lunedì 27 settembre 2010
Tre fesserie
Ho scritto poco ultimamente. Colpa della sinusite, o di qualsiasi altro male oscuro risieda nel mio cranio. Giovedì ritiro la TAC e vi comunicherò il verdetto, ammesso che ve ne freghi qualcosa. Stasera mi sono imposto di scrivere, perchè altrimenti si perde smalto, e i miei lettori (che siete voi) si dimenticano di me. E allora andiamo, scriviamo.
Cosa è successo ultimamente nella mia vita? Ho scelto tre avvenimenti (o presunti tali) che vi espongo in ordine sparso. Innanzitutto, ho comprato una nuova chitarra elettrica. Una Fender Telecaster American Special bianca (la Fender lo chiama "olympic white") con battiplettro nero. Proprio come questa:
A dirla tutta, me la sono fatta comprare. Da un amico che frequenta quella sorta di covo dei predoni che è Via S. Sebastiano. Naturalmente i soldi li ho messi io, sebbene le Poste Italiane facciano di tutto, ultimamente, per rendermi difficile accedere ai miei pur magri risparmi. Perchè ho fatto questo acquisto, visto che non ho un gruppo e sono un semi-vegliardo che non ha mai imparato a suonare secondo i canoni correnti della teoria e tecnica musicale occidentale? Perchè volevo finalmente uno strumento decente. Voglio fare i bending. Quelli dove tiri le corde e la chitarra protesta, producendo un effetto sonoro gradevole. Con la mia vecchia Epiphone non potevo, non mi reggeva l'accordatura. E ora sto scoprendo un mondo fatato di manici doppi e suono definito. E questo è quanto.
Il secondo argomento di cui vi parlerò è un sogno che ho fatto, e che mi ha turbato non poco. Ero in un postribolo (o meglio, un appartamento adibito a postribolo), e mi trovavo in compagnia di alcune donnine allegre. Eravamo in camera da letto, e io mi rivolgevo a una di loro per ottenere una prestazione. Incredibilmente, lei diceva di non essere disponibile, la qual cosa risultava poco credibile, in virtù del fatto che la giovane donna era seminuda. Accostavo allora un'altra, con la stessa finalità, ma anche lei mi dava buca. La terza prostituta, infine, mi spiegava che sarebbe arrivata a breve una sua collega che era di turno, e finalmente avrei potuto consumare il rapporto. Questo sogno ci conferma un sospetto che ho sempre avuto: Tinto Brass e Samuel Beckett vanno tenuti a debita distanza.
L'ultimo argomento di cui vorrei scrivere sono le donne sopra i 30 anni. Naturalmente la mia finestra sul mondo è piuttosto limitata, un po' per necessità, un po' per scelta. Per essere più corretto, dovrei dire che vi parlerò delle ultratrentenni che frequentano il supermercato di fronte casa mia. Si tratta di donne molto ordinarie, che a occhio e croce possono essere definite rappresentanti abbastanza tipiche del loro gruppo statistico. Diciamo subito che io non mi faccio eccessivi problemi quando esamino e valuto un membro del sesso opposto. Guardo sfrontatamente, con un'espressione neutra (almeno credo), e non per fantomatici intenti di seduzione (calma!!!!), bensì per capire. Guardo le donne come si guarda un animale o una pianta, o una qualsiasi altra forma di vita. Dall'altra parte non mi è mai capitato di riscontrare un interesse di natura analoga. Queste semi-vegliarde si distinguono in due categorie:
1) Quelle che hanno piacere di essere guardate.
2) Quelle che si sentono a disagio se guardate.
A volte le due categorie si sovrappongono. Quello che manca assolutamente in loro è la naturalezza, la mancanza di malizia che porta una persona a stare in mezzo agli altri senza dover stabilire confini e rapporti di forza come superpotenze rivali. Sono brutte, anche quando le loro fattezze potrebbero suggerire armonia di forme. Sono brutte perchè in loro ogni minimo gesto, ogni sguardo, ogni atteggiamento è finalizzato al raggiungimento di uno scopo, per di più assolutamente banale e meschino. Provano un disagio eccessivo, che non è timidezza ma una forma di aggressività, se hanno un filo di grasso in più. E trasudano una violenza sconcertante se sono sicure del loro aspetto. Le ultratrentenni sono per lo più brutte. Almeno quelle che fanno la spesa al supermercato di fronte casa mia.
E allora io cercherò la bellezza nel mio nuovo strumento. Sì, le chitarre sono più belle delle donne, in linea di massima. Non hanno scopi, esistono per essere chitarre. Puoi suonarle ogni giorno, o lasciarle a riposo per una settimana prima di imbracciarle ancora, e suoneranno sempre bene. Basta cambiare le corde, ogni tanto. Questo mi fa pensare che la mia chitarra non ha ancora un nome. Alle chitarre vanno dati dei nomi, è importante. E allora diamo un nome alla mia nuova Tele. Bene, eccolo. Visto che è bianca, la chiamerò Bianca. Ed esplorerò la sua tastiera con l'amore di un novello sposo un po' imbranato, ma volenteroso. Lei sarà paziente e sempre disponibile, concedendosi al mio tocco impacciato fino a quando un perfetto bending non la farà gemere di piacere.
mercoledì 8 settembre 2010
Ricordati che devi morire
Buonasera, signore e signori. Questo post è un atto di contrizione. Perdonatemi. Perdonatemi voi, che mi seguite su questo blog. E perdonatemi voi, dottori in medicina, health freaks e amici con una certa conoscenza della fisiologia. Martedì sera ho commesso un atto sconsiderato, per un individuo della mia età, della mia costituzione e con il mio stile di vita: ho fatto dell'attività fisica. Anatema su di me. E ora devo espiare, facendo impennare da solo le vendite della Peroni, dando così una flebile speranza almeno ad un settore dell'economia italiana. Ma prima vorrei esporvi alcune riflessioni, visto che tale scempio potrebbe ripetersi presto, con estreme conseguenze per la mia salute e, ebbene sì, la mia stessa vita.
Qualche giorno fa, mentre leggevo l'ennesimo thrilleraccio per una nota casa editrice italiana che mi paga come un lavapiatti senza permesso di soggiorno, mi arriva un SMS, annunciandomi che presto sarei tornato a calcare un campo di calcetto. Quello che ho provato è stata gioia mista a paura. Gioia perchè il calcetto ci riporta alla nostra adolescenza e giovinezza, alle sgambate spensierate, ai terribili attimi di tensione quando qualcuno "metteva in mezzo le mamme"; e paura perchè , dopo anni di assoluta inattività fisica, bisognerebbe riprendere gradualmente. Ad esempio, facendo una passeggiata ogni tanto, anzichè girare sempre su uno scooter senza le sospensioni pur di non compiere il considerevole sforzo di mettere un piede davanti all'altro. O cercando di capire cosa non va nel tuo organismo, quando ti svegli la mattina con la vitalità di Don Zauker (quello di Daitarn 3).
Fatto sta che, facendo un po' di riscaldamento prima di entrare in campo, martedì sera, mi sono accorto di stare peggio di quanto pensassi. Quello che è venuto dopo è stato penoso e umiliante. Se Franco Baresi tornasse a giocare oggi, sarebbe più mobile e scattante di me. Di me, che con tenace anacronismo mi ostino a interpretare il ruolo del libero perchè sta più dietro di tutti (scusate il ritardo...), e perchè corre meno di tutti. E poi perchè si chiama libero, che è sempre un bell'aggettivo.
Ma se libero potevo essere da marcature, in quella piacevole serata settembrina, non altrettanto potevo dire di un pensiero maligno e cazzimmoso come un goblin con la scabbia: la consapevolezza della mia mortalità. Ormai è chiaro, cari lettori, che il vostro amato Bradipo è entrato nella seconda metà della sua vita, quella in cui un lento, progressivo e ineluttabile declino fisico e mentale lo traghetterà verso la terza età e il suo ruolo senile di vecchio che bofonchia parole incomprensibili in luoghi pubblici. Si può cercare di opporsi a questa universale sciagura, si può ritardare il processo di senescenza combattendo i radicali liberi con una serie di costosi prodotti pseudo-farmaceutici, ma resta il fatto che la festa è finita. Tutto ciò che mi attende, da ora alla fine, è un degradante scemare di tutte le mie facoltà.
Tanto più dura è l'accettazione di questa realtà per un sottoccupato cronico, senza un futuro professionale e quindi senza possibilità concrete di soluzioni sentimentali che si addicano a questa età di passaggio, in cui si appendono le scarpette al chiodo e, magari sullo stesso muro, le foto dei tuoi bambini, che insieme a tua moglie hai portato al mare con i risparmi di un anno di lavoro (quello pagato con i soldi veri anzichè con quelli del Monopoli). Sul muro del mio fato beffardo campeggiano solo caricature del mio buffo volto, collezionate in gioventù per schernirmi in quella che dovrebbe essere la maturità, ma che per me non è altro che un prolungato, avvilente addio alla giovinezza. Giovinezza che si allontana come una leggiadra fanciulla dopo averti respinto, ma continua a sorridere, per umiliarti di più. Giovinezza, assurdo travestimento di un'età che non esiste, inventata dai teoreti dell'avidità umana, a metà fra l'adolescente e il cittadino. Datemi un lavoro, per amor di Dio! Mi devo fidanzare, prima che sia troppo tardi! Devo impregnare del mio seme qualche povera demente, prima che arrivi l'andropausa (e temo non manchi molto)!
Perchè la libertà non è un ideale astratto, è la possibilità concreta di fare ciò che si intende fare. In altre parole, il potere di ciascuno di decidere il corso della propria vita. Senza lavoro, non c'è libertà. Chi non lavora, non fa l'amore. Nè si sposa. Nè fa i figli. Resta un giovane che ha passato la data di scadenza e per essere libero non può fare altro che infilarsi le scarpette e sistemarsi, ancora una volta, alle spalle di tutti.
Qualche giorno fa, mentre leggevo l'ennesimo thrilleraccio per una nota casa editrice italiana che mi paga come un lavapiatti senza permesso di soggiorno, mi arriva un SMS, annunciandomi che presto sarei tornato a calcare un campo di calcetto. Quello che ho provato è stata gioia mista a paura. Gioia perchè il calcetto ci riporta alla nostra adolescenza e giovinezza, alle sgambate spensierate, ai terribili attimi di tensione quando qualcuno "metteva in mezzo le mamme"; e paura perchè , dopo anni di assoluta inattività fisica, bisognerebbe riprendere gradualmente. Ad esempio, facendo una passeggiata ogni tanto, anzichè girare sempre su uno scooter senza le sospensioni pur di non compiere il considerevole sforzo di mettere un piede davanti all'altro. O cercando di capire cosa non va nel tuo organismo, quando ti svegli la mattina con la vitalità di Don Zauker (quello di Daitarn 3).
Fatto sta che, facendo un po' di riscaldamento prima di entrare in campo, martedì sera, mi sono accorto di stare peggio di quanto pensassi. Quello che è venuto dopo è stato penoso e umiliante. Se Franco Baresi tornasse a giocare oggi, sarebbe più mobile e scattante di me. Di me, che con tenace anacronismo mi ostino a interpretare il ruolo del libero perchè sta più dietro di tutti (scusate il ritardo...), e perchè corre meno di tutti. E poi perchè si chiama libero, che è sempre un bell'aggettivo.
Ma se libero potevo essere da marcature, in quella piacevole serata settembrina, non altrettanto potevo dire di un pensiero maligno e cazzimmoso come un goblin con la scabbia: la consapevolezza della mia mortalità. Ormai è chiaro, cari lettori, che il vostro amato Bradipo è entrato nella seconda metà della sua vita, quella in cui un lento, progressivo e ineluttabile declino fisico e mentale lo traghetterà verso la terza età e il suo ruolo senile di vecchio che bofonchia parole incomprensibili in luoghi pubblici. Si può cercare di opporsi a questa universale sciagura, si può ritardare il processo di senescenza combattendo i radicali liberi con una serie di costosi prodotti pseudo-farmaceutici, ma resta il fatto che la festa è finita. Tutto ciò che mi attende, da ora alla fine, è un degradante scemare di tutte le mie facoltà.
Tanto più dura è l'accettazione di questa realtà per un sottoccupato cronico, senza un futuro professionale e quindi senza possibilità concrete di soluzioni sentimentali che si addicano a questa età di passaggio, in cui si appendono le scarpette al chiodo e, magari sullo stesso muro, le foto dei tuoi bambini, che insieme a tua moglie hai portato al mare con i risparmi di un anno di lavoro (quello pagato con i soldi veri anzichè con quelli del Monopoli). Sul muro del mio fato beffardo campeggiano solo caricature del mio buffo volto, collezionate in gioventù per schernirmi in quella che dovrebbe essere la maturità, ma che per me non è altro che un prolungato, avvilente addio alla giovinezza. Giovinezza che si allontana come una leggiadra fanciulla dopo averti respinto, ma continua a sorridere, per umiliarti di più. Giovinezza, assurdo travestimento di un'età che non esiste, inventata dai teoreti dell'avidità umana, a metà fra l'adolescente e il cittadino. Datemi un lavoro, per amor di Dio! Mi devo fidanzare, prima che sia troppo tardi! Devo impregnare del mio seme qualche povera demente, prima che arrivi l'andropausa (e temo non manchi molto)!
Perchè la libertà non è un ideale astratto, è la possibilità concreta di fare ciò che si intende fare. In altre parole, il potere di ciascuno di decidere il corso della propria vita. Senza lavoro, non c'è libertà. Chi non lavora, non fa l'amore. Nè si sposa. Nè fa i figli. Resta un giovane che ha passato la data di scadenza e per essere libero non può fare altro che infilarsi le scarpette e sistemarsi, ancora una volta, alle spalle di tutti.
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