mercoledì 19 giugno 2013

Antifascismo limitante


Cari amici, sono tornato! Vi ricordate di me? Sono Rigoberto Saviani, l'eccellentissimo, dottissimo, simpaticissimo, superlativamente eccelso filosofo, filologo, fisiologo, agopunturista, giornalista e dispensatore di verità a cui ogni tanto il nostro amico Bradipo cede questo spazio per brevi interventi. Era un po' che non ci sentivamo, vero? Vi confesso che ultimamente sono stato poco attivo, intellettualmente ed editorialmente parlando. Il fatto è che da quando ho scoperto la droga performativa faccio certi festini che non avete idea. L'ultima volta, pensate, mi sono svegliato tutto nudo per terra vicino a un cane. Un maremmano grosso quanto a una vacca! Comunque ho deciso che per un po' non mi drogo: da qualche tempo mi capitava di riscontrare fastidiosi bruciori anali, in corrispondenza dell'assunzione di quella meravigliosa polverina.

Come mai sono tornato? Ebbene, me lo ha chiesto il titolare di questo blog. Un simpatico giovane, certo, ma assolutamente impreparato ad affrontare certi temi. Dunque io, con paterna benevolenza, mi sono fatto carico di commentare una notizia che aveva lasciato il nostro comune amico turbato quanto confuso: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/19/ricetta-jp-morgan-per-uneuropa-integrata-liberarsi-delle-costituzioni-antifasciste/630787/

Ebbene, di che cosa ti meravigli, caro Bradipo? Hanno perfettamente ragione, i signori che hanno stilato il documento in questione. Secondo te alla JP Morgan non sanno quello che scrivono? L'antifascismo non solo è esteticamente superato, è proprio un bastone fra le ruote dell'unico progresso economico e sociale possibile: quello di una minoranza di persone, mentre tutti gli altri si affannano per tenere la testa fuori dall'acqua, o vanno a fondo. Ma perchè, secondo te possiamo mai continuare a parlare di una più equa distribuzione del reddito, della difesa dei diritti dei lavoratori, di solidarietà, dico SOLIDARIETA', mentre tutt'intorno a noi l'Europa si spacca in due, dimostrando non certo il fallimento, ma la perfetta riuscita del suo disegno sontuosamente liberista? E mentre il mondo viene dilaniato da guerre sempre meno difendibili e giustificabili, possiamo mai mettere in discussione il sacrosanto diritto del forte di aggredire il debole e prendersi il suo spazio vitale? Poi finisce che dobbiamo dare del fascista a Obama, a Cameron e a tutti quei leader democratici (fino a quando regge questa storia della "democrazia", prima o poi la gente se ne dovrà accorgere) che difendono i legittimi interessi di coloro che, soli, hanno diritto ad avere legittimi interessi?

Io lo so, nella mia onniscienza, qual è il problema. C'è un equivoco di fondo. Mentre voi gente di sinistra tenevate le teste chine sull'iPhone e sorbivate il vostro  infuso di rabarbaro del Madagascar, pensando positivo come Jovanotti e persuadendovi che forse, dopotutto, Mary Poppins aveva ragione (basta un po' di zucchero e la pillola va giù...) nel mondo reale le cose continuavano ad andare esattamente come sono sempre andate; ovvero, chi aveva la forza si imponeva, e poi trovava il modo per far sembrare che avesse pure ragione. E per voi, che ormai avevate un'idea del conflitto derivata essenzialmente dalle scene di appiccichi dei film di Muccino, non c'era niente di strano se l'Europa ci chiedeva di licenziare, di privatizzare, di liberalizzare. E mo' che volete? Prendetevi il vostro tè alla camelia tagicca, e lasciate fare le cose a chi è preparato.

Non preoccupatevi troppo. Se fate i bravi io non credo che questi egregi ed efficientissimi signori riterranno necessario ricorrere al manganello e all'olio di ricino. Non metteranno fuori legge i vostri blog contro la violenza sulle donne e il femminicidio, e vi faranno fare tutti i gay pride che volete. Il fascismo non deve essere mica per forza un'esperienza sgradevole. Basta capire, e conformarsi. E togliersi il cappello, quando passa Sua Eccellenza.


martedì 18 giugno 2013

La prigione della prima persona singolare


Dovrei essere qui a rimaneggiare, correggere, emendare le ultime tesine per il Tirocinio Frantumativo Abietto, ma non gliela fo. Ne ho fin sopra i capelli della scrittura accademica (o di quella grottesca parodia della scrittura accademica che produco, malgrado i miei sforzi). Fatto non fui a scrivere tesine, ma per seguir virtute e canoscenza. E per dispensarvi saggezza, dall'osservatorio privilegiato del mio desabillé casalingo, peraltro corredato da un raffreddore fuori stagione, chissà come contratto, che mi fa colare costantemente il naso. Mai come ora ho fatto schifo. E, credetemi, nella vita ho avuto modo di fare abbastanza schifo.

Di che vi voglio parlare? Che cosa sarà mai questa prigione della prima persona singolare? Bene, prendiamoci una sana pausa dalla scrittura (pesudo) accademica di cui sopra e saltiamo i preamboli: io sono un cretino, e pure voi. Siamo accomunati in questo; la gente con le palle, veramente con le palle, o è morta, oppure non legge me. Io tengo un blog. Perché? Perché sento il bisogno di esprimermi, di non rimanere isolato, di non rimanere inespresso. Non certo per farmi dire bravo. Io so quanto valgo, cioè poco, ma più di tanti. Ed è già qualcosa.

Di cosa scrivo, su questo spazio? Le mie "confessioni di fesso reoconfesso". Vedete? Io sono sincero, non vi prendo in giro. What you see is what you get, come dicono a Montecorvino Rovella. Se mi leggete è perchè vi diverto, vi intrattengo, al limite vi ispiro curiosità. Certo, non vi aspettate da me chissà quale lucida e complessa analisi, e fate bene. Io vi dono impressioni, immagini, punti di vista. Tutto qui.

Ci sono poi quelli che mi paiono essere una parte consistente dei blogger italiani, malati di una qualche forma di narcisismo misto ad autismo, che scrivono per darsi un tono. Più un'opinione è controversa, perfino al limite dell'irragionevolezza, più ci si rotolano dentro come maiali nel fango. Molti di quelli si dichiarano esplicitamente, o danno ad intendere di essere, di sinistra; in base a cosa, non è dato sapere, visto che parlano solo di matrimonio gay, di ricette etniche o dell'ultimo libro del grande scrittore americano sconosciuto al grande pubblico che si è ritirato in una capanna nelle foreste dell'Oregon per ritrovare se stesso e ora vive in compagnia di un alce e di un castoro (che poi potrebbero anche essere i suoi editor, chi lo sa). Questa tendenza è così diffusa che oggi per molti essere "di sinistra" vuol dire giocare a fare gli intellettuali blasé, saperne sempre più degli altri su qualsiasi cosa, che sia la politica internazionale o la preparazione della parmigiana di melanzane, e assumere un'aria di sufficienza verso chiunque esprima dissenso per le loro tesi senza citare neanche una volta Derrida.

Io ricordo che una volta la politica si occupava del mondo reale: di dare di più a chi aveva di meno, o dare ancora di più a chi aveva già tanto. Punto. L'aborto e il divorzio sono state due battaglie sposate dalla sinistra italiana, ma con uno spirito diverso da quello interclassista, trasversale, "civil rights", che imperversa oggi. Erano battaglie contro il patriarcato e l'ingerenza clericale nella vita delle persone.

Come era possibile combattere contro simili avversari, e vincere? Io ero bambino, ma ricordo. Casa mia era spesso frequentata dai colleghi di mia madre, che allora insegnava alle superiori. Qualche volta mi portava alle feste dell'Unità o eventi del genere. Era la fine degli anni Settanta. Ricordo come parlavano, queste persone .Quando iniziavano un discorso, non dicevano "io". Dicevano "noi". Erano compagni perchè accomunati da una stessa lotta, non perchè ascoltavano la stessa musica, leggevano gli stessi libri e guardavano gli stessi film. Si stimavano a vicenda perchè sapevano di stare insieme dalla parte giusta, e l'obbrobbrio del politicamente corretto non aveva ancora instillato in loro la barbara credenza che l'opinione degli altri valesse quanto la loro. Sapevano di avere ragione, in termini valoriali, e sapevano la responsabilità che comportava. Unità, per loro, non era solo  il nome di un giornale e di una festa. Era un modo di vivere.

Per carità, ne avranno fatti di errori, se oggi stiamo come stiamo. Se, solo per il fatto di poterci aprire un blog o un account Facebook, pensiamo di poterci spacciare tutti per individui eccezionali e unici. Se, mentre le maggiori forze politiche inscenano una pantomima di alternativa e distruggono le basi materiali e culturali della democrazia economica (di quel poco che avevamo e di quella che avremmo potuto un giorno trovare). Se, chiusi in una prigione di idiozia e analfabetismo etico, ci pavoneggiamo di fronte a un mondo che ormai si approssima a una visione da romanzo distopico.

E io? Boh. Mi sembra di essere rimasto solo. Venite, accorrete numerosi. Datemi del cretino, esprimete dissenso, mettetemi alla berlina. Non fa niente che volete più bene a Pippo Civati che a me. Io lo so, di essere fesso. Non ho paura della prima persona plurale. Non ho niente da perdere, io.E voi?



domenica 16 giugno 2013

Elogio dell'uomo qualunque

Sono ispiratissimo. Ho praticato la nobile arte della self-indulgence, e quindi sono ispiratissimo. Vado a braccio, e vado a ruota libera. Mentre aprivo il portone dello stabile in cui alloggio, chissà perchè, mi è tornata in mente l'Avvelenata di Guccini. 

Giovane e ingenuo io ho perso la testa,
sian stati i libri o il mio provincialismo,
e un cazzo in culo e accuse d'arrivismo,
dubbi di qualunquismo, son quello che mi resta.

Scusate le eventuali volgarità, ma non sono mie. Quello su cui vorrei soffermarmi, perchè mi ha accompagnato in ascensore e non mi ha ancora lasciato, è il timore del cantautore, bandiera storica della sinistra italiana, che gli si desse del qualunquista. Al di là del riferimento al Fronte dell'Uomo Qualunque, che ormai molti non colgono nemmeno più, che cos'è un qualunquista? 

Uno dei gruppi musicali che ho più amato e ammirato durante la mia gioventù erano gli Smiths di Stephen Patrick Morrissey. Smith in Gran Bretagna è come Esposito a Napoli: un cognome estremamente diffuso, ordinario. Decidere di chiamarsi The Smiths vuol dire dichiarare il proprio amore e la propria stima per la gente qualunque. E' una scelta di qualunquismo.

In Italia, per citare un altro passaggio del successo del cantautore modenese, "ci sarà sempre, lo sapete, un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete, a sparare cazzate". Ognuno vuol dire la sua, ognuno vuole differenziarsi, farsi notare per sagacia e acume d'intelletto. Bravi i fessi. Prima di mettervi a correre imparate a camminare, e chiedetevi che cos'è quella medietà che tanto disprezzate.

Guardate la scimmietta all'estrema sinistra, e guardate il bell'uomo che avanza impavido verso il fururo nell'ultima immagine della sequenza. Come si è arrivati dall'una all'altro? Per gradi. E così come progredisce l'evoluzione biologica, progredisce quella sociale, economica e politica. So bene che alcuni di voi, che conosco e frequento nella vita reale, mi salteranno al collo e cercheranno di azzannarmi alla giugulare per quello che sto per scrivere, ma devo proprio farlo: l'idea del tutto e subito, di una intransigenza dottrinaria che rispondeva a considerazioni morali e filosofico-politiche più che a un'analisi seria e realistica del momento storico, ha prodotto un enorme conformismo e un conflitto sociale per lo più sterile. Chi vuole cambiare il mondo deve parlare alla gente qualunque.

Del resto, le masse operaie e contadine a cui si rivolgevano i grandi leader comunisti, socialisti e anarchici della seconda metà dell'Ottocento e della prima del Novecento erano la gente qualunque. Costituivano il grosso della società, le loro istanze e i loro bisogni erano quelli della maggioranza. In un paese che ha un ceto medio numericamente consistente (e chiamarli sprezzantemente piccolo borghesi non cambierà le carte in tavola) il discorso politico non può essere modellato su quello che in altri tempi e in altri luoghi è stato diretto a comizi ed elettorati di composizione sociale diversa. Al bottegaio, al filisteo, al borghesuccio spaventato con la mano sul portafoglio, chiamiamolo come ci pare, dobbiamo spiegare che esiste un modo di vivere diverso, ispirato ad altri principi, che può funzionare meglio di questo anche per lui. Perchè? Perchè senza di lui non si va da nessuna parte. Perchè lui e quelli come lui sono tanti. E soprattutto perchè lui, in quanto medio, sta nel mezzo.E' l'ago della bilancia, decide se andiamo di qua o di là.

L'alternativa è il narcisismo, è il masochismo compiaciuto del Fronte di Liberazione di Giudea che, di fronte a Brian crocifisso, si suicida in massa chiosando "così imparano"... Non trovo un link adatto, ma comunque, se non sapete di cosa sto parlando, il problema è vostro, non mio. Così come è vostro il problema se non capite, per quanto possa farvi orrore il concetto, che il ceto medio deciderà il nostro futuro. Chiamatelo qualunquista, se così vi piace, ma ricordatevi che l'aristocrazia del pensiero, così come quella del sangue, ha perso ogni suo privilegio. Questa è l'Era dell'Uomo Qualunque.

domenica 9 giugno 2013

La rabbia di Calibano






Cari amici del Bradipo, buona domenica. Mi prendo una pausa dagli studi matti e disperatissimi ai quali mi ha costretto il Tirocinio Frantumativo Abietto per tornare a dialogare con voi. Siete contenti?

E per non allontanarci troppo dall'oggetto di suddetti studi, parliamo di letteratura inglese. Nella prefazione al Ritratto di Dorian Gray Wilde ci dice che:

The nineteenth century dislike of Realism is the rage of Caliban seeing his onw face in a glass.

Traduco per  i non-anglanti: "il disprezzo del diciannovesimo secolo per il Realismo è la rabbia di Calibano nel vedere il proprio volto in uno specchio". Chi è Calibano? Un personaggio de La Tempesta di W. Shakespeare, una sorta di mostro abbrutito dall'asservimento a un potente mago che lo comanda a bacchetta. Calibano non sopporta la vista della propria immagine riflessa in uno specchio. Preferisce rimanere nell'ignoranza della propria condizione. Preferisce non vedere come l'ha ridotto Prospero, il suo padrone, con i suoi raggiri e le sue promesse di una libertà che non arriva mai.

Wilde aveva capito la sua epoca. Aveva capito come la morale e lo stile di vita vittoriani avessero ridotto il popolo inglese, in particolare la borghesia e il ceto medio (che poi erano coloro che leggevano e andavano a teatro) in uno stato calibanesco. Il bisogno di essere divertiti (verbo che nella sua accezione originaria vuol dire sviare o deviare da un corso) è fondamentale in un'epoca senza libertà e senza bellezza. E l'arguto Oscar costruì la propria fortuna su quell'esigenza. I latini parlavano di educare divertendo, prodesse et delectare; Wilde invece, con la scusa di divertirti, ti sfotteva. Il pubblico andava a vedere The Importance of Being Earnest o Lady Windermere's Fan e rideva, senza rendersi conto che quella satira metteva alla berlina la sua pochezza morale, e che, se la si capiva fino in fondo, era feroce. 

Torniamo ai giorni nostri. Apro Facebook, e trovo un video di Lilli Gruber che chiede a Tony Servillo se gli piace Grillo. Proprio così. "Servillo, a lei piace Grillo?" Ora, a parte che le rime nella prosa e nel parlato andrebbero evitate, ma che razza di domanda è? Se qualcuno pensa che Grillo (o meglio, il M5S, che viene spesso furbescamente ridotto al suo leader) debba essere "bello", non ha capito proprio niente di quello che sta succedendo in Italia. Ovviamente Servillo ha risposto di no. Da buon attore, si è anche impostato, ha fatto finta di pensare, come se non fosse perfettamente consapevole che il suo pubblico è in larga prevalenza di area PD/SEL, e come se non sapesse di trovarsi in una trasmissione che lo aveva invitato perchè ha esattamente lo stesso bacino di utenza. Cosa sia avvenuto dopo, e quale contributo abbia potuto dare Paolo Sorrentino, ospite insieme all'interprete di tanti suoi film, non so dirvelo. Ormai ho una bassissima soglia di tolleranza dell'idiozia, dell'ipocrisia e della violenza, per cui ho smesso di guardare. 

La rabbia di Calibano è la rabbia dei servi. E servi è quello che siamo. Guardiamoci in faccia, non ci prendiamo in giro. Bello era il macchinista di Guccini, che lanciava una locomotiva a bomba contro l'ingiustizia. Perchè gli eroi son tutti giovani e belli. I servi no, i servi sono brutti. Servi di una morale e di un modo di vivere che prevedono l'esistenza di Prospero, che l'accettano, che implicano la rinuncia ad affrancarsi da lui. "Ti piace Grillo"? Ma che domanda è? Calibano oggi è a un bivio: prendersela con lo specchio, o prendersela con chi lo ha ridotto così. E non sarà su La 7, statene pur certi, che vi spiegheranno chi è Prospero e come vi fotte.

lunedì 3 giugno 2013

L'ennesimo sogno del Bradipo

 Finalmente, cari amici, un sogno di polso. Alla malora le paturnie post-adolescenziali e i dubbi esistenziali, questo è un sogno di mazzate. Ordunque, mettetevi comodi e tenete a bada il politically correct che è in voi, perchè questo è un sogno degno della buonanima di Mario Merola. 

Sono Stalin, sono nel mio studio, e ho una mazza da cricket. Un vecchio mi indispone, non ricordo per quale motivo, e così io comincio a percuoterlo senza remore di sorta. Il vecchio finisce per terra, e io continuo a contunderlo. Lo picchio con il taglio della mazza, soprattutto sulla testa e sul collo, come un macellaio potrebbe battere una fetta di carne per frollarla. Il vecchio è duro a morire, e io comincio a sudare, ma non desisto. Quando pare che sia ormai deceduto, fa per rialzarsi, scatendando una gragnuola di colpi violenti e ben assestati. Infine, spira. Madido e paonazzo per lo sforzo, mi avvicino a uno specchio per rassettarmi. Ed è qui che il sogno si fa bislacco: al posto della giacca dell'uniforme, indosso una specie di vestaglia. Tuttavia, non mi lascio scoraggiare da questa ovvia infrazione del protocollo, e mi aggiusto la giacca-vestaglia. Assumo una posa altera, ammiro il collo taurino e il folto baffo, e concludo che sono invincibile. Datemi un altro odioso vegliardo da tramutare in fettina tenera tenera per il bambino, ché questo paese ne abbonda....

Ed ora, l'interpretazione. Mai credo di aver fatto un sogno così chiaro nel suo significato. Il vostro Bradipo, stanco di cotanta diplomazia, delle innumerevoli mediazioni e di talune rese incondizionate cui lo costringe il logorio della vita moderna, invoca la modalità Baffone: quella modalità in cui le cose vanno come devono andare, secondo giustizia e comune interesse. E allora, sapendo che il vostro intellettuale di riferimento è stato nuovamente fagocitato dalla mostruosa macchina universitaria, come può non apparirvi lampante la valenza simbolica del vecchio da percuotere a morte? La mazza da cricket, ovviamente, ci ricorda della ben nota perizia del sottoscritto nella lingua della perfida Albione, perizia - udite udite - superiore perfino a quella di taluni che si fregiano del titolo di docenti. Cos'è che manca, a questo splendido esemplare di homo sapiens che vi scrive? Il riconoscimento istituzionale rappresentato dall'uniforme: la stramaledetta abilitazione. Ma rimirate il collo taurino, il folto baffo! Sotto il fiero cipiglio di un Giuseppe si cela il blasfemiforo senso di giustizia del succitato Mario Merola, da cui dipendono le sorti del mondo. In qualche modo si farà. L'importante è tenere sempre a mente che il vecchio dovrebbe prepararsi a lasciare il mondo, non già aggrapparsi con le unghie e con i denti ad assurdi e immotivati privilegi. Nemmeno se ve ne dà un pezzettino. Adesso avete capito che dovete fare quando il vecchio si rifiuta di farvi posto? Dovete prendere la mazza. Da cricket, da baseball, da terra, non importa. Basta che prendiate la mazza.