Questa è un'immagine molto italiana. Quando, una quindicina d'anni fa, il giocatore che vedete in foto sputò addosso a un difensore della nazionale danese, mi meravigliò la clemenza dei nostri media. Ora, che conosco un po' meglio questo paese, non mi sorprende più tanto. Il fair play non ci appartiene, purtroppo. Il nostro antagonista, rivale o avversario deve morire, è una merda, e noi proveremo a sopraffarlo con ogni mezzo. Per rimanere nell'ambito calcistico, abbiamo vinto un Mondiale nel 2006 anche grazie alle ingiurie di Materazzi rivolte alla sorella di Zidane.
Ma non è solo il nostro spirito di competizione che ci porta ad attaccare il prossimo nei modi più bassi e volgari; spesso e volentieri, lo facciamo semplicemente per dare sfogo ai nostri peggiori istinti, forse per trovare uno sbocco a pulsioni nefaste che ci mangiano da dentro. Non potendo, non sapendo come migliorare la nostra condizione personale, ci rifacciamo sul vicino di casa, sul collega, non di rado sull'amico, senza capire che il nostro malessere non è causato certo da loro; e che, anzi, compattandoci fra di noi potremmo magari fare qualche passettino avanti, facendo indietreggiare i nostri reali nemici.
Una categoria particolarmente soggetta a questi attacchi è quella degli insegnanti. I quali, perlomeno per la maggior parte, non hanno mai truffato risparmiatori, non hanno sotterrato rifiuti tossici, non hanno insanguinato le strade delle nostre città con faide criminali, non hanno utilizzato denaro pubblico per mettere su reti di malaffare. Qual è, dunque, il nostro imperdonabile peccato? Che, rispetto a molte altre categorie professionali, ridotte ormai in uno stato di semi-schiavitù, godiamo di maggiori sicurezze contrattuali, e che lavoriamo poco.
Io adesso non voglio perdere tempo a spiegare tutta una serie di cose sul mio lavoro che potrebbero far riflettere qualcuno su cosa voglia dire essere un insegnante. Fino a due anni fa non le sospettavo neanche, e scoprirle ha significato la più profonda trasformazione della mia vita. Questa esperienza me la tengo per me, col cazzo che la espongo alla leggera idiozia delle genti. Vorrei farvi notare, invece, che ognuno di noi è quello che è, in buona parte, grazie alla scuola. I bravi studenti diventano, di regola, persone che sanno vivere. Che affrontano mille difficoltà, certo, e non è detto che escano vincitori da questa battaglia di tutti contro tutti che è diventata la società, ma comunque persone che hanno gli strumenti per capire cosa stanno vivendo. Quando i genitori dei nostri alunni capiscono perché siamo lì e perché rompiamo le scatole ai loro figli, ci ringraziano. Un giorno anche i loro figli lo faranno, forse.
Quando ci sputano addosso, senza capirlo, stanno sputando sul futuro dei loro figli. Quando accolgono con soddisfazione la precarizzazione della nostra categoria, perché "siamo dei privilegiati", non si rendono conto che stanno dando la loro approvazione a misure volte a scoraggiare i più capaci e volitivi dall'intraprendere una carriera da insegnanti. Quando si scandalizzano del nostro disappunto di fronte al peggioramento costante della gestione della scuola, non hanno la percezione del fatto che questo peggioramento non colpisce solo noi, ma anche le persone che hanno più care al mondo (almeno in teoria...), i loro figli. Lo so che nel call centre trattano peggio i lavoratori, ed è vergognoso che il legislatore non intervenga per arginare forme estreme di sfruttamento. Ma, con tutto il rispetto per chi in un call centre ci lavora, noi non siamo dipendenti di Vodafone o Wind; siamo dipendenti dello Stato, e quindi di tutti coloro che vivono in questo paese. Ci pagate per aiutarvi a dare il meglio ai vostri pargoli e rampolli, o no? Bene, e allora prendeteci pure con la mazza quando facciamo i furbi e i lavativi; quando lavoriamo con serietà, rispettateci e aiutateci. E ricordatevi una cosa: di Francesco Totti ne nasce uno ogni venti o trenta anni. Gli ignoranti qualsiasi, prima di sputare, farebbero meglio a stare attenti. Come dicono a Sutton on sea, Nun sputà 'ncielo ca 'nfaccia te torna.