Cari lettori, bentrovati. Ormai scrivo di rado, vedete; sono molto preso dai cambiamenti che stanno sconvolgendo, questa volta in positivo, la mia vita. Dopo la cattività lavagnese, sono tornato a Genova. Non si sono aperte le acque al mio passaggio, né è caduta manna dal cielo durante il trasloco che mi ha portato nella mia nuova dimora, umile ma onesta. Eppure, io giubilo, gongolo e in una certa qual misura zuzzurello. Ne ho ben donde. Dal mio trilocale sito sulle alture di Sampierdarena, domino via Cantore e tutto il Medio Ponente, compresa la scuola in cui ho cominciato a elargire a piene mani il mio verbo ai fanciulli. Lasciate che i pargoli vengano a me, ché potrebbero finire peggio...
Bene, oggi parliamo, come si evince dal titolo, di scienza. Una gran cosa, potenzialmente, ma con un grandissimo limite: nasce dalla disuguaglianza. Come? In che senso? Bene, vediamolo.
Nelle prime società sedentarie tutti contribuivano alla produzione del cibo, come agricoltori, raccoglitori o cacciatori; alla produzione del vestiario e delle suppellettili; o, infine, alla cura dei piccoli. Insomma, non c'era spazio per attività non tese alla soddisfazione di bisogni asolutamente primarti, perché non c'era surplus. Con il miglioramento delle tecniche agricole si comincia a ottenere questo surplus, e si libera manodopera per qualcosa che non è strettamente necessario, ma è certamente utile: l'osservazione del mondo. La religione, inizialmente, non è dogma, non è fare il tifo per Gesù contro Maometto o viceversa, ma un tentativo di spiegarsi il mondo. A chi ne era affidata la pratica? Naturalmente, ai più anziani e saggi. Ecco che nasce una casta.
Ora, non ho intenzione di tracciare una storia della scienza, a partire dai suoi albori per arrivare ai giorni nostri. La cosa che mi interessava era stabilire che, in un primo momento, la scienza e la religione sono la stessa identica cosa, e sono altro dal dogma. Ma poi, per una serie infinita di ragioni, l'esclusività dell'accesso alla conoscenza diventa potere, e il sapere si calcifica, si cristallizza. Ogniqualvolta che, nella Storia, una classe in ascesa cerca di assicurarsi maggior potere, deve sfidare l'ideologia dominante, ovvero quell'immenso complesso di dogmi e verità indimostrate (o fittiziamente dimostrate) su cui si regge l'edificio sociale.
Ora, cosa vuol dire "avere fede nella scienza"? Dubitare, ricercare, mettere in discussione, o trattare con disprezzo qualsiasi idea o nozione che vada contro il sapere cristallizzato? Questo dipende da come intendiamo schierarci rispetto al paradosso del surplus. Se intendiamo il sapere come servizio alla collettività, diffideremo della spocchia dei sommi sacerdoti di questa o quella disciplina; se invece lo intendiamo come impalcatura a sostegno dello status quo, faremo meglio a rifugiarci nell'autorità, nell'ipse dixit. Perché poi questi sommi sacerdoti, gira e rigira, sono quasi sempre dalla parte del torto (come lo è il privilegio, del resto). Gli egittologi hanno affermato per secoli, fino a tempi piuttosto recenti, che le piramidi di Giza erano state costruite da schiavi; oggi sappiamo che questo non è vero. Il punto è che, in una società autoritaria, votata alla coercizione, è preferibile pensare che la grandezza sia il risultato del dominio assoluto di un solo uomo - il faraone - su masse di disgraziati senza il minimo diritto. Per fare un altro esempio, quando Darwin ha suggerito che l'uomo discendeva da una qualche forma di grosso primate, lo hanno mandato a comprare il tozzabancone. La sua visione ci ridimensionava, ci costringeva a fare un bagno di umiltà. Ora l'eresia dello scienziato inglese è accettata da tutti tranne certuni bifolchi dell'Alabama, probabilmente affetti da disturbi specifici dell'apprendimento, così lenti nella lettura da non riuscire a terminare quel singolo libro e passare appresso.
Io ho fede nella scienza, è per questo che diffido dei sacerdoti. L'eresia è la vera e propria essenza del sapere, lo scarto fra dogma e conoscenza, la strada che separa il selvaggio dall'uomo civilizzato. Se vogliamo avere un futuro, è solo in quella che possiamo permetterci di credere. Tanto nella casta, statene pur certi, non ci fanno entrare.
Nessun commento:
Posta un commento