Ieri circa un milione di donne è sceso in piazza - diecimila secondo le questure, poche radical chic secondo il ministro della Pubblica Distruzione - per rivendicare la propria distanza da un certo modello di femminilità e di successo femminile, emerso prepotentemente dai fertili fanghi del berlusconismo. Manifestazioni importanti, per il messaggio che inviavano a certa parte del paese, e perchè hanno contribuito a fare breccia nella muraglia che ancora divide la nostra terra dalla modernità. Certo, Berlusconi non è la fonte di tutti i mali, ma solo una volta eliminato il Cesare di turno è possibile adoperarsi per la scomparsa del cesarismo dalla nostra cultura civile e politica. Dunque, una mobilitazione positiva. Qualcosa però è emerso nei commenti su Facebook di tante persone, in particolare donne, che vi avevano partecipato: un pessimismo sottinteso, un senso di delusione, di smarrimento. La percezione, istintiva o consapevole e argomentata, di un'incongruenza. Una domanda, per andare al grano: chi sono queste cinquantenni? E dove sono le loro figlie?
Molti hanno storto il naso di fronte all'eterogeneità dei cortei di ieri. "Avete manifestato insieme ai fasci", accusava qualcuno, forse in preda alla nostalgia di tempi in cui era più giovane e piaceva di più alle compagne. Ma non era solo la contiguità fisica di destra e sinistra a destare perplessità. Era il fatto che, almeno a giudicare dai commenti letti, in piazza c'erano tante ragazze mature, tante trentenni, ma poche fanciulle in fiore. Insomma, detto papale papale: dov'erano le coetanee di Ruby, di Noemi Letizia, di Sara Tommasi? Quelle in fondo più toccate dallo schifo indicibile del sistema messo in piedi da Mora, Fede, Minetti e chissà quanti altri collaboratori più o meno anonimi, per riempire l'harem del sultano. Sono puritano? E va bene. Sulle parole basta mettersi d'accordo. Se disapprovare la subordinazione della sfera sessuale all'ottenimento di un vantaggio economico o politico vuol dire essere puritano, allora io sono il fottuto Oliver Cromwell. E vorrei specificare che qui non si parla di pura e semplice prostituzione, contro la quale non ho nulla, purchè chi la esercita non vi sia costretta; si parla di un rapporto di interdipendenza, un filo doppio che lega una specie di loggia masso-erotica, costituita da alcuni degli uomini più potenti d'Italia, a una manciata di prostitute e papponi, e probabilmente, a giudicare da quello che si trova sulle loro auto, anche a qualche narcotrafficante di un certo calibro. Insomma, dopo la P-2 e la P-3, la P-sello...
Come ci siamo arrivati? Se non vi viene in mente niente, vuol dire che non accendete la TV da almeno una ventina d'anni. Questa è la considerazione più ovvia. Ma forse il problema parte più da lontano. C'è un verso, in una canzone di Franco Battiato, che non mi stancherò mai di citare: "Le barricate in piazza le fai per conto della borghesia". La borghesia, che crea falsi miti di progresso. Magari a partire da un'idea giusta, da un'istanza legittima e nobile. Magari trentacinque o quaranta anni anni fa quelle ragazze mature che ieri erano in piazza facevano altrettanto, spaventando i "maschietti repressi" con slogan su un presunto ritorno delle streghe. Oggi quei maschietti, che in tutti questi anni non hanno evidentemente modificato di una virgola il loro concetto della donna, si divertono con il bunga-bunga, o sognano di praticarlo. Le figlie delle streghe, invece, hanno un bivio davanti a sé: essere puttane o essere, probabilmente, perdenti. Certo, mi direte, esistono tante donne che hanno successo nel mondo accademico, nelle professioni, nella magistratura e così via. E' senz'altro vero. Ma ne esistono necessariamente molte di più che finiscono nei call center, nel lavoro a cottimo, nel precariato di ogni genere.
Ricordo una partecipazione di Maddalena Corvaglia, ex velina di Striscia la notizia, a Otto e mezzo, sulla 7. La ragazza, che non mi parve stupida, incalzata dall'intervistatrice (la Gruber), difese brillantemente la sua scelta di usare la propria bellezza per avere successo nel mondo dello spettacolo. Fare la velina, disse, le aveva dato cose che altrimenti non avrebbe potuto avere. Fu molto interessante, quella trasmissione, anche per il discorso sulla sessualità che ne venne fuori. La critica fatta dalla professoressa universitaria in collegamento da Parigi (l'immancabile, edificante esempio di donna che ha successo grazie al cervello) al sostanziale fallimento della rivoluzione sessuale ha particolare rilevanza rispetto all'argomento di questo post. Altro che emancipazione: l'evoluzione del costume ha portato a un modo triste, ansiogeno, impersonale di vivere la sessualità.
Molti di voi ometti che mi leggete vi sarete trovati, o conoscerete qualcuno che si è trovato, in contesti nei quali vestirsi in un certo modo, parlare in un certo modo e andare in giro con un Sartre sotto il braccio aumentava in modo esponenziale le possibilità di accoppiarsi. Ricordo l'istituzione nella mia scuola di una "aula sesso" durante l'occupazione del '90: credo che neanche Gesù Cristo abbia assistito a un numero simile di conversioni in così poco tempo. C'è un innegabile nesso fra la cultura della sinistra, dagli anni '60 in poi, e un certo modo di gestire la sfera sessuale. Le barricate fatte per conto della borghesia.
Le barricate fatte per conto della borghesia, in una illustrazione di Gustavo Doré
A sedici o a vent'anni, effettivamente, è facile avere l'impressione che il Sol dell'Avvenire sorga dietro la paradisiaca sagoma del Monte di Venere. Ma se non si capisce che la libertà è questione di scelte, e scegliere vuol dire soprattutto dire di no, ci si fa buggerare, come in qualsiasi bunga bunga. E allora la sessualità, strumento di liberazione delle donne quando queste se ne appropriano in modo intelligente e critico, si trasforma in strumento di repressione; repressione di ogni tentativo di ridefinire i concetti di donna e femminilità, e di immaginare nuovi schemi, nuove modalità nel rapporto uomo-donna, che non riproducano le logiche di sfruttamento di un modello di società creato esclusivamente da uomini (e anche per questo fallimentare). Perchè l'amore è compenetrazione, non simbiosi. Arricchimento reciproco, non scambio di merce contro potere d'acquisto. Quando il povero Michele Apicella fa un discorso di questo tenore, di fronte a una platea televisiva profetica nella sua parossistica idiozia e ineffabile barbarie, il risultato annunciato da un giovane Mughini è, non soprendentemente, "applausi zero". La sessualità, intesa come incontro di due individui che ricercano il piacere insieme, è finita. L'hanno messa sul mercato, e il mercato le ha imposto le sue regole. L'amore è morto, ucciso a randellate dalle virilità Viagra-dipendenti dei maschietti dominanti, non più repressi, ma tronfi delle loro conquiste come un cacciatore che torna da un safari in Kenya carico di prede. Cupido viene impietosamente sodomizzato da Priapo, e il potente se ne bea. Intanto le cinquantenni si indignano, le trentenni hanno paura di rimanere sole, e le ventenni studiano da concubine. E allora mangiamoci i cioccolatini, perchè forse è tutto quello che ci resta...
bella analisi.. pure io scrivo ogni tanto qui...
RispondiEliminahttp://www.jesusinferno.blogspot.com/
:)
Ci darò un'occhiata!
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