Cari letturi di 'stu blog, oggi vi vogghiu parrari della mafia. Quannu 'nu cristianu si mette la coppula e pigghia 'a lupara pe gghiri a sparari a autri cristiani, chiddu si chiama mafiusu. 'U mafiusu di solitu ave i baffi e 'a pelle scura, e jè sicilianu. Sciuri, sciuri, sciuri di tuttu l'annu, l'amuri ca me disti te lu rennu...
Bene, potrei continuare per tutto il post con questo siciliano inventato, ma credo di aver ormai ottenuto lo scopo che mi ero prefisso. Avrete capito, se non avete di recente subito l'asportazione di quella parte del cervello preposta all'ironia, che sto cugghiunannu. Ma siccome nessuna realtà sociale ed economica è oggetto di tanti equivoci e tante convinzioni errate e infondate quanto la fantomatica mafia, sarà il caso di spiegarsi meglio.
La mafia non esiste. Ah!!! Anatema! Come osi!!!! Ma che stai dicendo!!!! Lapidate subito questo eretico!!!!
Ripeto: la mafia non esiste. Non più. Quel signore ritratto in foto è una testimonianza storica. Nell'Italia di oggi (Sicilia compresa) lo stereotipo che incarna non trova più corrispondenza. La mafia, quella vera, era un'organizzazione di carattere eminentemente politico e militare. Lo stesso dicasi per la camorra, sua omologa campana. Si trattava di società segrete, al pari della Carboneria o della Massoneria, con rigidi codici e ferree gerarchie. Ma mentre queste ultime erano composte da borghesi e nobili illuminati, mafiosi e camorristi erano di estrazione popolare, e si opponevano con la forza al potere borghese. Per finanziarsi e sussistere, ricorrevano esattamente agli stessi metodi praticati dallo stato e dalla società "civile: solo che un governo "legittimo" tassa, un'organizzazione nata per difendere gli interessi dei morti di fame "taglieggia".
Naturalmente non c'è posto, nel mondo di oggi, per organizzazioni simili. Il mafioso, il camorrista, nel mondo di oggi non durerebbe cinque minuti. Attenzione, non sto elogiando quell'etica impregnata di violenza e pregiudizi, sono ben conscio che per ricomporre un dissidio il dialogo è un sistema migliore della zompata, ma è importante capire che cosa c'era alla base delle vecchie mafie, quelle vere. E che anche il criminale, come chiunque altro, è figlio del suo tempo. E adesso vi sconvolgerò ulteriormente, affermando che i valori del criminale sono, nella stragrande maggioranza dei casi, i valori trasmessi dalla cultura egemone. Nel caso della nostra epoca, i valori del capitalismo senza freni, del mercato selvaggio, del denaro come misura del valore di una persona. La differenza tra il criminale e Sergio Marchionne è che quest'ultimo, pur essendo socialmente assai più pericoloso di Pascale naso 'e cane o di Giggino Bombammano, opera nell'alveo della legalità.
Capirete allora che conviene, ai Marchionne di questo mondo e a chi ne fa le veci, farci credere che i "mafiosi" siano gente, per così dire, venuta da Marte, anzichè operatori economici che un particolare sistema di leggi ha lasciato scoperti dall'ombrello della liceità. Non staremo a discutere dei perchè e dei percome; ci limiteremo a osservare che sono almeno trent'anni che si parla ossessivamente di "lotta alla mafia", e che la presenza criminale non accenna a diminuire. Tutt'altro. I "mafiosi", ovvero gli avventurieri dell'economia, i pezzenti che arrivano in cima perchè hanno una fame feroce di successo e autoaffermazione e nessuno scrupolo, sono presenti nelle stanze del potere, nella finanza, in tutti i giri di soldi più importanti. Non hanno più codici, nè regole, nè coscienza. Saranno anche guappi di cartone come il Malacarne, ma il duello con il professore vesuviano, ultimo fautore di una criminalità ormai anacronistica, lo hanno vinto loro. Vedete, quello che Cutolo non aveva capito è che con lo stato non si entra in antagonismo, come la vecchia camorra, ma ci si mette d'accordo. C'è posto per tutti. La cocaina non può mica venderla il tabaccaio, non vi pare? I rifiuti tossici da qualche parte dovranno pur andare a finire. E che male c'è se uno che lavora tutto il santo giorno, fra omicidi da commissionare e transazioni da concludere, la domenica si svaga un po' con il pallone?
Ci sono tanti, ma tanti soldi nel mondo del calcio professionistico. Si può scommettere sulle partite; una volta c'era il Totonero, adesso c'è la Snai, non è nemmeno più necessario tenere in piedi tutta una macchina organizzativa. Lo fanno altri per te. Tu devi solo preoccuparti di truccare le partite, e a quanto pare non mancano calciatori disposti a prestarsi al gioco per qualche migliaio di euro in più (nonostante percepiscano stipendi piuttosto ragguardevoli). Adesso si insinua, in seguito alle dichiarazioni di un "pentito" (parola che trasforma d'incanto il malavitoso traditore, e quindi ancor più spregevole, in figliuol prodigo), che alcuni calciatori siano stati "spinti", "aiutati" da questo o quel boss (termine che, curiosa combinazione, in inglese indica il padrone). Insomma, sono stati raccomandati. Come milioni di italiani, dirà qualcuno. Esattamente. Solo che c'è sempre la stessa discriminante: prima notavamo che al governo dell'equo e democratico Re Bomba si riconosceva il diritto di esigere tributi, all'Onorata Società no; allo stesso modo osserviamo che quando il raccomandato sono io o un mio amico non c'è niente di strano, la società purtroppo funziona così e via discorrendo; se la raccomandazione la riceve un calciatore da un criminale è inaccettabile e scandaloso.
Svegliatevi. E, se siete già svegli, smettetela di fare gli ipocriti. La criminalità è un problema principalmente sistemico, non morale. L'ipocrisia la favorisce, perchè ci impedisce di capire che le leggi vanno modellate in base a concetti di equità, a partire da un'analisi onesta e disinteressata della realtà. Ma in un paese e in un mondo che hanno rinunciato a chiedersi cosa è giusto e cosa è sbagliato da un punto di vista politico (perchè la giustizia è un problema intrinsecamente politico), la lotta alla mafia non si può fare. Si può additare di volta in volta questo o quel partecipante alle molteplici dinamiche dell'illegalità, con le varie gradazioni e sfumature di responsabilità, ed esclamare, presi da un sacro di furore di retta e borghesissima indignazione: Talìa, u mafiusu! E poi tornare alle nostre dinamiche legali, per bene e senza coppole e lupare.
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