.
Ma diamo tempo al tempo. Il decorso è appena cominciato, anche se il peggio ce lo siamo già lasciato alle spalle. Tornerò a raccontarvi del mio naso, amici. Nel frattempo, annusate un fiore per me, che ancora non posso.

venerdì 12 novembre 2010

Un uomo e il suo naso

Cari amici, martedì 16 novembre il vostro Bradipo sarà ricoverato all'ospedale Monaldi di Napoli per un delicato intervento di riallineamento del setto nasale. Si tratta di una chirurgia estremamente difficile e perniciosa, con una percentuale di eventi infausti che si avvicina al 100%. Ma non è questo che mi preoccupa. Non ho paura della grande consolatrice, no. Quello che mi preoccupa veramente è che il chirurgo, in un impeto di generosità o di intolleranza estetica decida arbitriamente di rimodellare le mie fattezze. Mi atterrisce l'idea di risvegliarmi dal torpore dell'anestesia con un nasino alla francese, e chiedere come prima cosa un bicchiere di Pernod per rifarmi la bocca. Mi angoscia la possibilità di essere privato dell'unica estremità di ragguardevoli dimensioni di cui dispongo.

Quanti sventurati e quante sventurate, ogni giorno, si sottopongono a interventi ugualmente delicati e potenzialmente letali, per ridurre le dimensioni dei loro nasi! Ma perchè mai? In un post di qualche tempo fa ebbi a dire che 'a panza è ppresenza. Non difforme è la mia posizione sul naso. Il naso è la finestra sul mondo dei nostri polmoni. Io ho una veranda: perchè privarmene?

Del resto, se Javier Bardem è riuscito a diventare un sex symbol con il suo naso importante, perchè non dovrei poterlo essere io? E che dire di Gerard Depardieu? E anche De Niro mica scherza! E allora Castellitto? Insomma, il naso l'uomo ce lo deve avere. Ancora meglio se dritto e funzionale. E allora bisturi e scalpello! Restaurate questa maestosa, meravigliosa appendice di virilità!

mercoledì 27 ottobre 2010

Cantona e le banche


Salve a tutti. Visto che il freddo annunciato non è poi così intenso, in barba al rag. Casoria mi trovo in condizione di poter scrivere un nuovo post. E stavolta, anche per prendere una metaforica boccata d'aria, non ci occuperemo di Italietta, ma delle parole di un calciatore francese che ha giocato per buona parte della propria carriera in Inghilterra, su un problema globale.

Mentre perdevo tempo su Facebook come al solito, questo video ha attirato la mia attenzione. Eravamo abituati alla "istintività" di Eric Cantona, quando era sotto i riflettori in quanto calciatore del Manchester United. Chi non ricorda il calcione volante rifilato a un povero tifoso, reo di avergli rivolto qualche parolina evidentemente sgradita? Oggi, ad anni dal suo ritiro, forse preso dalla nostalgia dei fasti del tempo che fu, il nostro si esprime sulla recessione e il fermento sociale che agita la Francia. La soluzione, a sentire lui, è semplice: su cosa si fonda il potere delle banche? Sui soldi, no? E allora se tutti insieme ritiriamo il nostro denaro dalle banche queste inevitabilmente crolleranno, e saremo liberi dalla loro tirannia. Non fa una grinza, vero? Il simpatico monellaccio aggiunge addirittura uno sfottò all'indirizzo dei sindacati, secondo lui a corto di idee, e bisognosi di input.

E adesso cerchiamo di capire perchè queste affermazioni di Cantona non sono altro che una ulteriore prova di impulsività e scarsa propensione al ragionamento. Premetto subito che non ho alle spalle studi di economia, ma le cose che scriverò sono di una tale semplicità, direi ovvietà, da non necessitare del cervello di un Milton Friedman o di un John Maynard Keynes per essere esposte e comprese. Cantona si chiedeva da dove venisse il potere delle banche. Poniamoci un'altra domanda: da dove proviene il denaro? Dobbiamo pensare che il buon Eric questo non se lo sia chiesto. Perchè, cari lettori, la risposta è proprio... dalle banche! Il denaro viene generato sotto forma di credito all'impresa o al consumo, o in alternativa prestato dalle stesse banche agli stati, ad esempio per l'emissione di titoli o per coprire parzialmente il debito. Il criterio che regola e limita questa emissione si chiama riserva frazionaria. A questo si riferisce Cantona quando ci esorta a fare presto, perchè non ci sono soldi per tutti. E ha perfettamente ragione. Il nostro sistema economico si fonda sull'assunto che la gente terrà i propri risparmi su un conto, ritirando di volta in volta quanto sia necessario per i propri acquisti e investimenti. Se tutti ritirassimo tutti i nostri soldi lo stesso giorno, come suggerisce di fare il professor Cantona, gli istituti di credito fallirebbero, e la già dura crisi che stiamo attraversando assumerebbe toni drammatici. La prima conseguenza sarebbe l'inflazione, che schizzerebbe a livelli da Repubblica di Weimar. O da Argentina nei primi anni 2000, per intenderci. Difatti, è proprio in questo modo che è iniziata la gravissima recessione che ha colpito l'Argentina qualche anno fa. La gente correva a ritirare i propri soldi, senza rendersi conto che, una volta distrutto l'impianto su cui si reggeva la loro economia, l'unica cosa che avrebbero potuto ricevere dalle banche era carta straccia. Del resto esisteva un precedente illustre, ma si sa, di fronte ai soldi la gente perde la testa.

Scusate, ma su cosa si fonda un'economia, se non sulla produzione di beni e servizi? E le aziende che producono questi beni e servizi come possono sopravvivere senza il credito fornito loro dalle banche? Ecco perchè un crollo del sistema bancario causerebbe una drastica riduzione dei posti di lavoro. E più gente resta senza un reddito, più l'economia va a fondo, perchè i consumi diminuiscono di pari passo con il potere d'acquisto dei cittadini, intaccato non solo dalla disoccupazione ma anche dall'inflazione sempre associata ai crolli finanziari. Perchè il valore reale del denaro non è fisso, a differenza di quello nominale, ma dipende da tutta una serie di fattori dal delicato equilibrio, che un'azione come quella auspicata da Cantona manderebbe a gambe all'aria. Immaginiamo che suddetta azione riceva ampia adesione a livello europeo: la BCE non avrebbe altra scelta che immettere sul mercato una certa quantità di moneta, per far ripartire gli investimenti. Per la legge della domanda e dell'offerta, più ce n'è di qualcosa, più quel qualcosa si deprezza. I soldi non fanno eccezione. Vedete? Siamo a livelli da Monopoli Junior, quello per i bambini dai 4 agli 8 anni. Inoltre, nel momento in cui il livello dei consumi calasse bruscamente, diminuirebbero anche le importazioni, mentre le esportazioni verso paesi extracomunitari, in virtù del deprezzamento della valuta, aumenterrebbero. Questo causerebbe un'ulteriore svalutazione, fino al punto in cui avremmo bisogno di bisacce per i nostri euro.
Insomma, Cantona ha preso una bella cantonata.

Ma allora, dirà qualcuno, non possiamo fare niente contro il malvagio potere delle banche? Io credo che la risposta la possa dare solo la politica, oggi completamente assoggettata ai diktat del mondo economico e finanziario. Quando la politica riuscirà a ottenere il primato sull'economia potrà regolarla, moralizzarla, indirizzarla verso il bene comune. Ma questo non è un obiettivo che si può perseguire a botte di calci volanti.

martedì 26 ottobre 2010

In balia del ragioniere Casoria


Pare che domani a Napoli farà freddo. Lo ha detto il meteo. Da quando la mia salute mi ha abbandonato, io sono abbastanza freddoloso. La mia salute, questa vecchia compagna che mi ha lasciato, e che mi ricorda le parole di un famoso tango argentino: "desde que se fue triste vivo yo"...insomma, domani la temperatura scenderà e io soffrirò. Sì, perchè vivendo in un condominio sono soggetto agli arbitrii inevitabili quando si parla di riscaldamento centralizzato.
Ecco, il condominio è uno di quegli aspetti della cultura italiana che fanno capire agli stranieri come il nostro sia un paese in cui i pagliacci hanno preso il potere. Il pagliaccio ride e ne ha ben donde, visto che comanda lui.

Il condominio, dicevo, è un concetto che nei film di Woody Allen evoca un certo status, una certa eleganza, il massimo del comfort e del servizio per i suoi inquilini. Li vediamo nei suoi film, con quei portieri in livrea, la musica di Gershwin in sottofondo, i suoi inquilini sono professori universitari o critici cinematografici... Da noi, viceversa, il condominio è una specie di girone infernale piccolo borghese in cui pratichiamo il nostro sport preferito, ovvero infliggerci disagi e umiliazioni vicendevoli, ricavandone così un danno collettivo (perchè è la somma che fa il totale), pur di toglierci la soddisfazione di andare in culo al nostro prossimo. Sì, perchè l'italietto (ovvero il piccolo borghese che potremmo assumere a simbolo della mai abbastanza vituperata Italietta, sorella minore del paese minoritario e pressochè invisibile al quale mi ostino ad appartenere) è uno spregevole individuo, meschino, pavido, diffidente, incapace di una visione d'insieme che riservi uno spazio al progresso, all'evoluzione. Se fosse stato per questa gente, saremmo ancora nelle caverne. Del resto, la cultura anglosassone ha espresso Woody Allen e noi il Bagaglino. Ma non tergiversiamo. Il punto è che io domani avrò freddo perchè nel mio palazzo il riscaldamento non si accende mai, e dico MAI, prima del 15 novembre.
Ricordate lo scambio di battute fra il rag. Casoria e il guardaporta Antonio Buonocore in quel piccolo capolavoro che è "La banda degli onesti"? Il furbo ragioniere, amministratore del condominio, cerca di lesinare sul carbone per l'inverno, a costo di lasciare gli inquilini al freddo, e propone a Buonocore di spartirsi il denaro risparmiato sul preventivo. Quest'uomo ingordo di zucchero attinge a ciò che è di tutti come se fosse suo e basta, rasenta il codice penale ma non incappa. Come si evince da questo scambio di battute, 120 quintali sono appena sufficienti.
Ma in quel gigantesco feudo del rag. Casoria che si chiama Italia, si fa con quaranta. E allora che dirvi? Non cresta che adeguarsi. Cercansi Lo Turco e Cardone per avviamento attività in proprio. Massima onestà richiesta. Astenersi perditempo e pagliacci.

lunedì 27 settembre 2010

Tre fesserie


Ho scritto poco ultimamente. Colpa della sinusite, o di qualsiasi altro male oscuro risieda nel mio cranio. Giovedì ritiro la TAC e vi comunicherò il verdetto, ammesso che ve ne freghi qualcosa. Stasera mi sono imposto di scrivere, perchè altrimenti si perde smalto, e i miei lettori (che siete voi) si dimenticano di me. E allora andiamo, scriviamo.

Cosa è successo ultimamente nella mia vita? Ho scelto tre avvenimenti (o presunti tali) che vi espongo in ordine sparso. Innanzitutto, ho comprato una nuova chitarra elettrica. Una Fender Telecaster American Special bianca (la Fender lo chiama "olympic white") con battiplettro nero. Proprio come questa:



A dirla tutta, me la sono fatta comprare. Da un amico che frequenta quella sorta di covo dei predoni che è Via S. Sebastiano. Naturalmente i soldi li ho messi io, sebbene le Poste Italiane facciano di tutto, ultimamente, per rendermi difficile accedere ai miei pur magri risparmi. Perchè ho fatto questo acquisto, visto che non ho un gruppo e sono un semi-vegliardo che non ha mai imparato a suonare secondo i canoni correnti della teoria e tecnica musicale occidentale? Perchè volevo finalmente uno strumento decente. Voglio fare i bending. Quelli dove tiri le corde e la chitarra protesta, producendo un effetto sonoro gradevole. Con la mia vecchia Epiphone non potevo, non mi reggeva l'accordatura. E ora sto scoprendo un mondo fatato di manici doppi e suono definito. E questo è quanto.

Il secondo argomento di cui vi parlerò è un sogno che ho fatto, e che mi ha turbato non poco. Ero in un postribolo (o meglio, un appartamento adibito a postribolo), e mi trovavo in compagnia di alcune donnine allegre. Eravamo in camera da letto, e io mi rivolgevo a una di loro per ottenere una prestazione. Incredibilmente, lei diceva di non essere disponibile, la qual cosa risultava poco credibile, in virtù del fatto che la giovane donna era seminuda. Accostavo allora un'altra, con la stessa finalità, ma anche lei mi dava buca. La terza prostituta, infine, mi spiegava che sarebbe arrivata a breve una sua collega che era di turno, e finalmente avrei potuto consumare il rapporto. Questo sogno ci conferma un sospetto che ho sempre avuto: Tinto Brass e Samuel Beckett vanno tenuti a debita distanza.

L'ultimo argomento di cui vorrei scrivere sono le donne sopra i 30 anni. Naturalmente la mia finestra sul mondo è piuttosto limitata, un po' per necessità, un po' per scelta. Per essere più corretto, dovrei dire che vi parlerò delle ultratrentenni che frequentano il supermercato di fronte casa mia. Si tratta di donne molto ordinarie, che a occhio e croce possono essere definite rappresentanti abbastanza tipiche del loro gruppo statistico. Diciamo subito che io non mi faccio eccessivi problemi quando esamino e valuto un membro del sesso opposto. Guardo sfrontatamente, con un'espressione neutra (almeno credo), e non per fantomatici intenti di seduzione (calma!!!!), bensì per capire. Guardo le donne come si guarda un animale o una pianta, o una qualsiasi altra forma di vita. Dall'altra parte non mi è mai capitato di riscontrare un interesse di natura analoga. Queste semi-vegliarde si distinguono in due categorie:

1) Quelle che hanno piacere di essere guardate.

2) Quelle che si sentono a disagio se guardate.

A volte le due categorie si sovrappongono. Quello che manca assolutamente in loro è la naturalezza, la mancanza di malizia che porta una persona a stare in mezzo agli altri senza dover stabilire confini e rapporti di forza come superpotenze rivali. Sono brutte, anche quando le loro fattezze potrebbero suggerire armonia di forme. Sono brutte perchè in loro ogni minimo gesto, ogni sguardo, ogni atteggiamento è finalizzato al raggiungimento di uno scopo, per di più assolutamente banale e meschino. Provano un disagio eccessivo, che non è timidezza ma una forma di aggressività, se hanno un filo di grasso in più. E trasudano una violenza sconcertante se sono sicure del loro aspetto. Le ultratrentenni sono per lo più brutte. Almeno quelle che fanno la spesa al supermercato di fronte casa mia.

E allora io cercherò la bellezza nel mio nuovo strumento. Sì, le chitarre sono più belle delle donne, in linea di massima. Non hanno scopi, esistono per essere chitarre. Puoi suonarle ogni giorno, o lasciarle a riposo per una settimana prima di imbracciarle ancora, e suoneranno sempre bene. Basta cambiare le corde, ogni tanto. Questo mi fa pensare che la mia chitarra non ha ancora un nome. Alle chitarre vanno dati dei nomi, è importante. E allora diamo un nome alla mia nuova Tele. Bene, eccolo. Visto che è bianca, la chiamerò Bianca. Ed esplorerò la sua tastiera con l'amore di un novello sposo un po' imbranato, ma volenteroso. Lei sarà paziente e sempre disponibile, concedendosi al mio tocco impacciato fino a quando un perfetto bending non la farà gemere di piacere.

mercoledì 8 settembre 2010

Ricordati che devi morire

Buonasera, signore e signori. Questo post è un atto di contrizione. Perdonatemi. Perdonatemi voi, che mi seguite su questo blog. E perdonatemi voi, dottori in medicina, health freaks e amici con una certa conoscenza della fisiologia. Martedì sera ho commesso un atto sconsiderato, per un individuo della mia età, della mia costituzione e con il mio stile di vita: ho fatto dell'attività fisica. Anatema su di me. E ora devo espiare, facendo impennare da solo le vendite della Peroni, dando così una flebile speranza almeno ad un settore dell'economia italiana. Ma prima vorrei esporvi alcune riflessioni, visto che tale scempio potrebbe ripetersi presto, con estreme conseguenze per la mia salute e, ebbene sì, la mia stessa vita.
Qualche giorno fa, mentre leggevo l'ennesimo thrilleraccio per una nota casa editrice italiana che mi paga come un lavapiatti senza permesso di soggiorno, mi arriva un SMS, annunciandomi che presto sarei tornato a calcare un campo di calcetto. Quello che ho provato è stata gioia mista a paura. Gioia perchè il calcetto ci riporta alla nostra adolescenza e giovinezza, alle sgambate spensierate, ai terribili attimi di tensione quando qualcuno "metteva in mezzo le mamme"; e paura perchè , dopo anni di assoluta inattività fisica, bisognerebbe riprendere gradualmente. Ad esempio, facendo una passeggiata ogni tanto, anzichè girare sempre su uno scooter senza le sospensioni pur di non compiere il considerevole sforzo di mettere un piede davanti all'altro. O cercando di capire cosa non va nel tuo organismo, quando ti svegli la mattina con la vitalità di Don Zauker (quello di Daitarn 3).
Fatto sta che, facendo un po' di riscaldamento prima di entrare in campo, martedì sera, mi sono accorto di stare peggio di quanto pensassi. Quello che è venuto dopo è stato penoso e umiliante. Se Franco Baresi tornasse a giocare oggi, sarebbe più mobile e scattante di me. Di me, che con tenace anacronismo mi ostino a interpretare il ruolo del libero perchè sta più dietro di tutti (scusate il ritardo...), e perchè corre meno di tutti. E poi perchè si chiama libero, che è sempre un bell'aggettivo.
Ma se libero potevo essere da marcature, in quella piacevole serata settembrina, non altrettanto potevo dire di un pensiero maligno e cazzimmoso come un goblin con la scabbia: la consapevolezza della mia mortalità. Ormai è chiaro, cari lettori, che il vostro amato Bradipo è entrato nella seconda metà della sua vita, quella in cui un lento, progressivo e ineluttabile declino fisico e mentale lo traghetterà verso la terza età e il suo ruolo senile di vecchio che bofonchia parole incomprensibili in luoghi pubblici. Si può cercare di opporsi a questa universale sciagura, si può ritardare il processo di senescenza combattendo i radicali liberi con una serie di costosi prodotti pseudo-farmaceutici, ma resta il fatto che la festa è finita. Tutto ciò che mi attende, da ora alla fine, è un degradante scemare di tutte le mie facoltà.
Tanto più dura è l'accettazione di questa realtà per un sottoccupato cronico, senza un futuro professionale e quindi senza possibilità concrete di soluzioni sentimentali che si addicano a questa età di passaggio, in cui si appendono le scarpette al chiodo e, magari sullo stesso muro, le foto dei tuoi bambini, che insieme a tua moglie hai portato al mare con i risparmi di un anno di lavoro (quello pagato con i soldi veri anzichè con quelli del Monopoli). Sul muro del mio fato beffardo campeggiano solo caricature del mio buffo volto, collezionate in gioventù per schernirmi in quella che dovrebbe essere la maturità, ma che per me non è altro che un prolungato, avvilente addio alla giovinezza. Giovinezza che si allontana come una leggiadra fanciulla dopo averti respinto, ma continua a sorridere, per umiliarti di più. Giovinezza, assurdo travestimento di un'età che non esiste, inventata dai teoreti dell'avidità umana, a metà fra l'adolescente e il cittadino. Datemi un lavoro, per amor di Dio! Mi devo fidanzare, prima che sia troppo tardi! Devo impregnare del mio seme qualche povera demente, prima che arrivi l'andropausa (e temo non manchi molto)!
Perchè la libertà non è un ideale astratto, è la possibilità concreta di fare ciò che si intende fare. In altre parole, il potere di ciascuno di decidere il corso della propria vita. Senza lavoro, non c'è libertà. Chi non lavora, non fa l'amore. Nè si sposa. Nè fa i figli. Resta un giovane che ha passato la data di scadenza e per essere libero non può fare altro che infilarsi le scarpette e sistemarsi, ancora una volta, alle spalle di tutti.

martedì 31 agosto 2010

Il degrado è una musica che si suona a orecchio



Cari lettori, sarete ormai abituati al livore venato di grottesco che pervade molti dei miei post; questa volta, però, ci troviamo di fronte a un delitto che grida vendetta, tremenda vendetta. Violate la mia privacy, il mio onore, finanche la mia libertà, e io accetterò da buon partenopeo, cane di una razza al bastone tristemente avvezza; ma il mio corpo, quello no. Il mio corpo, come ebbe a dire un indimenticato polmone del centrocampo juventino, è un tempio. Poco ci importa, in questa sede e in questo tempo, sindacare sulla veracità di tale affermazione; ciò di cui il mondo civile deve prendere atto, oggi, è un grave attentato contro l'integrità della mia persona fisica e, di riflesso, morale.
Se mi leggete con assiduità e attenzione, cari ricettori dei miei squilibri e disagi, saprete pure che ho il vizio (o il vezzo, fa lo stesso) di conferire sempre la qualità dell'universalità alle mie vicissitudini, anche a quelle apparentemente più singolari. Questo caso non fa eccezione. Con le armi della logica, della satira e di una gaia arbitrarietà, dimostrerò che questo episodio va inserito nel quadro di un più ampio degrado civile, e mirabilmente lo illustra. Questa, cari amici, è roba da interrogazione parlamentare.

E veniamo ai fatti. Come alcuni di voi sapranno, il giorno dopo Ferragosto il vostro eroe (ché tale mi fregio di essere, a ragione o a torto) si imbarcava su un aeromobile diretta a Praga. Dopo un viaggio senza alcunché da registrare, se non qualche turbolenza del tutto consueta e ordinaria, arriva il momento di recuperare il bagaglio a mano e scendere dall'apparecchio, per cominciare finalmente la vacanza propriamente detta. Ed è lì che un fato beffardo si è divertito a frapporre fra me e una bellissima capitale europea alcuni figli della tanto vituperata (e da questa vicenda verrebbe da dire a ragione) Casal di Principe. Non ritengo necessario ricordarvi che si tratta di uno dei comuni più mafiosi d'Italia, più volte menzionato in Gomorra, città natale di quella gemma del Sud che è Nicola Cosentino (ma anche degli Schiavone, dei fratelli Orsi, dei Bidognetti e di tanti altri che potrete immaginare). Ebbene, quando chiedevo a uno di costoro di concedermi qualche decimetro cubico di spazio per consertirmi di arrivare ad afferrare il mio trolley, questo mi rispondeva, con il suo orrido accento, che gli unici due corsi d'azione da intraprendere per ottenere il fine che mi prefiggevo erano la corruzione o l'omicidio del suddetto troglodita. E già mi vedo costretto ad osservare che, fra noi persone più o meno civili, comunque inurbate (a differenza del casertano contadino che, come è ben noto, zappa la terra, zappa la terra) non è in uso intavolare trattative o mettere mano alle armi per chiedere e ottenere gesti di semplice cortesia. A questo punto io, che solitamente non giudico per non essere giudicato, sento il bisogno di studiare con qualche ben assestata occhiata la comitiva. Il nostro uomo ho già avuto modo di osservarlo da vicino, e temo che una descrizione troppo accurata dei suoi tratti somatici, abbinata alla narrazione degli eventi che seguiranno, potrebbe spingere qualcuno a riabilitare il lavoro di Cesare Lombroso. Basti dire che porta un grosso anello al mignolo; per chi è delle mie parti, non è necessario aggiungere altro. La donna che gli sta accanto (che poi risulterà essere la sua novella sposa) sfoggia un'acconciatura tamente elaborata da richiedere necessariamente una motivazione, che sarà fornita a tempo debito. Sono poi presenti altri due individui di sesso maschile, una sorta di pigmeo calvo e un quarto villico che più lo guardo più mi viene da pensare a un rustico pranzo a base di caponata e vino sfuso del contadino, consumati in un locale male arredato e semivuoto, con una sala sul retro gremita di giovinastri, alcuni videopoker e un vecchio bigliardino con le stecche storte. Ma badate bene, questi sono solo comprimari in una tragedia della quale il protagonista assoluto è lui, che in assenza di un nome proprio chiameremo Ribaldo da Casale, guappo eccellentissimo e temuto signore di tutte le sale da biliardo dell'Agro Aversano. Fra i suoi privilegi feudali ci sono, immaginiamo, un decimo dei raccolti di pesche alla diossina, l'ingresso gratuito alle partite dell'Aversa Normanna, e il diritto di precedenza sugli altri clienti nel salone di barbiere da lui prescelto.
Mentre rimesto tali pensieri sento una leggere pressione sull'orecchio sinistro. Provate adesso a immaginare cosa possa passare per il cervello di un uomo che pure ha viaggiato, ha conosciuto un po' di mondo e di straniere genti, eppure mai ha vissuto un'esperienza come quella che segue: Ribaldo da Casale ha preso il mio padiglione auricolare fra due dita della sua mano destra, e lo accarrezza soavemente, come a volerne saggiare la consistenza, la temperatura o chissà che altro. Vi sembrerà appropriato, se siete minimamente sagaci, che un evento così inusitato e illogico si verifichi proprio nella città natale di Kafka. Ma questo pensiero, cari amici, mi è occorso solo molto più tardi. In quel momento mi sono sentito un po' come il pythoniano Mr. Praline nel celebre sketch del pappagallo, quando, recatosi a Bolton per la sostituzione dell'animale morto con uno vivo, si trova di fronte allo stesso identico esercizio commerciale in cui aveva acquistato il volatile defunto, con la sola differenza che il commesso qui ha i baffi (pur essendo anche lui per il resto tale e quale a quello con cui ha battibeccato poco prima).
Dopo l'iniziale spiazzamento, subentra la consapevolezza istintiva di un'infrazione: per alcuni decimi di secondo sono un bracciante della Capitanata del primo '900, angariato da protervi signorotti locali e massari avidi e prepotenti. Ma prima che gli eventi precipitino, subentra una consapevolezza: siamo su un aereo, un luogo in cui la minima infrazione ai comportamenti di prammatica può portare come minimo a una pessima figura (si tratta di un volo internazionale, il mondo ci guarda), e un'infrazione meno lieve può farci finire al posto di polizia aeroportuale. Inoltre le porte non si sono ancora aperte, e il deflusso sarà comunque lento e laborioso. Scrutando il volto del gaglioffo, scorgo l'inconfondibile marchio della guapparia. E così, per evitare mali peggiori, abbozzo. Don Ribaldo si lancia dunque in un lungo ed elaborato resoconto, in base al quale il pigmeo calvo sarebbe una specie di feticista ossessionato dalle altrui orecchie; trascinato dalla sua stessa retorica, mentre il glabro nano lambisce con voluttà la parte della mia anatomia che non occorre più specificare, lui fa altrettanto all'uomo della caponata. V'è da dire, a discolpa quanto meno parziale di questi personaggi, che il primo fa di tutto beffe e lazzi, mentre il secondo rimane in silenzio e in disparte, e sembra addirittura lievemente infastidito da quanto accade. La sposina, infine, passa da un'iniziale e ben visibile allarme per il gesto estemporaneo del coniuge, a un sommesso imbarazzo: mi guarda come a dire "Che vuoi farci, mio marito è così". Ora è il giullare a narrarmi un buffo episodio, ovvero di come dové costui adoprar l'ingegno per toccare al matrimonio di Don Ribaldo, da poco celebrato, l'orecchio di un camorrista, che lo aveva fatalmente attratto in virtù delle sue gigantesche dimensioni. Dunque, ora scopriamo il motivo per cui la testa della signora è agghindata come un uovo di Pasqua di Gallucci. Il giullare e il muto sono il fotografo e il cameraman del matrimonio, aggregati agli sposini per un motivo che scopriremo fra poco.

Una volta scesi dall'aeroplano mi tocca sorbirmi anche i rimproveri e il dileggio dei miei compagni di viaggio, che avevano assistito a distanza di qualche metro alla scena: tutto avevano visto e, tendendo l'orecchio, qualcosa avevano udito. E dunque mi riscopro samurai privato dell'onore, quasi costretto a un pittoresco suicidio rituale dalla pressione dei pari. Ma io rimango persuaso di aver agito bene, assecondando il minuto giullare e lasciando che la sua bislacca simpatia, pur se probabilmente non scevra da intenzioni di scherno, desse uno sbocco pacifico a una situazione tanto indecifrabile da essere aperta a qualsiasi sviluppo.

Comunque sia, la vacanza comincia, con le sue lunghe passeggiate fra le numerose bellezze architettoniche della capitale ceca. Il nostro albergo sorge all'ombra del ponte più centrale e più bello di Praga, quello che prende il nome da Carlo IV del Sacro Romano Impero; percorrendolo in una serata fresca e stellata, indovinate chi ci ritroviamo davanti? Don Ribaldo e consorte, vestiti con gli indumenti evidentemente indossati al loro matrimonio, con il giullare e il muto che li fotografano e li riprendono. Ecco perché erano con loro, e perché l'uovo di Pasqua di Gallucci non si era potuto scartare prima.
Sarà perchè Praga non è enorme, sarà perché il destino si accanisce contro di me, incrociamo Don Ribaldo e i suoi per tutti i giorni del nostro breve soggiorno. Al momento della partenza è quasi un sollievo allontanarsi da questo losco e inquietante personaggio. Ma la navetta aeroportuale resta ferma per un lasso di tempo inspiegabilmente lungo... Certamente aspettiamo qualche ritardatario. Bene, dobbiamo solo pazientare un po'. Finalmente appare il colpevole, sorridente e giulivo. C'è bisogno che vi dica di chi si tratta? Salito sul veicolo, proclama tronfio che effettivamente si era sentito chiamare per tre volte, ma che lui, quando fa shopping, non conosce cause di forza maggiore.

Questo, amiche e amici, è il degrado di cui parla il titolo del post. Questa gente è stata attorniata dal brutto così a lungo che ormai lo incarna, tanto nel senso estetico che morale. Questi individui hanno passaporto italiano e possono recarsi in qualsiasi città della UE, proprio come me; ma, a differenza di me e dei miei amici, non possono essere certo definiti cittadini europei. Sono la schifezza degli italiani, ovvero la schifezza di un popolo che già non brilla per civiltà e cosmopolitismo. Scambiano la tolleranza e il rispetto che voi ed io consideriamo valori per debolezza, e godono del fastidio che arrecano agli altri, perché è qualcosa che si impone, per cui implica una loro affermazione. Sul loro senso estetico, credo sia meglio sorvolare. Anche questa, cari lettori, è Gomorra. Ministro Maroni, tu che tanto ti vanti di aver fatto contro le mafie, perchè non hai ancora assicurato Don Ribaldo da Casale alla giustizia? Quando lo vedremo finalmente al 41 bis, ridotto alla follia come il "professore" Cutolo, andare avanti e indietro nella sua angusta cella farneticando e smaniando, perché non ci sono orecchie da toccare? Fino ad allora questo non si potrà definire un paese civile, ma solo una babilonia in cui regnano l'arbitrio e la sopraffazione; in cui i singoli componenti dell'orchestra non seguono lo spartito della convivenza civile e del progresso comune, ma improvvisano ad libitum; e suonano, ebbene sì, a orecchio.