venerdì 9 luglio 2010

Dal "nanny state" al "workhouse state": la civiltà del gambero

Come vi dicevo nel post precedente, studio l'inglese da molti anni, e sono arrivato a un tale grado di servile e incondizionata ammirazione verso questa lingua, espressione a mio parere di una cultura parecchio più avanzata della nostra, da mettermi a riordinare tutto il mio mondo in base alle sue categorie. Per un periodo considerevolmente lungo della mia vita, quando mi accorgevo di non conoscere il nome di un oggetto in inglese, andavo immediatamente a consultare un dizionario; se mi trovavo fuori casa, era la prima cosa che facevo una volta rientrato. Quando mi imbattevo in un drappello di marinai statunitensi gioiosamente ubriachi, cercavo di trascinarli con me per bar e festini, allo scopo di praticare la loro lingua (sebbene il mio inglese sia più simile a quello parlato da Elisabetta II e dal tredicesimo Duca di Wybourne che non alle varietà nordamericane). Oggi, forte di queste esperienze, mi concedo anche la hybris di coniare neologismi nell'idioma del Bardo dell'Avon. E sì, perchè se l'espressione "nanny state" è ben consolidata nell'uso (almeno quello britannico), e può essere tradotta come "stato assistenziale" (letteralmente "stato balia"), la locuzione "workhouse state" è farina del mio umile sacco.

Ora voi, presumibilmente già annoiati e infastiditi dal riferimento a un universo che non vi appartiene e magari detestate, vorrete sapere in due parole cos'è una workhouse. Si tratta di un luogo, sostanzialmente molto simile a un istituto di pena, in cui venivano ospitati i poveri, i disabili, i vecchi, e tutti coloro che non riuscivano a vendersi sul mercato del lavoro; in cambio di vitto e alloggio, si chiedeva a queste persone di lavorare senza essere retribuite, e di sottostare a una disciplina da 41 bis. In uno di questi luoghi, di cui era zeppa la Gran Bretagna vittoriana, passa la sua infanzia il povero Oliver Twist, classico esempio di bambino infelice. Se volete sapere di più su questa triste istituzione, cliccate qui (in inglese).


Cosa c'entra, dunque, la workhouse con il concetto di stato, e con il povero gambero? Vi sto esasperando? Un po' di pazienza, cari lettori; siete voi che avete chiesto accesso alla mia mente contorta. Potevate andare al mare, e invece siete qui a sorbirvi le mie elucubrazioni. Non chiedetemi, dunque, di essere lineare, visto che neppure voi lo siete stati.
Se, come me, siete nati neglia anni '70, siete stati adolescenti negli '80, e avete vissuto i '90 da giovani adulti, sapete che il mondo è cambiato molto in questo arco di tempo. Quando eravamo fanciulli non era inusuale imbattersi in idee di giustizia sociale, uguaglianza ed equità nella distribuzione della ricchezza. Il diritto al lavoro, alla casa, e all'assistenza sanitaria gratuita erano considerati conquiste consolidate, e lo Stato effettivamente si impegnava per garantirli, se non a tutti, al maggior numero di cittadini possibile. Poi, dopo il crollo dei regimi del blocco sovietico, sono arrivate idee nuove, e abbiamo dovuto rivedere tutto ciò che ci sembrava scontato. Fu come se a crollare non fossero stati solo il muro di Berlino e la cortina di ferro (già resa piuttosto permeabile dalla perestrojka), ma tutte quelle "inibizioni" e riserve che mitigavano gli effetti nefasti del capitalismo. Il "nuovo che avanza", ricordate? Era il neoliberismo. Era l'inizio di un regno del terrore che ci avrebbe ridotti, da paese forse arretrato e provinciale ma estremamente vivo dal punto di vista culturale e intellettuale, al deserto di disperazione che siamo oggi.
Anche stavolta il nuovo arrivava dal mondo anglosassone. Inglesi e americani si contendono la paternità di questa oscenità politico-filosofica: è venuta prima Margaret Thatcher o Ronald Reagan? Un po' come la domanda se siano venuti fuori prima i Sex Pistols o i Ramones (con l'ovvia differenza che il punk rock è qualcosa di veramente bello, mentre l'idea dello sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo è quanto meno discutibile). Ci vorrebbero pochi secondi a dirimere la questione facendo ricorso all'utilissima Wikipedia, ma quel che ci interessa è che questi due paesi hanno sviluppato più o meno contemporaneamente un discorso politico che rimetteva tutto in gioco, attaccando valori fino a quel momento quasi universalmente condivisi.
Sarò fissato, ma dopo il post sull'alcol devo citare di nuovo il Puritanesimo come fonte dell'85-90% dei mali dell'Umanità. Il resto è da attribuire a Pupo e al Fantasma Formaggino. L'atteggiamento dei puritani nei confronti della povertà è di costante condanna, criminalizzazione, privo di un briciolo di compassione. Per continuare a parlare di alcol, era opinione assai diffusa nell'Inghilterra vittoriana (società puritana per antonomasia) che il bere fosse causa di degrado e miseria presso il proletariato urbano. Qualsiasi persona di intelligenza normale si rende conto che semmai è il contrario: le condizioni di vita assolutamente deumanizzanti in cui versavano i poveri degli slums inglesi del XIX secolo li spingevano a bere per alienarsi da una realtà insopportabile. "Work is the curse of the drinking classes", osservò argutamente Oscar Wilde, autore di un bel libercolo dal titolo The Soul of Man Under Socialism (non troverete lì la citazione, ma una stupenda riflessione sulla miseria, la ricchezza, la giustizia e la libertà).

Ma ragazzi, qui si divaga, e parecchio. Bisogna venire al punto. Ormai la vostra capacità di sopportazione è agli sgoccioli, e manca poco così perchè abbandoniate il mio blog per visionare cani che dicono "I love you" su Youtube. Devo andare a parare senza indugi laddove mi ero riproposto di andare a parare. Attraverso una sistematica e progressiva criminalizzazione della povertà, dell'insuccesso professionale, dell'ozio (ma vi rendete conto di che razza di imbecille devi essere per denigrare l'ozio?), questi teocrati dell'avidità ci hanno spinti di forza in un mondo nel quale è perfettamente morale e legale che il forte calpesti il debole, che il ricco umili il povero, che il bianco sfrutti il nero, o il bianco meno fortunato di lui. Tutto questo accadeva anche prima, ma almeno era possibile denunciarlo senza essere bollato come estremista o sognatore, e sostenere un'alternativa. Oggi non esistono più spazi di critica, se non su un blog come questo che leggerete in quattro, o nelle chiacchiere da bar di chi ha la sfortuna di non avere il coltello dalla parte del manico. Questo è il "workhouse state": un luogo in cui a chi resta indietro, per mala sorte o per scelte di vita che nessuno dovrebbe avere l'arroganza di sindacare, non resta che accettare di buon grado un'esistenza non tanto diversa da quella dei poveri cristi vittoriani.



Certo, loro avevano il gin, e noi abbiamo il TV al plasma (sul quale peraltro guardiamo programmi perlopiù osceni). La sostanza, però, è la stessa. Liberismo e libertà sono agli antipodi. Il nuovo che ci è venuto incontro ci ha riportati a una civiltà che, dopo aver creato la povertà, aveva l'ardire di prendersela con i poveri e rinchiuderli in luoghi di repressione e sfruttamento. Noi, la classe media istruita, siamo una popolazione di Oliver Twist trasversale alle nazioni, che ormai travalica i confini tradizionali di classe sociale, un enorme serbatoio di manodopera abbrutita e disperata, da impiegare nei call center o nel telemarketing. E, proprio come gli ospiti delle workhouses erano costretti a venerare il dio cristiano dei loro aguzzini, noi siamo (praticamente) costretti a riconoscere la bontà del "libero mercato" (un altro uso fuorviante del termine "libero") e ad accettarne i comandamenti.

Vi siete depressi? Ma noooo!!! Non preoccupatevi perchè, come si legge sulle mura di una workhouse in una foto che non posso riprodurre per motivi di copyright, "Dio è buono e giusto". Prima o poi anche voi troverete il vostro posto in questo mondo retto da principi immutabili perchè perfetti, e quando mi telefonerete per propormi l'acquisto di un utensile che consente di premere le arance o i limoni senza che ti schizzi il succo negli occhi (questa sì che sarebbe un'invenzione!) io riconoscerò la vostra voce, e parleremo dell'ultima partita del Napoli o di un amico comune che, nonostante tutto, si è sposato; e faremo finta di vivere in un mondo arioso e benevolo, anzichè in una angusta prigione di arbitrarietà, sopruso e ineffabile bruttezza.

1 commento:

  1. Adesso comprendo appieno la mia affinità elettiva con Dickens, per capirlo ci voleva una sloth connection

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