martedì 6 luglio 2010

Aurelio De Laurentiis: benefattore o paraculo?




Con l'Italia fuori dal mondiale, tra una partita e l'altra, lancio di tanto in tanto un'occhiata sonnolenta e disillusa al calciomercato. Avendo avuto la sfortuna di nascere a Napoli (l'ha detto Bocca che è un intellettuale, eh!), seguo le vicende della omonima squadra fin da quando la sua icona si chiamava Diego Armando Maradona. Oggi che non sono più un fanciulletto, e che non so quanto mi resterà da vivere, sono costretto a vedere gli azzurri navigare in una mediocrità mitigata solo dal fatto di essere comune ormai alla quasi totalità della Serie A, e mi domando quando rivedrò il tricolore cucito sulle maglie dei ragazzi che rappresentano la mia povera città nel torneo calcistico più sentito dell'emisfero boreale.

Potete dunque immaginare la mia delusione nel constatare che il Napoli non ha ancora messo a segno un colpo di mercato, ed anzi contempla, nella persona del suo presidente Aurelio De Laurentiis, la possibilità di cedere uno dei suoi pezzi più pregiati, ovvero Fabio Quagliarella. Ma quali sono le trattative in corso? Ebbene, per il bomber di cui si va parlando ormai da svariati mesi il nome più probabile sembrerebbe quello di Paulo Roberto Cotequinho, centravanti di sfondamento, ma non è escluso l'acquisto di un giocatore esperto come Margheritoni; la solita pista brasiliana porta invece ad Aristoteles, giovane di grande talento, ma considerato meno affidabile a causa di una nota tendenza alla saudade. Il ragionatore di centrocampo invece potrebbe essere il (magno) greco Archimede Di Siracusa: a lui spetterebbe il compito di illuminare il gioco, talvolta farraginoso, della compagine partenopea. A parte i calciatori appena menzionati, non sembra ci siano per il momento altri nomi fra gli appunti di Bigon.
E allora viene da domandarsi: che ne è dei proclami del nostro presidente, che ci seduceva con sirene da Champions League (o Sciàmpions, per usare la sua pronuncia) mentre eravamo ancora impantanati nel purgatorio della B? O Aurelione, perché non rendi poi quel che prometti allor? Per darsi una risposta che non rispecchi semplicemente pregiudizi e posizioni preconcette, sarà il caso di ragionare su una una importante questione propedeutica: chi è Aurelio De Laurentiis?

Per farlo, analizzeremo prima una figura fra le più note e travisate del '900: Anjeza Gonxhe Bojaxhiu, meglio nota come Madre Teresa di Calcutta. Tutti sappiamo come è diventata celebre: nel 1950 fondò un ordine religioso, le Missionarie della Carità, il cui scopo doveva essere quello di prestare soccorso ai poveri e ai derelitti. In particolare, come è risaputo, l'ordine era dedito alla cura dei moribondi. Così la minuta religiosa si guadagnò l'ammirazione del mondo, e la fama di santa donna completamente votata al prossimo. Sorvolando sul fatto che una persona completamente votata al prossimo non è degna a mio parere di stima, ma solo di ribrezzo, al massimo commiserazione, fa d'uopo ricordare a questo punto anche le critiche ricevute da questa capa di pezza corta e male incavata.

Nel 1994 l'emittente britannica Channel 4 trasmise un documentario del giornalista inglese Christopher Hitchens su Madre Teresa, in cui si raccoglievano tesimonianze assai critiche di persone che avevano prestato opera come volontarie nei suoi "ospedali", si metteva in risalto il suo ruolo di campionessa delle posizioni della Chiesa Cattolica contro la contraccezione e l'aborto, e si faceva notare come non avesse avuto il minimo problema nell'accompagnarsi ad alcuni fra i più odiosi dittatori del suo tempo, fra cui il sanguinario e corrotto leader haitiano Papa Doc, al secolo François Duvalier. In effetti, una volta raggiunta la notorietà con la sua discutibile attività di missionaria, Madre Teresa passò più tempo in giro per il mondo che non nella "sua" Calcutta. All'inizio del documentario la vediamo a Knock, Irlanda, sede di un'apparizione miracolosa della beata vergine nel 1879, mentre parla a una folla di irlandesi ancora non completamente laicizzati dalla Celtic Tiger, in difesa di un sistema di valori da Età del Bronzo. Nel frattempo, nella sua "casa per i moribondi" di Calcutta, gli ospiti morivano senza ricevere cure mediche adeguate, come accertato da numerose testimonianze. Pare addirittura che fosse in uso la pratica di battezzare i non cristiani in punto di morte, ma questo in fondo è un particolare secondario, di fronte al fatto che malati terminali di cancro morivano fra atroci agonie senza il sollievo di antidolorifici adeguati.

Eppure Madre Teresa è quasi universalmente considerata donna di straordinaria pietà, e sembra destinata a percorrere in tempi record il cammino che conduce alla santità. Il suo processo di beatificazione è cominciato lo stesso anno in cui è morta, nel 1997, per iniziativa di un pontefice al quale la missionaria era stata molto vicina, e con il quale aveva molte affinità: Giovanni Paolo II. E allora, se sappiamo leggere fra le righe, cominciamo a capire per quale motivo la piccola Agnes, oscurantista avida, crudele, cultrice del dolore, è passata alla storia come un essere umano di eccezionali qualità. La religione si fonda sull'attitudine della mente umana a interpretare il mondo secondo i paradigmi del mito. Questo è l'unico modo in cui il cervello infantile può capire ciò che lo circonda, non disponendo di strumenti di analisi critica. Se poi quel bambino non si istruisce e non acquisisce quegli strumenti, ragionerà per tutta la vita da bambino. Questa, cari amici, è la mentalità del credente. Quale ruolo spetta dunque all'autorità religiosa, se non quello di farsi fabbrica di miti? Del resto, il Cristianesimo sarebbe quello che è oggi se Costantino non avesse deciso nel IV secolo di farne il culto ufficiale dell'Impero Romano?

Avendo scritto abbastanza su Madre Teresa da attirare su di me le ire del nazipapa, passo ora a illustrare le analogie fra la sadica di Calcutta e il cazzaro di Castelvolturno. Quando nel 2004 rilevò il Napoli (aspettando prima che fallisse il tentativo di Gaucci di salvarlo, se ben ricordate), Aurelio De Laurentiis promise che ci avrebbe tirati fuori dall'incubo della Serie C, e che al più presto saremmo tornati nel massimo campionato. In questo sforzo sarebbe stato coadiuvato da un uomo di fronte al quale il CAF di pentapartitiana memoria sembra un trio di probi viri: Pierpaolo Marino. Nei primi anni '90 viene squalificato per tre anni a causa di uno scandalo di partite vendute che coinvolge la sua società di allora, il Pescara. Pare (e dico pare nell'impossibilità di reperire notizie certe) che abbia continuato a svolgere l'attività di direttore sportivo all'Udinese durante tutto il periodo della sanzione. Il punto comunque è che il bonzo maledetto è un camorrista democristiano della peggiore specie, esponente della migliore tradizione campana in quel senso. Vero, ha portato all'Udinese tanti ottimi giocatori; ma si trattava soprattutto di giovani stranieri, visionati dagli osservatori Carnevale e Gerolin. Mentre questi giravano il mondo in cerca di talenti, il bonzo restava comodamente seduto a casa propria a fare giri di telefonate con i potenti del calcio italiano, a fare networking, come si dice oggi, e consolidare la propria posizione nel circo pedatorio. Questo è l'uomo che De Laurentiis scelse di affiancarsi.

Potrete dirmi che il mondo del calcio è quello che è, e che comunque l'esperienza e gli agganci di Marino potevano essere preziosi per il progetto Napoli. Certo, su questo non c'è dubbio. Sarebbe stato così, se il condottiero della rinascita sportiva di questa città dolente avesse monitorato costantemente l'operato del suo collaboratore, e gli avesse dato direttive abbastanza rigide su cosa fare e cosa non fare. Invece, Aurelione ha dato carta bianca al bonzo bastardo, lasciandogli finanche le chiavi dello spogliatoio mentre lui andava a rendersi responsabile di quei crimini contro l'Umanità che sono i suoi film di Natale.

Ma allora De Laurentiis non vuole bene al Napoli? Difficile dirlo. Forse persino la sanguinaria Teresa voleva un po' di bene ai poveracci che lasciava morire in strutture fatiscenti, senza assistenza medica qualificata. Il punto è se il cazzaro fa il bene del Napoli o meno. Quanti soldi ha speso per giocatori utilizzati pochissimo (vedi Rullo)? E quanti per dei veri e propri pipponi, come il dinoccolato Rinaudo? Oggi parla di austerity: ma come, proprio oggi che dovremmo attrezzarci per l'Europa League, e per fare un campionato che ci porti finalmente in Sciampions? Forse che stia ragionando come il presidente della Longobarda? Forse gli costa troppo mantenere una squadra di vertice? Comincia a materializzarsi una paura atavica che solo la parentesi epica del pibe de oro aveva potuto momentaneamente scacciare: Napoli non avrà mai più una squadra di calcio degna del suo pubblico; vagheremo in un limbo di ottavi posti per i secoli a venire, fino alla fine dei tempi.

E allora, viene da chiedersi, perché De Laurentiis ha preso il Napoli? Lo sanno tutti che con il calcio non si guadagna, anzi, semmai si perde. Le ipotesi sono due:

1) De Laurentiis, a differenza di altri presidenti meno imprenditorialmente capaci di lui, riesce a guadagnare con il Napoli;

2) La presidenza del Napoli conferisce lustro a De Laurentiis, e gli offre la possibilità di costruire intorno a se stesso un mito non dissimile da quello costruito intorno allo scricciolo assassino di Calcutta.

La prossima volta che leggete di lui, di una sua dichiarazione, pensate a Madre Teresa e al presidente della Longobarda. E pensate che vi è più dignità nella consapevolezza di un destino gramo, che non nell'illusione di una felicità che non arriverà mai.

1 commento:

  1. bella pierpà. sono d'accordissimo su tutto (sopratutto su quanto dici della nana assassina)

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