giovedì 23 maggio 2013

The Wasteland


Amici del Bradipo, aiuto! Salvatemi dalla desolazione dell'istruzione secondaria, della quale sto assaporando il gusto amaro in queste settimane. Questi chiamano il medico quando il paziente è già morto. Suicida, per giunta. 

Ebbene, che cosa volete che io faccia? Che cosa vi aspettate da me? Al massimo posso venire a seppellire i morti fatti da altri. Aprile è il mese più crudele, non c'è dubbio: è stato infatti ad Aprile che è cominciato il mio tirocinio diretto presso il liceo G.B. Vico. Onusto di speme ero entrato, in punta di piedi, nell'augusta magione dei sapienti; onusto di meraviglie ne uscirò, se non farò la fine di tutti quei signori che vedo sfilare lungo il London Bridge. Nel mezzo, l'orrore.

Ricordo ancora la scuola polverosa, ingessata, eppure piena di dignità, della mia adolescenza. Non c'è più. E' morta e sepolta. Se non la tirerà fuori dalla terra un qualche cane, che è notoriamente amico dell'uomo, germoglierà in una guagliunera che gli Ostrogoti je fanno 'na pippa. Rumorosi, disordinati, sciatti. I ragazzi, temendo una possibile interrogazione, per la quale sono di norma penosamente impreparati, si arrovellano nel tentativo di escogitare strategie di evasione dell'ultimo minuto:

In a minute there is time
For decisions and revisions which a minute will reverse.

Le ragazze vanno e vengono, ma non parlano di Michelangelo, bensì dei soliti melodrammi personali che hanno prodotto il cinema di Muccino, e solo per questo andrebbero interdetti ai fanciulli, pena l'istituto di correzione.
E i poveri docenti, o futuri tali?

We are the hollow men
We are the stuffed men  

Dei meri spaventapasseri  che non riscuotono un'oncia di rispetto. Ma io non voglio arrendermi, dovete ascoltarmi, io so quello che dico!!! Mi sbraccio, grido, mi faccio paonazzo in volto; è tutto inutile. Io sono inutile, irrilevante, a tutti gli effetti inesistente.

I should have been a pair of ragged claws
scuttling across the floors of silent seas. 

Mi guarderanno e noteranno che i miei capelli si fanno radi, mentre io ripeto che hanno frainteso la mia farraginosa, patetica spiegazione dei verbi modali: that is not what I meant at all. 
Qui non c'è apprendimento, porca miseria. Qui non c'è acqua, ma solo roccia. Roccia arida e friabile, che il suono della campanella spaccherà come il sole di Chattanooga, Tennessee spaccava la capoccia di Dan Peterson, prima del provvidenziale arrivo del tè Lipton.

Inutile che mi riempiate di alte nozioni filosofiche e pedagogiche, inutile che mi diate l'illusione di poter essere un educatore, quando la realtà è questa. Il curricolo occulto ha vinto. Non c'è più niente da fare, ma è stato bello sognare.


We have lingered in the chambers of the sea
By sea-girls wreathed with seaweed red and brown...

Ci ha risvegliati la voce della bidella che minacciava di prendere la mazza di terra se i pargoli non avessero cessato di contundersi vicendevolmente e non fossero rientrati in classe. 
London bridge is falling down, falling down, falling down; la scuola, dal canto suo, è già un cumulo di macerie. 

At the hour when we are
Trembling with tenderness
Lips that would kiss
Form prayers to broken stone.


                                                                                     

venerdì 17 maggio 2013

La realtà non esiste


Sempre di più sento l'impellente necessità di portare costantemente un filosofo al guinzaglio. Talmente tanti sono i simboli da decifrare in questa fitta foresta, e talmente limitate la mia cultura e preparazione, che mi farebbe veramente comodo avere un dotto al mio perenne servizio. Ché poi, io le cose le intuisco; il problema è che non so argomentarle con rigore, e finisco sempre per produrmi in narraffioni che vengono puntualmente fraintese.

Ora, io questa cosa ce l'ho ben chiara. La ripeto, per effetto drammatico: la realtà non esiste. Questo è quello che pensate voi, che mi crocifiggete ogni volta che ve la metto davanti, nella sua natura essenzialmente antinomica, contraddittoria. Pardon, sconfino nella filosofia, della quale ho nozioni scarse e sparse. Procediamo per suggestioni. Lo conoscete Francis Fukuyama? Se parlate inglese, e ovviamente se ne avete voglia, provate a leggere questo articolo. Da lì poi l'autore sviluppa il discorso in un libro omonimo. Se siete pigri come me e volete una pillola del "pensiero" di questo sciagurato, ecco che il vostro Bradipo (che vi vuole bene, non dimenticatelo mai!) vi ritaglia qualche riga dalla pagina di Wikipedia:

Per Fukuyama la forma di stato ispirata al liberalismo democratico è l’ultima possibile per l’uomo, ed anche la più perfetta: essa non può infatti degenerare in niente di peggio, ed essa stessa non è degenerazione di nessun’altra forma politica. La storia si muove verso il progresso e il progresso tecnologico e industriale è stato assicurato, guidato ed indirizzato dal capitalismo in ambito economico. Il capitalismo ha il suo corrispettivo politico nella democrazia liberale, sia perché questa è meglio compatibile con il governo di una società tecnologicamente avanzata, sia in quanto l'industrializzazione produce ceti medi che esigono la partecipazione politica e l'uguaglianza dei diritti.

Come si arriva a un simile delirio? Perdonatemi se vi espongo la mia opinione in modo filosoficamente scorretto, ma mi difetta il dotto al guinzaglio. E allora ve lo dico come so dirvelo, alla buona: ci si arriva capovolgendo il rapporto fra realtà e pensiero. Perchè se il capitalismo vuole sopravvivere alle sue contraddizioni, ve le deve nascondere, insieme con le loro nefaste conseguenze. E allora il discorso politico deve diventare metadiscorso, deve parlare delle  parole, si deve staccare completamente dalla realtà, la quale semmai sarà il punto di arrivo, mai di partenza. 

Accendi la TV, c'è Santoro. Immaginiamo un probabile parterre. Ospite fisso Travaglio, giornalista professionalissimo, per carità, ma autenticamente ossessionato dal tema "delitto e castigo". Fosse per lui, tutti i mali di questa società si risolverebbero a botte di sentenze. C'è la vaiassa di destra che impersona la femmina ruspante e sensuale, e c'è quello che io ritengo il personaggio più improbabile e assurdo, ovvero il giornalista "di destra". Abbiamo poi il bocconiano "di sinistra", l'operaio o il piccolo imprenditore che grida, e il sindacalista "buono". Ognuno con i suoi dati, ognuno con il suo discorso, ognuno con il suo arsenale di decibel. Ora, io non ricordo di aver mai visto una puntata di Servizio Pubblico in cui si arrivasse a una verità condivisa. E non mi stupisce: il programma è fatto apposta per impedirlo. Si tratta, in fin dei conti, di una liturgia: alla fine ciascuno avrà preso la sua comunione, consistente nell'aver ascoltato il verbo del personaggio o dei personaggi di riferimento. I problemi reali, afferenti ai bisogni materiali, continueranno a risolverli l'evasione fiscale, il lavoro a nero, il nepotismo e via discorrendo.E chi non rientra in questo ordine di soluzioni, semplicemente si fotte.

Bene, oltre io non posso andare. Tocca ai dotti, dovunque essi siano, rimettere nuovamente Hegel con i piedi per terra. Questo, s'intende, sempre che i compagni ci facciano la cortesia di smettere di giocare con i palloncini.

giovedì 16 maggio 2013

Tra il dire e il fare...


Ormai ho capito la mia missione: argomentare posizioni che sarano puntualmente contestate e detestate dalle genti. Ma siccome a me risulta che gli anatemi li lanciano i preti, devo dire che mi sento abbastanza a mio agio dalla parte di chi li riceve.

L'ultimo me lo sono beccato per aver candidamente ammesso di non trovare niente di razzista in questo post di Belzebù Grillo, nuova nemesi della sinistra. Che si spari sul satiro brianzolo o sul comico genovese, una cosa sembra definitivamente stabilita e consolidata: il mondo non si divide più in oppressori e oppressi, identificati in base a criteri che sono di natura economica e politica, e non hanno nulla a che vedere con le qualità personali, ma in buoni e cattivi. I buoni sono quelli che dicono le cose giuste, i cattivi quelli che viceversa dicono le cose sbagliate.Saper distinguere le cose giuste da quelle sbagliate è la chiave per essere riconosciuti come parte della gang.

Vi sono, poi, categorie che trascendono la realtà, calate su di noi tramite un discorso completamente slegato da analisi serie e minimamente rigorose dei fenomeni socio-economici o politici. Una di queste categorie è l'immigrato. L'immigrato è buono a prescindere. Il bisogno che induce centinaia di migliaia di persone a Napoli, Bari, Palermo o Reggio Calabria a rubare, truffare, simulare falsi incidenti e via discorrendo, non ha il minimo effetto sull'immigrato: egli attende serafico la morte per inedia, ritenendosi pienamente ricompensato dall'articolo con cui lo elogerà il giornalista de sinistra, o dal film in cui il regista de sinistra lo immortalerà nella coscienza dell'Italia giusta. La vita di strada, lo sfruttamento, la prevaricazione dell'elemento criminale sulla marginalità incattiviscono l'italiano, non l'immigrato; costui porge cristianamente l'altra guancia, anche se è musulmano, il che semmai è un punto a suo favore.

Adesso, siccome il Bradipo non è un intellettuale, ma un fesso qualsiasi, vi racconta una storia. Almeno quello mi si riconoscerà di poter fare, spero. Correva l'anno 2006, ed ero a Roma per uno sciagurato corso di formazione che si rivelò poi del tutto inutile. Era sera, intorno alle dieci, ed ero su un autobus (o auto, come dicono a Roma) che mi avrebbe riportato a casa, nel quartiere Montesacro, dal centro. A Viale Libia salì un tizio ubriaco fradicio, con una bottiglia di birra in mano. Dopo averne rovesciata una discreta quantità per terra e sui sedili, cominciò ad avvicinarsi alle signore presenti e a molestarle. Il fatto che il signore fosse uno straniero, probabilmente di origine nordafricana, non impedì alle donne a cui si accostava di esprimere evidente fastidio nei suoi confronti. Quasi tutte quelle donne avevano tutta l'aria di essere a loro volta extracomunitarie.

A questo punto l'autista, un giovane che da qualche minuto bestemmiava sotto voce, sbotta, ferma il mezzo e invita l'alticcio individuo a scendere. Dopo qualche resistenza, il gentiluomo in questione si degna di togliere il fastidio. SEmbrerebbe tutto risolto, senonché il coglione di turno, probabilmente de sinistra, attacca un pippone esagerato sul presunto razzismo del conducente, il quale, avendo evidentemente capito di avere a che fare con un deficiente, taglia corto e gli fornisce l'indirizzo di casa. Se vuoi approfondire la discussione sai dove trovarmi. Vi devo specificare l'estrazione sociale dei due personaggi, o ci arrivate da soli?

Bene, per quanto mi riguarda ho detto tutto. Se voi vi volete interrogare sulla differenza che passa fra gli immigrati molestati in questa storia e il molestatore, avete tutti gli elementi per farlo. Se provate il desiderio di spiegarvi le opposte reazioni dell'autista e del passeggero, idem. Se poi il cervello vi è andato in tilt perchè non riesce a processare un evento in cui l'immigrato non è il sorridente suonatore africano di bonghi, ma il fetente abbrutito che si butta addosso alle femmine, o la donna che torna a casa stanca morta dopo una lunghissima giornata di lavoro, come potrebbe fare qualsiasi italiano, mi dispiace di avervi creato disagio. Ma purtroppo, come ebbe a dire un pensieroso principe di Danimarca, ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne sogni la vostra filosofia.

mercoledì 15 maggio 2013

Una macchina mostruosa che schiaccia e livella


 E voi pensate che la notte abbia portato consiglio, o almeno ristoro? Macché. Quei dettagli degli stivali dei soldati...

Dunque, riprendiamo il filo del discorso. Ho assistito a un collegio dei docenti, presso la scuola che sta ospitando il mio tirocinio in qualità di futuro insegnante di inglese. Sebbene l'insegnare sia attività che trovo sommamente dilettevole, proprio non mi piace la piega che sta prendendo la scuola come istituzione. Si parla tanto di autonomia della scuola, ma a me sembra che le nostre scuole siano sempre meno autonome, e sempre più schiave di logiche che non hanno una cippa di cazzo da spartire con l'irrinunciabile funzione educativa di una istituzione, per l'appunto, educativa. E allora una domanda sorge prepotente: a cosa serve questa scuola?

Ragazzi, che vi devo dire? Sarà l'insonnia che rende febbrili tante delle mie ore notturne, sarà il mio carattere suggestionabile, sarà il fatto che il gentil sesso m'addita a esempio di somma turpitudine; fatto sta che continuo a essere visitato in sogno da illustri morti. Dopo Eduardo De Filippo e Sir Thomas Wyatt, è stata la volta di Antonio Gramsci. 

L'insigne intellettuale e dirigente comunista era ancora evidentemente scosso per la riunione alla quale aveva dovuto assistere insieme al sottoscritto, sotto forma di citazione affissa al muro. E come poteva, in un simile frangente, rimanere indifferente, proprio lui? Infatti prima lancia una lunga serie di imprecazioni in campidanese stretto, che onestamente non sarei proprio in grado di tradurvi, poi si calma, si mette seduto e comincia a parlare in tono più pacato.

Ora, nessuno potrà mai sapere con certezza se quell'ombra eccellente, quel dottissimo fantasma, fosse proprio Gramsci o solo un prodotto della mia mente, a figment of my imagination, come dicono a Villaricca. Io voglio supporre che lo fosse, e vi riferirò pertanto le sue parole. 

"Studiare in carcere è difficile" mi dice. E se lo sostiene lui, bisogna credergli. "Io, ad esempio, trovavo difficilissimo farlo a San Vittore, dove condividevo una cella con altri cinque detenuti, e per giunta tubercolotici. Fra l'altro, le ore da poter dedicare alla scrittura e alla lettura erano poche, e non ci lasciavano tenere carta, penna e calamaio. Perfino scrivere lettere costituiva uno sforzo non indifferente. Ci davano certi pennini che grattavano orribilmente la carta, e bisognava esercitare una rigida disciplina motoria per evitare di rovinarla irrimediabilmente." 

Annuisco, rapito dai dettagli biografici che mi catapultano nella condizione del recluso. Gramsci continua: "Ma la cosa peggiore non è la penuria di mezzi, bensì la monotonia della routine carceraria." Si autocita: "Come ebbi a scrivere alla mia signora, si tratta di una macchina mostruosa che schiaccia e livella..."

E qui il mio esimio interlocutore comincia a tremolare e dissolversi come un fuoco fatuo, mentre io lo imploro di non lasciarmi, di darmi una risposta, una soluzione. Ma è troppo tardi: man mano che la sua immagine sbiadisce e si allontana, io mi ridesto dal sonno dei giusti per tornare alla mia infausta condizione. Non vedo sbarre alle finestre, il sole splende, e gli uccellini cinguettano. Eppure riderei di me stesso, come il recluso Gramsci lamentava di non riuscire più a fare, se mi si definisse uomo libero. La macchina mostruosa che schiaccia e livella si mette in moto appena accendo la televisione, appena apro l'homepage di un quotidiano online (col kaiser che vi do i soldi del cartaceo!), e funziona a pieno regime in quella specie di penitenziario che chiamano liceo. Certo, io resisterò. Nel mio piccolo, resisterò e proverò a far resistere. Studenti, mettete via gli iPhone e riempite quei quaderni. Quando la storia vi farà l'esame, non fatevi trovare impreparati.

martedì 14 maggio 2013

Una cagata pazzesca


 Cari amici vicini e lontani, buonasera. Stasera sono un po' più afflitto del solito. Non basta essere poveri (e brutti) ed essere snobbati dal gentil sesso: ci si deve mettere anche la stupidità e la meschinità dei tuoi simili. Oggi pomeriggio ho assistito, in qualità di tirocinante e futuro docente, a un collegio d'istituto. Ormai non ho più il minimo dubbio: passerò il resto della vita a combattere in una trincea. Starò come d'autunno sugli alberi le foglie.

Vi tedierei oltremodo se facessi un resoconto della riunione. Come al solito, il Bradipo cerca di donarvi qualche immagine, qualche suggestione, qualche minuto di buonumore o, nei casi più eclatanti, di riflessione. E allora riflettete, se vi pare, sul fatto che appena mi sono accomodato sulla sedia ho notato sul muro alla mia destra una lunga citazione di C. Pisacane, tratta dal Saggio sulla Rivoluzione. Sul muro opposto c'era il famoso passaggio di Gramsci sull'indifferenza. Ma è stato quello di Piscane, che non conoscevo, a colpirmi di più. Un elogio della libertà, vista dalla prospettiva di un anarchico, pertanto come inscindibile dall'uguaglianza. Il passaggio parlava anche di nazionalità, un concetto che forse in italiano contemporaneo sarebbe meglio reso dal termine cittadinanza. Dopo tutto il buon Pisacane vive assai prima del tragico spartiacque del fascismo, esperienza invece ben conosciuta dal suo infausto dirimpettaio, e che ha pesantemente condizionato e alquanto problematizzato il concetto di identità nazionale di tutti noi italiani.

Ma bando alle chiacchiere. Ricordate il prof. Riccardelli? Mi sono sentito come lui, quando finalmente il rag. Fantozzi prende la parola dopo la proiezione dell'ennesimo pesaturo cinematografico. "Chissà quale profondo giudizio estetico avrà maturato in tutti questi anni" sono le parole del sadico direttore. In modo non dissimile io, di fronte a un passaggio in cui si parlava in maniera abbastanza chiara e netta di rifiuto dell'autorità, di superamento della divisione della società in classi e di indipendenza da padroni stranieri, ho pensato: "Chissà a quale augusto e nobile dibattito daranno luogo i dotti che impartiscono il sapere in cotanto tempio del pensiero critico". E adesso ve lo dico.

Sul megaschermo è proiettato un foglio Excel, con diverse voci corrispondenti a diverse attività pomeridiane extracurricolari, ad ognuna delle quali corrisponde una cifra. Si parla di soldi. SOLO di soldi. Sono pochi, e ognuno ne vorrebbe di più per sé. Gli studenti? Un oggetto misterioso. Se ne parla solo al momento di stabilire i criteri per promuovere o bocciare. L'insegnamento? La formazione? Vi si fa un vago accenno solo in relazione ai corsi pomeridiani di preparazione agli esami di lingua straniera (quelli tipo British, per capirci), in vista di un eventuale CLIL. CLIL che però non si può fare, perchè colui che sospetto essere l'unico insegnante dell'intera scuola con le palle prende il microfono e dice che, in base alla sua esperienza di docente di inglese, non ci sono i presupposti. I suoi colleghi che insegnano materie altre dalle lingue sono troppo scamorze.

E io mi chiedo: ma non ci sono temi generali da affrontare? Perchè non parlano del numero inaccettabile di assenze collezionate da alcuni studenti? Perchè non cercano di darsi una risposta circa i traguardi formativi sempre più modesti raggiunti dagli alunni? Perchè se un ragazzo non frequenta un'attività extracurricolare non esiste? Ah, a proposito, parlando di attività extracurricolari: si depennano dalla lista il laboratorio di discussione sulla Costituzione e quello sulla filosofia. Resta una Corazzata Potemkin di nozioni poco appetibili e mal trasmesse, da impartire a una massa di studenti annoiati, disarmati, condannati a lasciarsi divorare dalla cultura dominante, a schiattarsi la testa e pensare che il mondo sia un dato immutabile. 

Ormai soffro in silenzio, aspettando la fine questo strazio come il torturato aspetta la fine del suo supplizio. Ma ecco che Pisacane, ispirato forse dall'aspra invettiva contro gli indifferenti che ha proprio di fronte a sé, si materializza nello stupore generale e prende la parola. "Signora dirigente scolastica!" tuona il patriota e sovversivo, "volevo dire anch'io una parola." Pausa drammatica. "Questa scuola è una cagata pazzesca!" Novantadue minuti di applausi. Ma applaudo solo io. Ahimé, era tutta una fantasticheria, un'allucinazione causata forse dal burnout al quale nessun docente - presente o futuro - può sperare di sfuggire.Pisacane non si è materializzato, è ancora inchiodato al muro come un Cristo fatto di lettera morta, e la preside sta ancora parlando di chi si deve mangiare quel poco di fondi che ci sono.

Sapete che vi dico? Lasciate che i fanciulli vengano a me. Forse a loro, in qualche remoto angolo del cervello, resta qualche briciola dello spirito libertario ed egalitario che anima la citazione affissa alla parete. Voi educatori sembrate tanto quei soldati che scendevano la scalinata con i fucili spianati. Quando vi sento parlare mi vengono in mente l'occhio della madre e la carrozzella del bambino. Per cui la scena con la regia del Riccardelli, col montaggio analogico quasi meglio di quello del maestro, ve la girate voi. Io indosso l'elmetto e scendo in trincea. Come si chiama il mio film? Che ne dite di Uomini contro?


domenica 12 maggio 2013

L'idea bella che non balla


Era un po' che non scrivevo, vittima di un percorso formativo che mi sta impegnando più o meno come i soccorritori di Alfredino Rampi; e con le stesse possibilità di successo, probabilmente. La scuola italiana non può essere salvata, quasi certamente. Ma io pretendo che mi dia da vivere, perchè se Gasparri ha l'auto blu a me non si può negare uno stipendio, perbacco.

Dunque, facciamo il punto della situazione. I due attori principali della farsa a cui si fa riferimento come alla "democrazia italiana" si sono messi d'accordo, stipulando un patto maledetto di mutuo soccorso. La situazione è grave, signori, c'è bisogno di unità. Sulla scena di una politica che da anni si occupava solo di falsi problemi o di questioni etiche senza ricadute economiche e sociali, è sopraggiunta una forza altra, estranea rispetto a quel bipolarismo costruito con tanta fatica e tanto amore da gente del calibro di Massimo D'Alema. Una forza che, piaccia o no agli esteti della politica, si è messa a parlare di problemi concreti, di lavoro e di soldi. Questo è del tutto inaccettabile per l'agenda che i media hanno attribuito a Monti, ma che in realtà è condivisa, o comunque non messa in discussione, dai due maggiori partiti.

Da qui, non da altro, nasce l'avversione quasi universalmente condivisa a Grillo e al M5S. La politica deve essere inerte. L'equilibrio che si era creato a livello parlamentare e mediatico si fondava proprio su questo assioma. Una forza che - per dirne una - manda i suoi parlamentari a Chiomonte a solidarizzare con il Movimento No Tav, che si schiera in questo modo netto, rompe l'incantesimo.

Ma allora come possono reagire i fautori di quella politica dell'inerzia, che si fa da parte e lascia che a governare siano di fatto le istituzioni finanziarie sovranazionali (salvo poi ratificarne i diktat)? Come possono isolare questi pazzi che vorrebbero rimettere la cittadinanza al centro dei processi decisionali? Attaccandoli da un punto di vista estetico

E qua si apre un vero e proprio orizzonte. Se fossi più colto e intelligente, e se la mia ipotina di otto anni non mi stesse dando la morte per avere l'uso del PC, mi dilungherei. Basti dire che, in una società che preferisce l'avere all'essere, come vi confermerà il buon Fromm, l'idea bella è più allettante dell'idea corretta. E allora Grillo è brutto e cattivo perchè non vuole dare lo ius soli ai figli degli immigrati. Non si riflette sul fatto che la solidarietà, valore fondamentale e irrinunciabile, ha un costo, nè sulla geografia dell'Europa, che fa di noi la sua porta d'accesso per l'intera Africa, nè sulla sconfortante debolezza strutturale della nostra economia e delle nostre istituzioni. E' bello pensare di poter accogliere tutti, di avere una società multietnica in cui tanti colori e tante lingue convivano in piena armonia. La storia dei fenomeni di immigrazione, purtroppo, ci dice che non è così. E che coloro che risentono maggiormente degli scompensi causati da flussi migratori massicci, e dunque difficili da assimilare, sono proprio gli immigrati. Così è stato in Francia e in Gran Bretagna, in epoche più opulente di questa, figuriamoci nell'Italia di oggi.

Questa idea, ovvero l'idea che i flussi migratori vadano in qualche modo regolati, è brutta. Eppure si è affermata in tutti i paesi del mondo, senza esclusioni. Quello dello ius soli è un problema serio e complesso, e va discusso senza pregiudiziali ideologiche. Perchè sarebbe bello se il mondo si potesse cambiare con la bellezza delle idee, ma purtroppo non è così. Il mondo lo cambiano le idee che trovano corrispondenza nella realtà, che la riescono a modificare a partire dalla sua conoscenza, attivando quelle forze che attendono di essere liberate per esprimersi. E perdonate la bestia in gabbia se qualche volta non cinguetta come un passerotto, ma infila un vaffanculo dopo l'altro e non fa caso alle più belle e nobili parole.

mercoledì 1 maggio 2013

Piacere, sono il lavoro



Oggi è 1 maggio, e non si lavora. Perchè? Perchè i lavoratori, come tutte le minoranze oppresse, devono avere la loro festa. Dice, oppressi va bene, ma come "minoranza"? Scusate, ma guardatevi intorno: disoccupati, mariuoli, titolari di posto fisso. Dove sono i lavoratori? 

La solita provocazione del Bradipo. Embè, che cosa vi aspettavate? Se volete leggere qualcosa di serio, sobrio ed equilibrato, andatevi a leggere il blog di Pippo Civati. No, sul serio. Perchè poi mi fate delle obiezioni che mi portano a chiedermi se non sarebbe meglio scrivere fiabe per bambini; avrei un pubblico più fantasioso, e forse più intelligente. 

Io sto scrivendo questa scemenza digitando caratteri su una tastiera, la quale è collegata a un computer, il quale a sua volta è collegato a una rete telefonica. Proviamo a immaginare quanta gente ha lavorato, ma lavorato veramente, per dare la possibilità a me di scrivere, e a voi di leggere, queste facezie. Dietro ogni tipo di consumo (perchè sia io che voi in questo momento stiamo consumando) c'è sempre il lavoro. Senza il lavoro non c'è il PC, non c'è Internet, non c'è il Bradipo. E allora che facciamo? Andiamo tutti al bar a prendere un Campari e giocare a bigliardino. No, perchè senza il lavoro non c'è neanche il bigliardino, e tantomeno il bar. Senza il lavoro ci sono genti alquanto rustiche, coperte di grezze pelli di animali, che si aggirano per i prati e i boschi in cerca di bacche da raccogliere o selvaggina da cacciare.

Perdonatemi, adesso, se mi inerpico fra le aspre rupi della serietà. E lasciatemi dire che il fatto che il lavoro sia arrivato a essere un terribile strumento di oppressione sociale non altera di una virgola la sua essenza di principio positivo, in grado di emancipare gli individui, le nazioni, il mondo. Tè, beccatetevi un Oscar Wilde. Vi fa bene.

A noi ci ha rovinato la socialdemocrazia. Sì, va bene, le vacanze di un mese, la scala mobile, l'equo canone, tutto molto bello...ma queste cose costano. E il denaro, se la sua emissione e diffusione non è ancorata in qualche modo alla ricchezza prodotta, perde valore. E se il nostro denaro perde valore, chi importa da noi (ad esempio i Tedeschi) ci perde. E insomma, se non avete ancora capito dove voglio arrivare siete di coccio. Qui si rischia un eccesso di serietà, e che poi la gente commenti come se fosse il blog di Civati. Non sia mai.

Socialdemocrazia, si diceva. E, quindi, una prospettiva di lotta politica e sociale fondata principalmente sulla rivendicazione, anzichè sulla creazione di pratiche alternative. L'esito scontato della dialettica fra un approccio marxista-leninista e un capitalismo in espansione. Poi questa espansione si ferma, lo stato non investe più nello sviluppo (non può), e finisce la magia del benessere di carta. Eppure l'italiano "di sinistra", non avendo la più pallida idea di cosa sia il lavoro, continua a rivendicare. Un po' come se un bambino frignasse perchè vuole una fetta di torta, davanti a un vassoio ormai vuoto.

E chiudiamo, dunque, il post che mi regalerà la morte sociale. Chiudiamolo con un distico del buon Lindo Ferretti, che io preferisco sempre ricordare savio:

Onoro il braccio che muove il telaio
Onoro la forza che muove l'acciaio

Esiste, lo so.