lunedì 21 maggio 2012

Resta cu mme


Vi ricordate il post su Davide contro Golia? Bene, stamattina vi racconto un'altra storia: quella di Ulisse, che approfitta del sonno di Polifemo per accecarlo e scappare insieme ai suoi compagni dalla grotta del ciclope antropofago. E così, ieri sera, il Napoli ha approfittato di una Juventus ancora ebbra di scudetto, certamente un tantino appagata e meno motivata, per portarsi a casa il primo trofeo della gestione De Laurentiis. 
Come è giusto dopo la vittoria di un trofeo, bisogna tributare i doverosi onori a chi li merita. L'irruzione sul prato dell'Olimpico da parte del cazzaro di Castelvolturno, uomo che ormai odio e detesto con ogni cellula del mio corpo, mi spinge a scrivere questa celebrazione mista a un'umile analisi della stagione appena finita e della gestione societaria.

Partiamo subito dalla tesi che intendo sostenere: il principale artefice di questo successo è il cazzutissimo Walter Mazzarri. Certo, lode ai prodi e valorosi atleti che cotanto lustro hanno dato ai nostri colori, dopo un purgatorio durato 22 anni; ma il valore aggiunto, cari amici, è stato questo burbero e nerboruto omaccione, capace di mettere in fuga Gozilla, Al Qaeda e la camorra con il solo gesto di togliersi la giacca.  
Inutile ricordarvi, se seguite il Napoli, di come lui abbia scosso la squadra dal sonno in cui era piombata con la gestione di Roberto "valeriana" Donadoni, di come abbia trasformato Michele Pazienza in un giocatore di calcio, di come sia riuscito a dare le giuste motivazioni a un gruppo che ne aveva poche. I suoi detrattori lo accusano di essere rigido, di non saper cambiare, di puntare sempre sugli stessi uomini; ma perchè cambiare, mi chiedo, se la solita, vecchia ricetta Mazzarri riesce prima a farci superare il girone di qualificazione della Champions League, e poi a vincere la Coppa Italia? Se questa squadra ha dei limiti, torno a ripeterlo, sono nello scarno, inadeguato organico. Il calcio di Mazzarri è pensato per una squadra di podisti e spaccapietre, non di fini dicitori, ed ha dunque bisogno di interpreti freschi, con tanta benzina nel serbatoio. La qualità, il Napoli ce l'ha solo lì davanti, in quei tre tenori che l'anno prossimo, grazie alla parsimonia di Mac Laurentiis (patatè chiammatillo!!!) saranno probabilmente due. Il "re leone", supposto colpo della campagna acquisti della scorsa estate, non ha portato il salto di qualità che ci si attendeva da lui. Lento, compassato, poco reattivo e incisivo in fase di non possesso. Se i piedi buoni sono attaccati a un giocatore così molle e impalpabile, meglio Pazienza. A Cavani (bomber che, vale la pena ricordarlo, ci siamo ritrovati in squadra per caso, visto che nessuno poteva prevedere cifre realizzative così quando arrivò da Palermo) non esiste alternativa. Ora dice che vuole fare le Olimpiadi; beh, deve avere veramente tanta fede nel signore, se pensa di non stramazzare al suolo in mezzo al campo, visto che non si ferma un attimo da due anni a questa parte.
E poi, la difesa. Il tasto dolente. Durante lo scorso campionato si era diffuso un mito, ovvero che il Napoli fosse forte in difesa. Grazie a una grandissima attenzione tattica e ad una solidità atletica straordinaria, si erano presi pochi gol. Ma nel calcio di oggi, cari amici giornalai dei miei stivali, si attacca e si difende in 10. Prima di parlare di Paolo Cannavaro in Nazionale, riflettete. La verità è che il Napoli, ora come ora, non ha difensori di alto livello, e durante questa stagione lo abbiamo potuto constatare. Soprattutto in finale di campionato, quando un Gargano stremato (unico interditore, visto l'approccio alla gara quanto meno flemmatico di Inler), talvolta coadiuvato da un Dzemaili che ritengo semplicemente un acquisto non degno delle nostre ambizioni, non è stato più in grado di sporcare i palloni degli avversari, che arrivavano quindi spesso e volentieri a tu per te con De Sanctiis. Senza il filtro del centrocampo, qualsiasi difesa andrebbe in difficoltà; tanto più quella del Napoli, che trascendentale non è.

Mi direte voi: ma questo non è un elogio! Stai scrivendo solo critiche! E cazzo, ma allora siete deficienti??? Se questo è il Napoli, allora l'allenatore che gli ha fatto vincere questo trofeo, contro una squadra che nessuno era riuscito a battere quest'anno, deve essere un grande! Appunto! Grande Walter! Sei tu il nostro re leone, con quella splendida criniera che la tua controparte ieri sera ti invidiava in silenzio! Hai preso una squadra con la panchina corta, mal assortita e con una difesa mediocre, e l'hai portata alla vittoria. Io, Walter Mazzarri, sento un trasporto amoroso nei tuoi confronti. Ti vorrei dare tanti bacini, come il tuo conterraneo Francesco Nuti a Novello Novelli nella  scena forse più divertente di tutta la sua cinematografia. Ti vorrei fare sindaco di Napoli, Arcivescovo di Casoria, Duca della Forcoletta e Conte della Cerra, con  potere di vita e di morte sull'intera popolazione della Regione Campania. E vorrei, soprattutto, che quando incontrerai quel cazzaro da quattro soldi che ieri sera si pavoneggiava in mezzo ai giocatori come se avesse qualche merito, tu tirassi fuori la tua consueta grinta, e riuscissi a strappargli la promessa di una campagna acquisti seria e oculata, pena la tua dipartita. Perchè, caro Walterone, tu meriti di vincere ancora, di vincere molto di più di questa Coppa Italia, che deve essere un antipasto, non certo un piatto unico.
Caro Mister, che vada via Lavezzi mi dispiace, è una grossa perdita; ma se te ne vai tu, questa squadra rischia di finire nell'ignominia della metà classifica. Napoli ti ama e ti ammira. Io ti amo e ti ammiro. Caro Walter, resta cu mme.

lunedì 14 maggio 2012

Un largo adiós que no se acaba


Queste le parole proferite dal luogotenente di Cutolo, ne Il Camorrista di Giuseppe Tornatore, prima di essere accoltellato in una doccia del carcere in cui è detenuto.
Non c'è niente, nella cultura dell'Italia Meridionale, di più disonorevole del tradimento. Siamo gente chiassosamente emotiva, prona a morbosi attaccamenti, e spesso abbastanza provinciali da non renderci conto di quanto il resto del mondo, nella sua quasi totalità, sia diverso da noi. Se una donna ci ha detto di sì 'na sera 'e maggio, come può poi avere il coraggio di lasciarci? E come può un giocatore di calcio, arrivato a Napoli imberbe e sprovveduto, cresciuto indossando l'azzurro e idolatrato forse leggermente al di là dei suoi pur notevoli meriti, decidere che la sua avventura in questa squadra e in questa città finisce qui?

¿Serás, amor
un largo adiós que no se acaba?
Vivir, desde el principio, es separarse.

Reminiscenze di remoti studi universitari mi vengono in soccorso, e mi suggeriscono queste parole di Pedro Salinas, che sembrano scritte apposta per l'occasione. La vita è separazione, dall'istante in cui ci strappano al grembo di nostra madre fino a quello in cui prendiamo congedo dai vivi. La straordinarietà dei sentimenti che chiamiamo "amore", "affetto" e "amicizia" sta proprio nel superamento della solitudine a cui ci condanna la nostra stessa natura. Ma per godere di questi sentimenti è necessario che essi siano reciproci; diversamente, avremmo qualcosa di morboso, una dipendenza emotiva, il tentativo di tenere alla catena qualcosa che può nascere solo dalla famosa corrispondenza di amorosi sensi di foscoliana memoria. Ci si vuole bene in due.

Ora, è già da un po' che il Pocho non vuole più bene a Napoli e al Napoli. Segni di insofferenza sono emersi spesso nelle dichiarazioni alla stampa del suo paese, se ne è chiacchierato sui blog, i nemici del Napoli li hanno sfruttati per creare turbolenza intorno al calciatore. In particolare, Ezequiel si è spesso lamentato  dell'eccessiva invadenza dei tifosi partenopei, dell'impossibilità di avere una vita normale, uscire per strada senza essere aggredito dall'affetto straripante, eccessivo dei calciofili di questa città. Chi comincia ad avere qualche capello bianco, come me, ricorda che queste stesse lamentele furono espresse da un altro argentino, ben più determinante del pur bravo Lavezzi, qualche anno fa. Fin quando il suo rapporto con la società rimase accettabile, Diego Armando Maradona sopportò di buon grado le limitazioni della sua privacy, probabilmente ancora maggiori di quelle che deve subire il Pocho; quando poi il rapporto con la dirigenza si incrinò, il più grande numero 10 del mondo cominciò a mostrare sintomi di insofferenza. Insomma, il problema di Ezequiel Lavezzi non siamo noi, ma Aurelio De Laurentiis.

Che problema ha Lavezzi con il cazzaro di Castelvolturno? Esistono due aspetti, uno sportivo e l'altro economico. Cominciamo dal primo.
Lavezzi ha oggi 27 anni: l'età perfetta per fare un salto di qualità. Dal momento che appare fievole la probabilità di poter fare questo salto di qualità con il Napoli, data la limitatezza delle risorse messe a disposizione dalla dirigenza, il Pocho deve necessariamente pensare a un'alternativa. Con l'Inter, il Man City o il PSG si può pensare di vincere qualcosa; con il Napoli, purtroppo, no. 
L'altro motivo, come accennavo, è di natura economica. L'attaccante argentino può, andando via da Napoli, aspirare a guadagnare più o meno il doppio dell'ingaggio che percepisce qui. 
Un terzo motivo, che a momenti dimenticavo, è il desiderio della compagna del Pocho di lasciare Napoli per una capitale della moda. Ora, il mio giudizio su questo desiderio è assolutamente irrilevante in questa sede, per cui ve lo risparmio; mi limiterò a dire che, se tuo marito guadagna milioni di euro all'anno, sarebbe forse il caso di lasciare un posto di lavoro a chi ne ha più bisogno di te. Magari resta a casa e impara a fare la pasta e fagioli. Ma Yanina Screpante non la pensa così, ammesso e non concesso che abbia familiarità con l'attività del pensare.

Rispetto a queste aspirazioni, che spero troverete legittime, qual è l'atteggiamento della società? Una subdola criminalizzazione, esattamente come si fece con Quagliarella. Il furbacchione sa benissimo che, se vuole dare via uno dei pochi pezzi pregiati in rosa, deve prima metterlo in cattiva luce con la tifoseria. Il Pocho, che tutto sommato è un po' tontolone, è una preda facile per uno come Mac Laurentiis: non sa gestire il rapporto con la stampa, si rende protagonista di atteggiamenti che ne fanno dubitare l'attaccamento alla maglia (che cazzo ti sorridi ogni volta che sbagli un gol???), parla con i giornalisti argentini come se vivessimo nel XV secolo, e non in un villaggio globale, in cui qualsiasi cosa faccia un personaggio famoso il giorno dopo è su Youtube. Ma non è un traditore. Nossignore. E' un professionista che vuole migliorare, un compagno ricettivo ai desideri della sua donna, un uomo che non vuol essere preso in giro. Per questo io sto dalla sua parte.
Adiós, Pocho. Que tengas suerte.

sabato 5 maggio 2012

La penna e la spada

Sono costretto a scrivere un altro post sull'affair Delio Rossi. Vi sono costretto dall'ammirazione che provo per lui dopo il gesto, e soprattutto dopo la conferenza stampa di ieri; e lo ritengo opportuno per precisare il mio pensiero, che vi posso assicurare scevro da inclinazioni alla violenza.
Una frase mi torna alla mente, di quella bellissima conferenza stampa: "La penna può ferire più della spada". Che voleva dire mister Rossi? Dato che il neo-disoccupato non ha accettato domande dai giornalisti al termine della sua spiegazione di quanto accaduto, non possiamo dirlo con certezza. Io proverò a interpretarlo.

Tie giudice ca puerti la pinna mmanu,
nun la tracciare longa la mia condanna!

Così recita una canzone tradizionale salentina, che ha per protagonista un criminale. Canzone magistralmente interpretata da Bruno Petrachi e poi dal figlio Enzo, ma della quale io ebbi il piacere di ascoltare una straordinaria versione live cantata dai frequentatori di un bar di Felline (LE), durante il mio servizio civile. Dunque, lo stesso uomo ruvido e impavido che definisce il carcere una villeggiatura confessa di temere la penna del giudice. E perchè stupirsi, quando la stessa storia del nostro continente dimostra inequivocabilmente che la penna è più potente della spada? Il feudalesimo non è stato spazzato via dalle penne di mercanti e banchieri? La penna sancisce, fissa, sentenzia. Scripta manent. La penna è la spada del giudice, del  notaio, dell'avvocato. Ed ha un enorme vantaggio rispetto all'arma bianca: i danni che provoca non sono immediatamente visibili, e non provocano dunque riprovazione, se non da parte di chi ha gli strumenti per discernere quei danni.

Lu giudice ca puerta la pinna mmanu

Questo non vuol dire che la penna non sappia infliggere ferite. La differenza fra la violenza della spada e quella della penna è la episodicità della prima, a fronte del carattere permanente della seconda. Scripta manent. A qualsiasi conflitto, anche il più lungo e sanguinoso, seguirà la pace. Ma la guerra della penna, quella non finisce mai. La guerra delle penne che scrivono una cifra  su una colonna piuttosto che un'altra, sentenziando così che questo o quel popolo è discolo e spendaccione, e va rimesso in riga; la guerra delle penne che stabiliscono di chi è questo e quello, in base a principi tracciati da altre penne, in una catena di rimandi e riferimenti lunga secoli, e che porta invariabilmente al genocidio e al saccheggio. La spada, rispetto a questa vera e propria arma di distruzione di massa, è un giocattolo.

Non so a voi, ma a me i cazzotti di Peppone e Don Camillo mi fanno tenerezza. Non lo sa, il sanguigno dirigente del PCI di Brescello, che a Yalta Stalin ha preso la penna in mano e ha sancito una divisione, una spartizione che preclude all'Italia e a tutto l'Occidente la via del socialismo? Del resto, la penna in mano l'aveva presa già il suo Ministro degli Esteri nel 1939, per firmare un patto di non aggressione con la Germania nazista. E Don Camillo, con tutta la sua bonaria umanità, forse dimentica che la sua chiesa è scesa a patti con un regime dittatoriale responsabile di atti difficilmente definibili cristiani, firmando i Patti Lateranensi. E fanno a cazzotti. E fanno ridere. Perchè un occhio nero o uno zigomo spaccato sono danni di entità risibile, rispetto alla tragica realtà di un paese preso d'assalto da tutte le maggiori potenze mondiali, bombardato da chi poi lo avrebbe "liberato", ridotto in uno stato di pesante asservimento a logiche che parlano altre lingue. 

Ma si era partiti da Delio Rossi. Forse gli eroi non sono tutti giovani e belli, come recitava la famosa canzone; forse qualche volta sono di mezza età e presentano una inquietante rassomiglianza con Braccio di Ferro. Di sicuro il mio eroe oggi ha quel volto. Perchè? Perchè con quel gesto, autodistruttivo quasi quanto quello del macchinista di Guccini, ci ha ricordato la violenza della penna. La violenza sistematica che una nutrita cricca di affaristi, finanzieri, avventurieri, giornalisti incompetenti e prezzolati sta facendo al calcio. Se non lo capite, non ho nè il tempo nè la voglia di spiegarvelo. Pazienza, continuerete a non comprendermi e a tacciarmi di esprimere opinioni incivili e rozze.Mi direte che Rossi non è uno stinco di santo, che anche lui fa parte di quel mondo. E che problema ho ad accettare questa osservazione? Io non cerco role models, a campare me lo hanno insegnato mammà e papà, bene o male lo lascio giudicare a chi mi conosce. Ma certamente me lo hanno insegnato meglio di quanto non sia stato insegnato a quel lazzaro che mercoledì sera si è preso un paio di schiaffi. Dovrete però convenire con me che non è la fine del mondo: una penna ha scritto sul contratto di quel ragazzino maleducato una cifra tale da lenire il dolore di qualsiasi ferita o ematoma. E il violento è stato allontanato. State tranquilli, uomini di penna: giustizia è fatta.

Gli eroi, qualche volta, non sono giovani e belli. Ciao Delio, buona fortuna.

giovedì 3 maggio 2012

Delio e i suoi fratelli


Compito ingrato, quello dell'allenatore di calcio. Soprattutto in Italia. Immersi in un ambiente sporco quanto una camerata di ostello della gioventù, circondati da personaggi di scarsissima integrità personale e nulla umanità, questi uomini cercano di svolgere un lavoro già di per sé difficile; un lavoro che, sotto le pressioni di un giornalismo sportivo sempre più demenziale e drogato di gossip, diventa la tredicesima fatica di Ercole. Se poi le cose non vanno come dovrebbero andare, sono quasi sempre loro a pagare. Non i dirigenti che hanno magari sbagliato la campagna acquisti, non i calciatori che fanno le ore piccole al weekend con un mojito in mano, non certo i presidenti che hanno posto traguardi impossibili a una squadra male attrezzata. Che colpa si può attribuire, ad esempio, ad Eusebio De Francesco, quando il Lecce ha giocato un intero campionato praticamente senza difesa? E il povero Arrigoni, che ha dovuto provare a gestire un organico composto da giovani senza grande qualità, ai quali è stato accostato qualche veterano in parabola decisamente discendente? Per non parlare del Palermo di Zamparini, che cambia gli allenatori come le mutande.

Il mister è il ciuccio di fatica sul quale bisogna sempre poter fare affidamento. Fra tanti incompetenti, disonesti, boriosi e deficienti si suppone che lui, chissà perchè, resti sobrio, lucido, con la testa sulle spalle. Come il Rocco di viscontiana memoria, di fronte a una società moralmente in macerie, fare buon viso a cattivo gioco e non farsi trascinare nel caos. Sopportare in silenzio la malizia e la cattiveria altrui, prendere botte senza reagire, proteggere le stesse persone che lo danneggiano in mille modi.

E allora io non lo biasimo, questo gigante buono che si è caricato il mondo sulle spalle, quando finalmente si ribella ed esige il rispetto che gli è dovuto. Mi piace il ciucciariello che scalcia. Non è la fine del mondo, benpensanti da quattro soldi che non siete altro, se un muccusiello con la bocca ancora sporca di latte viene messo al posto suo da un uomo che gli potrebbe essere padre, e in un certo senso lo è. E invece, per colpa dei mericani e della loro "cultura" del politically correct, che il padreterno ha la grave responsabilità di non aver tempestivamente tempestato di fuoco come le città di Sodoma e Gomorra, il ciuccio è stato scacciato dal padrone. Perchè il ciuccio la carota se la deve guadagnare a furia di bastonate.

Noi, da questo umilissimo blog, esprimiamo tutta la nostra solidarietà a Delio Rossi. Anzi, ci auguriamo di vedere sempre più spesso scene come quella di ieri sera. Auspichiamo una gragnuola di cazzotti, calci in culo e paccheri a mano smerza per tutti i divi, le primedonne, i cazzi pieni d'acqua che purtroppo infestano questo calcio malato. Perchè il lavoro, mannaggia a bubbà, va rispettato.