mercoledì 27 febbraio 2013

La libertà e la birra

Questa, amici del Bradipo, è una storia d'amore. Dell'amore fra un giovincello e una bevanda. E, più tardi, di quello che sbocciò fra un ometto che di questa bevanda si inebriava e la libertà. Mettetevi comodi e aprite una birra. Narrerovvi.

Cominciò tutto quando aveva nove anni. Era a casa di una zia materna, quando vide il cugino prendere una bottiglia dal frigo, stapparla e versare il dorato liquido schiumoso in un bicchiere. Era birra. Aveva imparato a riconoscerla dalla colorazione del vetro che la conteneva, una tonalità di marrone inconfondibile. Il cugino lo guardò, lo soppesò con gli occhi...e stabilì che era pronto. Versò un po' di quel misterioso nettare in un altro bicchiere, e glielo porse. Il giovane Bradipo lo portò alle labbra con la cautela della prima volta. E fu sopraffatto da una sensazione di amarezza, come se si fosse messo in bocca una manciata di terreno. Il cugino lo capì dall'espressione del viso, rise e profetizzò: "imparerai ad apprezzarla". 

Aveva ragione. Ostregheta, se aveva ragione. Sei o sette anni dopo l'adolescente Bradipo cominciava a uscire il sabato sera con gli amici, e a fare consumo di birra. L'ebbrezza giungeva dopo pochi sorsi, in quei tempi felici di folte chiome. Dopo una settimana di studi matti e disperatissimi, sotto la rigida sorveglianza di una madre professoressa, il sabato era l'occasione per evadere un po'. Era il giorno di libertà.

Venne il 1990, e portò la Pantera. La Pantera, che non c'entra niente con il giaguaro che il povero Bersani voleva smacchiare, è stato un ciclone, nealla realtà politica e sociale italiana di quegli anni. Era l'antagonismo che faceva capolino e diceva "Cucù! Io sono qui! Non sono morto!" Per un ometto di 16 anni fu l'occasione di imparare, dopo tanto latino e greco, qualcosa di veramente utile e concreto sulla vita. Non dico che non bisogni studiare il latino e il greco, dico che prima di tutto c'è la formazione, che io non posso dire di aver ricevuto dalla scuola, fino a quando non l'ho occupata. Non era più il giorno di libertà: era la scuola della libertà. Ma non è questo il luogo per analisi storico-politiche. Qui si parla di birra e libertà. Di come si impara ad apprezzare il gusto della birra bevendola, e della libertà praticandola. Sono gusti spigolosi, ostici, è difficile capirli e amarli al primo sorso.

Perchè tornai ad assaggiare quella bevanda amarostica, dopo quella prima volta con mio cugino? Perchè c'era qualcosa in coloro che vedevo berla, mentre la bevevano, che mi faceva desiderare di capire meglio quel sapore, e soprattutto che cosa c'era dietro quel sapore. E così me ne innamorai. Ai primi sorsi, la libertà adulta, quella che non era più evasione ma assunzione di responsabilità, era altrettanto ostica. Anche quello è un gusto che si acquisisce, il bambino non lo può apprezzare. Ma l'adulto, se vuole essere tale, e non un eterno bambino, deve esplorarlo e farlo suo. Certo, con la birra è facile: basta aprire il frigo, prenderne una e stapparla con un apribottiglie. Per arrivare alla libertà bisogna aprire la mente, non il frigorifero. E per stappare la bottiglia ci vogliono umiltà, rispetto del prossimo e un grande amore per la verità. Ma ne vale la pena, credetemi: il sapore è ottimo, e la sbornia non passa mai.

martedì 26 febbraio 2013

La marachella


Ora però ve la devo spiegare, la marachella. Per chi ancora non lo sapesse o non  lo avesse capito, ho votato M5S. Per la prima volta in vita mia non ho espresso un voto identitario. Fino ad ora le mie scelte erano state Rifondazione Comunista e l'astensione. Come mai stavolta ho votato un movimento (o partito, se preferite) amorfo, senza una precisa collocazione ideologica? Perchè penso che destra e sinistra non abbiano più senso? Assolutamente no. Per puro spirito giacobino? Nemmeno. Purtroppo sono dotato di un'intelligeza di tipo intuitivo, più che analitico. O, per meglio dire, quel poco che capisco nella vita lo capisco attraverso l'intuito, piuttosto che l'analisi. Per cui non riesco a spiegarvi in modo compiuto in base a quali dati ho avuto la nettissima impressione che si potesse e dovesse dare inizio non a una fase di transizione da un sistema di equilibri ad un altro, ma a quello che in inglese si chiama un paradigm shift.

Diceva Ferribbotte ne I soliti ignoti, "Fimmina cuciniera, pigghiala per mugghiera, fimmina piccante pigghiala per amante." Questo è un paradigma. Ma è superato, almeno dalle mie parti. Ormai la gente agisce in base a valutazioni diverse, e se cercassimo di capirle andremmo a finire da tutt'altra parte, senza peraltro cavare il proverbiale ragno dal buco. Quello che ci interessa è l'obsolescenza di quello che un tempo è stato un modo di ragionare diffuso. Angelo del focolare vs. donnaccia da postribolo. In una divertente commedia di qualche anno fa Robert De Niro faceva la parte di un gangster in analisi. Quando Billy Crystal ipotizza che il suo cliente si reprima nei rapporti sessuali con la moglie, perchè rifiuta di farsi praticare da lei la fellatio, quello risponde che poi la moglie darà il bacio della buonanotte ai figli con quella bocca. Ormai questa è una posizione conservatrice. La donna del terzo millennio ha sempre una bottiglia di colluttorio nel mobiletto del bagno.

C'è un'altra dicotomia che sta scomparendo, esattamente come quella di cui abbiamo sorriso: la dicotomia fra destra e sinistra a livello partitico. Mo' voi potete fare gli snob quanto volete voi, potete gridare al qualunquismo, potete tirarmi le vostre feci come scimmie adirate, ma resta il fatto che un italiano su quattro ha votato una lista che non ha il minimo retroterra ideologico. Vogliamo capire perchè? O vogliamo continuare a lanciare anatemi non omologati, approfittando della sede vacante?

Lungi dal lanciarmi in analisi che non sono in grado di fare (mi ridurrei al livello dei giornalai italiani), voglio darvi qualche mia impressione. Per un anno il sobrio prof. Mortimer Monti ha governato l'Italia, il nostro paese, senza alcun mandato elettorale. Come solo i veri duri possono permettersi di fare, non è partito di capata a tradimento; no, lui ha detto "Adesso vi intommo di mazzate", si è avvicinato con calma e ci ha ingiunto: "Mi raccomando, non reagite, se no sale lo spread. Meglio che vi tenete le mazzate". Mo', io sono pezzente di ritorno, quindi non so e mai saprò cosa vuol dire lavorare come un ciuccio di fatica e risparmiare per comprarsi un cesso di appartamento, per poi vederselo tassare come se fosse un bene di lusso. E lasciate stare destra e sinistra, perchè il sudore è apolitico. Posso solo immaginare la frustrazione di qualcuno che lavora e si vede colpire in quel modo. Nel mentre, i quadri di partito (PD e SEL in primis, con il loro sostegno al governo) si adoperano sul doppio fronte della propaganda e della perpetuazione del potere attraverso i soliti sistemi clientelari. Tradotto, vuol dire che mentre i loro mezzi di informazione vi fanno il lavaggio del cervello, i loro figli lavorano e i vostri no. I loro carrozzoni finanziati col denaro pubblico restano dove sono e le  aziende chiudono, mettendo i lavoratori in mezzo a una strada. Chi lecca il culo giusto va avanti, chi conta sulle proprie forze si fotte, perchè quel poco che era rimasto dopo le politiche di austerity (leggi: paccheri sopra al musso) se lo sono mangiato loro, i compagni

Il mio futuro, ahimè, è nella scuola. Sto da poco frequentando il TFA, corso che mi abiliterà per l'insegnamento della lingua e della letteratura inglese nelle scuole superiori. Se questo paese non cambia, io semplicemente non ho futuro, se non la prospettiva di un continuo aspirare a una vita decente e a un lavoro dignitoso che non arriveranno mai. Se questo paese non cambia, il mio avvicinamento al ruolo, ovvero al posto fisso, sarà penosamente simile alle file che si facevano per il pane, quando la Germania ci faceva la guerra con le bombe anzichè con la finanza. Nella mia stessa situazione, o in una situazione paragonabile alla mia, ci sono milioni di persone in questo paese. Noi abbiamo bisogno del paradigm shift di cui sopra, che in questo momento non saprei neanche bene come definire e riassumere, se non così: prima il lavoro, poi tutto il resto. Non mi ritengo un egoista, non sto facendo un discorso individualista. Sono pronto a dividere quel poco che mi aspetta con altri lavoratori o aspiranti tali come me. Con chi si autoproclama Il bene comune e poi non fa che i cazzi propri, no.

domenica 24 febbraio 2013

Io non aspetto il Messia

 
Ultimo post elettorale. Estremo tentativo di provare a ragionare, al di là di schematismi stratificati in secoli di storia. Scusate se batto sempre su questo tasto, ma io per un certo periodo della mia vita andavo a letto con il monolingue d'inglese. Pragmatismo, ci vuole. Questo re non ci piace, ce lo facciamo venire nuovo dall'Olanda. Questo pirata ha fatto di più per l'Inghilterra di molti pari del regno: lo facciamo baronetto. Down to earth: non terra terra, ma con i piedi per terra.

Ogni tanto, mentre scrivo su questo blog, rimpiango di non essere più colto e intelligente. Se lo fossi adesso esplorerei con sapida eloquenza il rapporto fra ebraismo e socialismo in Karl Marx, quella sorta di messianesimo che, secondo tate persone intelligenti, permea il suo pensiero. Certo, di messianesimo laico si tratta; ma pare che la gente si dimentichi che "l'uomo che verrà" non scenderà da cielo come una sorta di deus ex machina. Non sarà partorito da una vergine, o annunciato da una cometa. E, soprattutto, in questa locuzione il singolare sta per il plurale. L'evoluzione della specie umana e delle sue forme di associazione e organizzazione politica non si può delegare al carisma, alla preparazione, alla capacità di empatia di Tizio o Caio. Il leader è quello che ti guida; niente di più. La strada la devi fare con le tue gambe. E ad ogni bivio ti conviene stare attento a dove vai: se sbagli strada, te lo fai fritto il tuo leader.

Pare che al tempo di Cristo i presunti Messia abbondassero in Giudea. Il clima che si respirava allora, in quei paraggi, non doveva essere molto dissimile da quello che si respira oggi in Italia. Forse siamo un popolo scarsamente responsabilizzato perchè non ci hanno fatto mai scegliere il resto di niente. Si sono fatti il risorgimento (non è un refuso, mi rifiuto di scriverlo con la maiuscola) in quattro di loro, e poi si sono scritti delle belle storielle con tanto di illustrazioni suggestive (v. post sul sussidiario). Hanno fatto la marcia su Roma in quattro, e ci hanno imposto un ventennio di dittatura; li abbiamo combattuti e sconfitti, per ritrovarci nel dopoguerra la stessa classe dirigente, e la celere di Mario Scelba che continuava il buon lavoro fatto per tanti anni dalle squadracce e dalla sbirraglia fascista. Dopo Tangentopoli, ci siamo ritrovati nei nuovi partiti gli stessi gaglioffi e manigoldi che si erano arricchiti nella DC e nel PSI. Certo, magari le prime file scomparvero o mantennero un basso profilo per qualche anno, ma quelli che ancora non si erano giocati la faccia erano tanti, e probabilmente non migliori. Insomma, l'italiano delega perchè non spera di poter decidere una mazza. Va con quello che indossa la casacca del colore che più gli aggrada. Come diceva Marina Confalone all'architetto venditore di rifugi antiatomici ne Il mistero di Bellavista, "noi se dobbiamo morire vogliamo morire tutti insieme". 

Oggi e domani si vota. A che serve votare? A poco, pochissimo. Ma almeno può smuovere le acque. L'importante, secondo l'opinione di questo fesso, è che si entri nella cabina elettorale con quell'atteggiamento down to earth di cui parlavo. Qual'è la situazione? La cosiddetta agenda Monti minaccia quel poco che resta del nostro futuro. Più troverà applicazione, più ci romperà il culo. Beh, se dobbiamo morire, moriamo tutti insieme. Ha ragione Marina Confalone. Ma se esiste la possibilità di salvarsi, io mi faccio salvare pure dal re o dal pirata. E mo', come disse il famoso camorrista e presunto traditore, facite ampressa.


sabato 23 febbraio 2013

A votare, maledetti!


Buongiorno, amici del Bradipo. Sono Rigoberto Saviani. Vi ricordate di me? Sono filosofo, filologo, economista, politologo, esperto riconosciuto a livello mondiale sulla transustanziazione e sul dogma della Trinità. Oggi vorrei parlarvi delle elezioni incombenti.

Come saprete, ieri sera a Roma si è verificato un episodio oltremodo increscioso: il populista, demagogo e irresponsabile Beppe Grillo ha impedito ai  giornalisti italiani (con la sola eccezione di SkyTG24) di accedere al suo backstage. Vergogna, vergogna, e ancora vergogna! Quando a un comizio mancano le tartine e il prosecco gratis per il cronista di Repubblica e del Corriere, vuol dire che si è toccato il fondo. La democrazia è in pericolo. 

Ma non sono solo i seguaci del fascistoide Grillo a tenere sotto scacco il futuro dei nostri figli: è il pericolo che gli Italiani smettano di credere in queste nostre belle istituzioni democratiche, nella Costituzione che più di ogni altra al mondo ha trovato applicazione, informando lo spirito della nostra società civile, e plasmando l'Italia giusta. Le malversazioni del centro-destra, unite al fango ingiustamente gettato su chi lavorava per dare un futuro al paese, hanno generato sfiducia e pessimismo nell'elettorato. No, così non va! Dovete andare a votare!

Ma non ci pensate, ai poveri partigiani? Non pensate che mentre i tedeschi li torturavano con la fiamma ossidrica quelli, serafici nella sofferenza (strano fenomeno, quello che ci fa sembrare sempre lontana e immateriale la sofferenza altrui), stringevano i denti e resistevano per darvi la libertà di smacchiare il giaguaro? Se non votate infangate la loro memoria, sappiatelo!

E c'è bisogno che io vi dica quanto guadagnerebbe la Camorra, dalla vostra astensione? Chi arginerà il suo dilagare, in un paese senza più passione civile, in cui nessuno avrà più voglia di immolarsi come un Falcone o un Borsellino per svuotare d'acqua il mare? Credete forse che la criminalità organizzata campi sulla disoccupazione cronica e sul sottosviluppo di vaste aree geografiche? Vi sbagliate! La Camorra si alimenta del vostro cinico dileggio nei confronti del quasi laureato Oscar Giannino.

Votate, dunque. PD, Rivoluzione Civile, SEL, non importa. Ciò che importa è che vinca la democrazia. Questo magnifico filtro posto fra il popolo, ignorante e rozzo, e chi invece sa come si governa. Non ve lo dimenticate mai.



venerdì 22 febbraio 2013

La democrazia e i suoi cani da guardia


Clamoroso al Cibali! Beppe Grillo, ovvero la personificazione di Belzebù nel panorama politico italiano, ha mandato a fare in culo i giornalisti. Sai che novità, sono anni che il comico genovese - al quale uno spaventoso vuoto politico ha consentito di inventarsi un partito da zero - manda a fare in culo mezza Italia. Ma questo vaffanculo in particolare è stato diretto ai rappresentanti del Quarto Potere. E allora questi fascisti da quattro soldi (sì, mettetevi in testa che i veri fascisti sono loro) tirano fuori l'artiglieria pesante, e ingiungono al popolo italiano di indignarsi. Lo fanno nell'unico linguaggio che conoscono, ovvero quello della manipolazione, dell'induzione di riflessi pavloviani sapientemente alimentati negli anni, in quel  laboratorio di fondamentale importanza che è stato l'antiberlusconismo.

"Incredibile, ha paura di domande scomode" titola la Repubblica online. Come se questi signori fossero adusi a farne, di domande scomode. Ma si ricordano ancora come si fanno? Personalmente ne dubito. La verità è che stanno conducendo una guerra personale contro "l'unico personaggio che si propone leader nell'irresponsabilità più totale". E in cosa consisterebbe, di grazia, questa irresponsabilità? Nel servirsi dei media come più gli aggrada? Nel chiudere la porta in faccia a una panoplia di penne già vendute alla concorrenza? Perfino i giornalisti di Repubblica dovevano averlo capito, che il M5S è qualcosa di nuovo, e che il suo leader non ha bisogno di loro. Lo hanno capito, tranquilli. Non lo accettano.

Perchè a questi gliene passa per il cazzo del diritto di cronaca, ma sono abituati a dare del tu al potere, a entrare e uscire dall'ufficio del Megadirettore senza chiedere permesso. La questione sta tutta là. Anzi, peggio, questi credono di avere un ruolo: quello di ratificare la legittimità di una leadership, di una proposta politica, di una lista elettorale. Sono i cani da guardia della democrazia. Si tengono cari i partiti tradizionali, ormai vergognosamente privi di contenuti e inerti, e comprensibilmente ben disposti verso chi li mette in condizione di non fare una figura di merda al giorno. Sobri e misurati nei confronti di chi ha avallato e ancora avalla politiche socialmente criminali, si indignano con chi parla agli Italiani di realtà, usando gli unici toni che questa realtà, prodotto a cui i pennivendoli hanno contribuito in modo sensibile, consenta.

Non sto facendo campagna elettorale per Grillo, sto semplicemente evidenziando il motivo per cui alle prossime elezioni il M5S prenderà una valanga di voti, certamente di più di quanti non gliene assegnino gli onnipresenti sondaggi, sui quali (insieme ai comunicati stampa delle questure) si basa ormai una parte significativa dell'informazione italiana. Quando quel signore a cui tutti danno del fascista dice che la vecchia politica è putrefatta, il giornalista piddino o affine trema nelle ginocchia. Vede messi in discussione, in pericolo, il suo prestigio, il suo tenore di vita, la sua funzione sociale. Lui, da necrofago qual è, la vuole proprio putrefatta, la politica. E quando arriva qualcuno che dice chiaro e tondo di voler seppellire la carogna, si mette ad abbaiare. Non fatevi fare fessi. Il cane guarda il cancello del padrone. E quel padrone, cari i miei precari, operatori di call center e morti di fame assortiti, non siete voi.

Degli uomini, degli dei e del Mago Zurlì


Amici, compagni, cittadini; compatitemi, se potete. Mentre il nuovo avanzava, io retrocedevo. Mentre una storia già scritta si faceva il trucco per ripresentarsi sotto mentite spoglie, come una vecchia puttana ormai inchiavabile che rinnova il look per non farsi riconoscere, io mi infrattavo nei meandri della minorità. Ti conosco, vetusta meretrice, non mi freghi. Da qui non esco. Sì, lo ammetto, mi avevi quasi fatto quando ti sei girata di culo, ma era destino che prima o poi dovessi ammiccare, è prassi puttanesca consolidata; ed è lì che ti ho sgamata. E arriva un punto in cui bisogna avere la dignità di preferire un dignitoso onanismo, un sano solipsismo sessuale, al coito con una casa caduta culona. Sì, mi piacciono le allitterazioni.

Ma di che sto parlando? Facciamo marcia indietro. Ultimamente ho letto un bel libro, che consiglio a tutti: Uomini come dei, di H.G. Wells. Quello de La macchina del tempo, La guerra dei mondi e L'uomo invisibile. In Men like gods (naturalmente l'ho letto in lingua originale, nel mio anfratto di minorità si parla inglese) un giornalista londinese che scrive per una testata moderata e decadente all'inizio degli anni '20 decide di prendersi una vacanza. Non sopporta più il suo direttore, un uomo petulante finanche nel cognome (Mr. Peeve), e non sopporta più il giornale, espressione di un punto di osservazione vecchio, superato. La pace costruita a Versailles è chiaramente instabile, Mr. Barnstaple lo sa bene, dal momento che la gran parte degli articoli pubblicati dal Liberal consiste in invettive contro questo o quel paese straniero. In poche parole, Mr. Barnstaple è esaurito. E allora si mette in macchina e parte.

Al volante del Pericolo Giallo (perfino nella scelta del soprannome della sua automobile si riverbera la paura che attanaglia l'epoca in cui vive), il nostro inizia a guidare più o meno senza meta. E siccome le cose migliori si trovano sempre quando non si cercano, Mr. Barnstaple finisce in quella che i nerd chiamano una curva spazio-temporale (credo), ed è catapultato in un universo parallelo. Questo mondo è simile alla Terra, per molti versi, ma molto più evoluto, essendo circa tremila anni avanti. Mr. Barnstaple si sente paradossalmente a casa, su Utopia, a differenza di altri terrestri che percorrevano la stessa strada nello stesso momento, ed erano quindi finiti su quello strano mondo con lui. Lì, fra uomini così evoluti da sembrargli divinità, trova le risposte che la cultura decadente della Terra, da poco uscita dall'immane massacro della Grande Guerra, non riesce a darsi.

Ecco, vi dicevo del mio anfratto di minorità. Siccome non conto molto sulla possibilità di finire in una curva spazio-temporale, la mia Utopia io cerco di ritagliarmela dal mondo che ho a disposizione. Un mondo, va detto, non privo delle sue meraviglie. Per esempio, sul sito dell'Ansa si dà la parola al Mago Zurlì, il quale ci assicura che Oscar Giannino non ha mai partecipato allo Zecchino D'Oro. "E 'sti cazzi non ce li metti?" direbbe qualcuno più volgare di me. Mamma santa, come va piano l'evoluzione. Non quella biologica, naturalmente non parlo di quella. Parlo dell'evoluzione culturale della specie umana. Fra il monoteismo totalitario e patriarcale dei nostri antenati e gli uomini come dei di Wells si frappongono Giannino, il Mago Zurlì, il Partito Democratico e tante altre creature da bestiario che potrete ben immaginare. E allora compatitemi, se non capisco che cazzo andate dicendo; io mi sono chiuso nell'anticamera di un futuro che non vedrò mai.

giovedì 21 febbraio 2013

Il sussidiario, il passato e il futuro.


Quando frequentavo le scuole elementari, ovvero in quella remota epoca in cui i pullman a Napoli erano ancora verdi e le automobili non erano disegnate da persone con seri problemi mentali, c'era il sussidiario. Oggi i bambini studiano su testi appositamente creati per stimolare la loro fantasia, la loro creatività, un apprendimento partecipato e rispettoso della personalità del fanciullo; come se alla fine del suo percorso di studi non lo aspettasse un merdosissimo call center, o qualcosa di peggio. All'epoca mia se ne fottevano della personalità del fanciullo. I maestri e le maestre di scuola erano tronfi del loro autoritarismo, mica come oggi che gli aguzzini della specie umana si nascondono dietro espressioni come "riorganizzazione aziendale" quando ti mandano per stracci. Era un'epoca intrisa di un conservatorismo ruspante, per certi versi anche apprezzabile, col senno di poi. Il sussidiario, dunque, era espressione di un'idea  palesemente fascista dell'istruzione. Insomma, a noi ci mancava il moschetto.

Sul sussidiario c'erano un sacco di figure. Ed erano disegnate benissimo, in uno stile che era l'equivalente grafico della poesia di D'Annunzio, d'accordo, ma che non mancava certo di impressionare il fanciullo. Quando vedevi Carlo Pisacane rappresentato come un gagliardo giovane in camicia bianca e braghe gialle, con un fazzoletto rosso al collo, la postura perfettamente eretta e la faccia rivolta al sole (immagine fascistissima, come evincerete dalla canzone che mi sono permesso di linkare), come facevi a dubitare che fosse un eroe? E non parliamo di Garibaldi, effigiato in veri e propri santini. Ma dove si sbizzarrivano davvero, questi italici illustratori, era sull'antica Roma. Mai l'imperialismo fu dipinto con colori così sgargianti, un tripudio di rossi, di gialli, di verdi...

Ebbene, filtrato attraverso queste immagini, il passato sembrava in qualche modo migliore del presente. "O brave old world, that has such people in't" direi, parafrasando un celebre passaggio de La tempesta di Shakespeare, se pensassi di essere letto da persone colte e raffinate, invece che dai quattro stronzi che mi merito. Non vi offendete, lo sapete che scherzo e che vi voglio bene come se foste uguali agli altri bambini. Insomma, questo cazzo di sussidiario ti dava l'idea che il passato fosse irrimediabilmente migliore del presente e del futuro. Bisognava solo volgere il guardo all'indietro per trovare risposte a qualsiasi domanda. Insomma, per i tristi dottori che compilavano questi grevi compendi, questi loculi dell'intelligenza umana, la Storia era o doveva essere una linea retta. 

Molte miglia ho percorso da allora. E se le chiamo miglia, e non chilometri, c'è un motivo. Io ho avuto una grande fortuna: quella di venire a contatto con la civiltà anglosassone (e britannica in particolare), con la sua ironica impermeabilità a qualsiasi forma di retorica e acritico attaccamento al passato. Voglio capire la realtà, non ammirarne un magnifico e suggestivo travisamento.

Non così, mi pare, una considerevole fetta della sinistra antagonista italiana, pervicacemente aggrappata ai suoi santini "laici" e alle sue parabole "evangeliche". Certo, guardandoci indietro vedremo idee, esperienze, personalità capaci di creare profonda ammirazione, compenetrazione, senso di identità. Ma se tracciamo a partire da quell'eredità la linea retta di cui sopra, non andremo lontano. Continueremo a ripetere gli errori che hanno portato l'enorme e variegata area ideologica del Socialismo sull'orlo dell'estinzione, almeno nel mondo occidentale. Dobbiamo andare oltre il sussidiario. Dobbiamo studiare il futuro, non il passato. E il futuro non si ammira, si fa. Speriamo solo che gli illustratori di domani ci raffigurino un po' meno brutti di quello che siamo.

sabato 16 febbraio 2013

Conversioni


Premetto subito che Sanremo non lo guardo mai. Non mi interessa, perchè non mi riguarda. Come la Chiesa cattolica. Io non sono di quegli atei che non mettono bocca su chi dovrebbe essere il prossimo papa, o se un determinato cardinale ha fatto bene a dire questo o quello. La Chiesa è dei fedeli. Fin quando non si rende protagonista di indebite ingerenze nella vita pubblica, che dicano quel che vogliono. Il Festival di Sanremo è il tempio della canzone italiana, un'espressione culturale che io trovo remota dalla mia sensibilità e dalla mia visione del mondo. Che me lo guardo a fare?

Eppure, si tratta di un evento così seguito e pompato dai mezzi di comunicazione che è inevitabile restare investiti dall'esplosione dell'immancabile polemica. Quest'anno abbiamo Raiz e la sua conversione. Sarò forse poco serio, e attirerò su di me le ire di certuni (e dico certuni) se confesso che la storia dello Shabbat mi ha fatto pensare a quel personaggio del Grande Lebowsky che finge di essere ebreo, e si rifiuta di fare qualsiasi cosa di sabato. Voi credete veramente che nel terzo millennio, in un paese occidentale e per giunta figlio di buona mamma come l'Italia, un uomo adulto possa sentire il richiamo spirituale di una religione rivelata, e convertirsi ad essa? Io no. Capisco chi in una determinata fede ci è nato, chi da bambino è stato esposto alle suggestioni della pratica liturgica, quell'ultimo rifugio dell'amore incondizionato e della gregarietà che rimane ai popoli; non capisco, e ritengo ipocrita e opportunista, chi ha raggiunto il successo cantando determinati valori per un determinato pubblico, e si dedica al borghesissimo ufficio di conservarlo praticandone altri. Uno che ha fatto i dindini cantando "Figli di Annibale" non è credibile come partigiano del popolo "eletto".

Un'osservazione abbastanza banale e scontata, quest'ultima. Ma allora perchè si è convertito, il nostro Raiz? Provo a indovinare. Perchè la sinistra ha seguito una parabola simile. Questo era il festival di Fabio Fazio e Lucianina, ricordiamocelo. Se non siete proprio dei giovanotti imberbi, saprete bene che una volta Sanremo aveva un'impostazione chiaramente conservatrice. Lo faceva Pippo Baudo, e non si sentivano battute sulla "Jolanda" e sul "Walter". Era un ottimo prodotto per la massaia italiana, per il pensionato, per la piccola borghesia. Era pieno di dignitose cariatidi, ingessato, formale. Era, in sostanza, un prodotto onesto. Mi pare che la linea sia cambiata. Non seguendolo, non saprei dire a partire da quando, e con quale rapidità, ma è chiaro che questo festival non è più quello che non guardavo da ragazzo. Fazio, Litizzetto, Elio e le Storie Tese, Alma Megretta... Insomma, questo è un festival "di sinistra". 

Non mi lancerò in analisi approfondite e documentate, che non sono in grado di fare. E non ne ho neanche voglia. Vorrei solo che visioni del mondo incompatibili non invadessero l'una lo spazio dell'altra. Io credo nell'Umanità, e pertanto non posso credere in dio. Documentatevi, è così. Credo nella proprietà collettiva dei mezzi di produzione, nella cooperazione e nel lavoro. Pertanto non posso applaudire Fabiofazio e Lucianina, con Walter e Jolande annesse. Credo che i popoli dovrebbero cominciare a fare la Storia, anzichè subirla. Per questo non ritengo di dover tributare rispetto alle trovate pubblicitarie di un furbacchione opportunista, che si chiami Raiz o Roberto Saviano. A ciascuno il suo. All'ebreo praticante, la sinagoga; al piccolo borghese di cultura cattolica, un novello Pippo Baudo e un festival serio e senza Jolande; e a me, la brutta fine che mi merito.

domenica 10 febbraio 2013

Galantuomini e falsari


Siamo ormai in piena campagna elettorale, e in omaggio al pensiero unico non si parla d'altro che di onestà. Questo valore, perlopiù identificato con un legalitarismo puramente formale, pare destinato a trasformarsi nel Santo Graal di ciò che resta della sinistra. La proprietà non è più un furto, per dirla con Elio Petri: ormai si gioca con le regole del nemico, e chi le infrange si becca il grosso degli improperi da chi, per la sua storia e per l'elettorato a cui si rivolge, dovrebbe rimettere quelle stesse regole in discussione, tanto più in un momento di profondissima crisi del capitale come questo.

Acciocché non possiate accusarmi di essere un pedofago senza cuore, a mo' di parabola vi racconterò un episodio della mia infanzia che sarebbe potuto entrare tranquillamente nel famigerato Cuore (quello di De Amiciis, naturalmente, non quello che un tempo fu pedofago). Un anno il mio babbo decise di fare il presepe, come il sig. Pastorella del terzo piano. Ordunque, mi menò seco a San Gregorio Armeno, dove scelse con cura e attenzione materiali e pastori. Fatto ritorno sui clivi e sui colli dell'Arenella, dove avevamo e abbiamo dimora (e dove, se la politica della scuola in Italia non cambia, temo che morrò de puro viejo, come dicono a Calvizzano), l'abile genitore prese a inchiodare tavolette di legno fra loro. Dopo la base e i lati, sistemò tre pezzetti di legno a forma di zeta storzellata. Io, pargolo e ignaro della vita, protestavo che quello non aveva niente che somigliasse lontanamente a un presepe. Il babbo mi spiegò pazientemente che, per ottenere il risultato finale che avevo in mente, era prima necessario costruire lo scheletro dell'opera. Non mi convinse. Continuò a lavorare da solo, fino a che non dovetti ammettere che mi ero sbagliato. Il risultato finale era un presepe con tutti i crismi. Gli mancava solo l'enteroclisma da dietro, per far scorrere l'acqua vera.

Perchè vi ho raccontato questo aneddoto, anzichè serbarlo per un'eventuale intervista concessa a una qualunque rete Mediaset quando batterò il record dell'italiano più anziano che vive ancora con mamma e papà? Per postulare che l'essenziale è quello che non si vede. Il legno sosteneva il sughero e il muschio usato per ottenere le montagne, e quella specie di zeta sbilenca ricoperta di cartapesta costituiva il sentiero percorso dai Magi per raggiungere la grotta. Alla fine, contrariamente a quanto avevo temuto, la struttura in legno era completamente occultata.

Chiamerei adesso in causa Chomsky e i suoi concetti di struttura superficiale e struttura profonda, se non temessi di essere stroncato e umiliato da una mia collega e commilitona, assai più versata nella scienza del linguaggio del vostro Bradipo, e che talvolta ne legge i vaneggiamenti. E allora lasciamo in pace l'insigne linguista, intellettuale e attivista americano, e rivolgiamoci al nostro Totò. E scusate se è poco. Ora, se non avete mai visto La banda degli onesti, guardatelo al più presto, e tornate a questo umile scritto solo quando avrete colmato la vostra grave lacuna. D'ora in poi darò per scontata la vostra conoscenza di tale superba pellicola. Ebbene, cerchiamo di identificare la struttura profonda (ovvero il significato) della storia, guardando oltre la struttura superficiale di battute e gag (mannaggia a Bubbà, mi sono distratto! Che Chomsky e chi ne fa le veci mi perdonino!). Il guardaporta Antonio Buonocore, minacciato di licenziamento dal corrotto ragioniere Casoria, decide di approfittare del rinvenimento fortuito di alcuni clichet del Poligrafico di Stato per stampare moneta falsa. E notiamo subito due cose. Innanzitutto, che il perfido ragioniere usa la legge a proprio uso e consumo: propone a Buonocore di infrangerla per il reciproco vantaggio, e a scapito della collettività (questo al paese mio si chiama peculato); ma poi, al rifiuto dell'uomo, si riserva di far notare alla proprietà tutte le infrazioni del regolamento condominiale precedentemente notate. Da una parte il rispetto sostanziale delle regole a beneficio della comunità (Buonocore), dall'altra l'uso strumentale delle regole per ricattare i più deboli (rag. Casoria). La seconda cosa da sottolineare è che i clichet vengono, in un certo qual modo, ereditati da Buonocore, che non fa nulla per guadagnarseli, se non trovarsi al capezzale del signor Andrea. Non so se cominciate a rendervi conto di che grande cinema si faceva una volta in Italia. 

A questo punto Buonocore cerca dei complici. Lui ha il mezzo per produrre ricchezza, ma non può farlo da solo; ha bisogno di manodopera specializzata. Ebbene, Lo Turco è il candidato perfetto, con la sua Pedalina che dovrebbe fare cento copie al minuto, ma ne fa cinquanta al giorno, per mancanza di lavoro. Per lavorare, Lo Turco ha bisogno di Buonocore, dei suoi clichet e della sua carta filigranata. La scena del bar, in cui il portiere espone al tipografo la sua rudimentale ma essenzialmente corretta versione del modello di accumulo, è la chiave di volta di tutto il film. Il senso, la vera morale della storia, sta tutta in una sola parola: "adeguarsi". Ma questo vorrebbe dire vivere a spese della collettività, esattamente come fa il rag. Casoria; e allora entra in gioco Michele, che non a caso è figlio di Buonocore, e che rappresenta chiaramente, con la sua integrità perfino troppo accentuata, la speranza che una nuova generazione si contrapponga alle logiche esistenti. Il fatto che sia un finanziere è significativo: si tratta di un servitore dello stato, di quello stato che dovrebbe ridefinire i rapporti economici in termini di maggiore equità. Ma si tratta anche di un uomo in divisa, e questo elemento restituisce un po' di equilibrio alla narrazione, al livello della struttura superficiale, evitando che un film diretto a un ampio pubblico venga bollato (e a ragione, secondo me) come sovversivo.

Buonocore e Lo Turco, che nel frattempo hanno assoldato Cardone (un Pinturicchio della prima maniera), riescono a spacciare una sola banconota. Sono troppo onesti per spendere soldi che non hanno guadagnato con il lavoro. Alla fine decidono di sotterrare i clichet, e bruciare il denaro contraffatto. Come banda di falsari, sono proprio la schifezza, osserva Buonocore; ma come galantuomini, ribatte Lo Turco, sono integerrimi. Badate che i soldi falsi li hanno stampati; la legge l'hanno infranta. I loro rischi li hanno corsi. Si sono tirati indietro quando si è trattato di imbrogliare il prossimo. Non è stata la paura, quella l'avevano già affrontata e sconfitta. Quello che ha impedito loro di andare avanti è stato il rifiuto, in ultima analisi, di adeguarsi.

L'Italia, come ogni altro paese sottoposto a un'economia di mercato, è teatro di una guerra all'arma bianca fra galantuomini e falsari. Da una parte il lavoro, dall'altra il capitale. I soldi che ha in tasca il ragioniere Casoria non saranno della "depéndance", come quelli che stampano i nostri Buonocore, Lo Turco e Cardone; ma questo fa di lui un uomo onesto? Non è che alla fine adeguarsi diventa controproducente? Non ci converrebbe batterci per una equa distribuzione dello zucchero e del carbone, e affinchè leggi, norme e regolamenti condominiali non fossero più armi in mano ai ragionieri Casoria, ma ai galantuomini? Per favore, fate in fretta a decidervi, prima che la convivenza forzata con mammina mi trasformi in Giacomo Furia...



mercoledì 6 febbraio 2013

La dittatura dell'opinione


"Io la penso così". Quante volte vi siete sentiti liquidare con questa frase, mentre difendevate una vostra idea con passione e sagacia dialettica? Il vostro interlocutore, convintissimo della propria posizione prima di iniziare il confronto, teme a un certo punto di essere scalzato da quella, e di perdere dunque l'opinione di cui è proprietario. Sì, perchè voi siete di un'idea, lui ha un'opinione. Abbiamo già parlato, in un precedente post, di questa differenza. L'opinione, nel tipo di società in cui viviamo, è un bene di consumo, esattamente come il pane, il latte o la farina. Ce la vendono attraverso i quotidiani, i telegiornali, i programmi di cosiddetto approfondimento. Ciascuno di noi può fare una valutazione dell'opinione che più gli aggrada (che il più delle volte coincide con quella che più gli conviene) e appropriarsene. E per giunta a buon mercato. 

Ora, come funziona una democrazia parlamentare? Che cosa la rende preferibile alla più crudele e sanguinaria delle dittature? Vi immagino spalancare la bocca leggendo queste righe, e chiedervi "ma questo che vuole adesso?" Certo, il Corriere e la Repubblica non parlano di queste cose, o comunque non in questi termini. Vi rifaccio la domanda: che cosa rende preferibile lo stato di cose attuale a quella meravigliosa storia d'amore fra l'italiano medio e il potere chiamato fascismo? E non fate così, sempre a scandalizzarvi. Smettetela di fare i ricchioni post-comunisti, posate la tisana al gelsomino turco e aprite una bella Peroni familiare. Adesso accendete l'interruttore del buonsenso, e provate a seguirmi, se ne avete voglia. E sì, ve la concedo l'ultima chiarificazione che sarebbe inutile, se non foste ridotti come siete ridotti. Ricchione non è l'uomo che va con gli uomini; quello si chiama omosessuale. Ricchioni siete voi, che vi bevete la tisana allo zenzero persiano e vi sentite la musica sfasulata, non vi brucia mai il culo e non sognate mai la dittatura di Mario Merola. 



Orbene, adesso vi dico perchè io ritengo che la democrazia parlamentare, loffia com'è rispetto alla dittatura di Mario Merola, sia comunque preferibile al fascismo: perchè c'è libertà di espressione. Ma con questa libertà di espressione ci possiamo fare della virile birra, e altro che non specifico per non turbare la vostra sensibilità, temprata da gente del calibro di Jovanotti e Fabio Fazio, se non la accompagnamo all'onestà intellettuale. Libertà è partecipazione, cantava Gaber prima di impazzire e morire nel peccato. Ma partecipare non può voler dire fare uno squallido gioco delle parti in cui io dico A, tu dici B, e finisce lì. C'è la tesi, c'è l'antitesi...ebbene, ci deve essere la sintesi. Laddove questa dialettica (hegeliana prima ancora che pedofaga) non si sviluppa in maniera autentica sul piano discorsuale, ci sono due alternative:

1) l'acqua non corre, fa pantano e feta;
2) la dialettica si esplica, merolianamente, in una dimensione apertamente e distruttivamente conflittuale.

Se teniamo conto del fatto che, nelle parole di Jimmy Fontana, il mondo non si è fermato mai un momento, ci risulterà chiaro che l'opzione numero 1 non può essere che una battuta d'arresto, temporanea e deprecabile, nella marcia inarrestabile dell'Umanità verso la verità definitiva, ovvero la realizzazione della propria natura tanto nella dimensione individuale che in quella sociale, non più in conflitto ma finalmente riconciliate e complementari. 

Voi non siete convinti di tutto ciò, lo so. Voi credete nella permanenza, nell'ineluttabile perpetuarsi all'infinito dell'opzione pantano. Credete che pluralismo significhi non già, com'è sacrosanto, il rispetto per tutte le idee e tutti i punti di vista, fino a che non venga stabilità la loro validità o meno; voi credete nel relativismo più assoluto. Credete sia legittimo sostenere una opinione (e ogni volta che scrivo questa parola mi viene qualche fastidioso prurito) a prescindere dall'eventuale sua confutazione. Vi piace il pensiero come prodotto di consumo. E non vi rendete conto che, agendo così, non siete affatto democratici. Mentre voi bevete il vostro infuso di papaya della Groenlandia, il grande capitale assoggetta, invade, colonizza, distrugge, spreca risorse, tortura, e alla fine della giornata gli rimane anche il tempo di produrre l'informazione alla quale vi abbeverate. Oggi potremmo (provare a) fermarlo semplicemente cambiando idea, e di conseguenza modificando il nostro agire quotidiano per renderlo conforme alle nostre convinzioni; domani si rschia che non basti neanche Mario Merola a ridarci il diritto al dissenso. In tal caso, spero per voi che il corporate fascism del terzo millennio non abbia pregiudiziali contro l'infuso di rabarbaro del Madagascar.
 

martedì 5 febbraio 2013

E la sinistra, chi ce la restituisce?


Aridaje, come dicono nell'Urbe. Ci risiamo. Silvio Berlusconi, dopo l'ennesima sparata, è di nuovo al centro dell'attenzione mediatica. Si tratta, mi pare evidente, della vecchia e ben collaudata tattica del fare ammuina per fare affacciare la gente all'uscio di casa. Che è stato? Niente, bello 'e mammà, diremo eduardianamente, ed è inutile che vi mettete a scassare i piatti, perchè qua veramente non c'è niente da capire, oltre quanto abbiamo già detto. Quello che andrebbe capito, invece, è la reazione pavloviana della cosiddetta "sinistra", ossessionata dal Cavaliere al punto di monitorare ogni sua dichiarazione come se non fosse la gioiosa, strafottente espressione di una natura essenzialmente apolitica e amorale. La filosofia di Silvio Berlusconi può essere efficacemente riassunta in una semplice e breve locuzione: i cazzi miei. Berlusconi non fa politica, non l'ha mai fatta. Ha usato le istituzioni che nel nostro ordinamento esprimono il potere politico per garantire a se stesso, alla sua famiglia e ai suoi sodali sicurezza e prosperità. Altro che Falcone e Borsellino: Silvio Berlusconi è il vero eroe borghese.

Ecco qua, lo so che state schiumando dalla bocca, piddini e lettori di Repubblica. Ho scritto una cosa politicamente scorretta. La vostra etica bigotta e puritana, irriducibilmente ipocrita, ha fatto suonare di nuovo il campanello d'allarme. Cattivo Berlusconi. Ttò-ttò a Berlusconi. Va con le donnacce, fa affari con i mafiosi. Dice, Sircana e Marrazzo non andavano con i travestiti? E non sta venendo fuori che gli alti papaveri del PD hanno fatto anche loro qualche imbrogliuccio con il Monte dei Paschi? Sì, ma Berlusconi ha il conflitto di interessi. E sticazzi. Ma cosa volete che importi ai suoi elettori? Saranno anche evasori fiscali, gretti, ignoranti, ma sono sempre più onesti di voi. Votare PD e lamentarsi di Berlusconi è come andare a scommettere sui combattimenti di cani e poi lamentarsi che sono stati truccati.

Il problema non è formale, ma sostanziale. Berlusconi incarna mirabilmente una visione del mondo e della convivenza sociale che in questo momento è assolutamente preponderante. Attaccarlo senza attaccare quella è insensato. Ma mi rendo conto che il concetto possa risultare ostico a una "sinistra" che in fondo si trova più a suo agio nel salotto buono che non per strada o sui posti di lavoro. Una sinistra che è ancora in una certa misura élite intellettuale, e lo rivendica, senza però ambire ad alcun ruolo non dico di avanguardia rivoluzionaria, ma di semplice produttrice di cultura. Quel poco che sforna non è espressione di valori antagonistici, ma semplicemente una versione leggermente modificata delle stesse aspirazioni, le stesse istanze, la stessa ideologia degli elettori del Citizen Kane italiano. Con l'aggravante, lo ripeterò ancora una volta, dell'ipocrisia. Così, sull'edizione online del quotidiano di riferimento dell'area della sinistra moderata, a sinistra hai un sobrio resonconto del baratro finanziario che rende tristemente necessaria la cessione al padrone delle ultime fettine di culo, e a destra una hit parade dei culi più belli del mondo. La sublimazione giornalistica dei meccanismi di alienazione che ci hanno ridotti in questo stato: il tuo culo è nostro, ma eccoti qui un po' di culo salariato.

Ecco allora quello che penso io, che sarò l'ultimo stronzo, ma che non ho peli sulla lingua, nè sui polpastrelli, mentre digito queste parole. L'alternativa a Berlusconi non è Bersani, o Renzi, o Vendola. L'alternativa a Berlusconi è Chavez, è Morales, è Correa. Un approccio diverso alla politica, autenticamente di sinistra perchè autenticamente popolare, orientato alla costruzione di una società diversa. Certo, con le debite differenze, perchè l'Italia non è nè il Venezuela, nè la Bolivia, nè l'Ecuador. Ma se non si riesce a immaginare un paese diverso, che sia fondato sul LAVORO anziché sul PROFITTO (perchè essere di sinistra non può voler dire mettersi le polacchine, la giacca di velluto a coste e la Repubblica sotto il braccio), allora tanto vale votare il campione indiscusso del capitalismo all'italiana. Almeno ci fa fare due risate, con buona pace dei pretini che tanto scandalizza.