mercoledì 15 maggio 2013

Una macchina mostruosa che schiaccia e livella


 E voi pensate che la notte abbia portato consiglio, o almeno ristoro? Macché. Quei dettagli degli stivali dei soldati...

Dunque, riprendiamo il filo del discorso. Ho assistito a un collegio dei docenti, presso la scuola che sta ospitando il mio tirocinio in qualità di futuro insegnante di inglese. Sebbene l'insegnare sia attività che trovo sommamente dilettevole, proprio non mi piace la piega che sta prendendo la scuola come istituzione. Si parla tanto di autonomia della scuola, ma a me sembra che le nostre scuole siano sempre meno autonome, e sempre più schiave di logiche che non hanno una cippa di cazzo da spartire con l'irrinunciabile funzione educativa di una istituzione, per l'appunto, educativa. E allora una domanda sorge prepotente: a cosa serve questa scuola?

Ragazzi, che vi devo dire? Sarà l'insonnia che rende febbrili tante delle mie ore notturne, sarà il mio carattere suggestionabile, sarà il fatto che il gentil sesso m'addita a esempio di somma turpitudine; fatto sta che continuo a essere visitato in sogno da illustri morti. Dopo Eduardo De Filippo e Sir Thomas Wyatt, è stata la volta di Antonio Gramsci. 

L'insigne intellettuale e dirigente comunista era ancora evidentemente scosso per la riunione alla quale aveva dovuto assistere insieme al sottoscritto, sotto forma di citazione affissa al muro. E come poteva, in un simile frangente, rimanere indifferente, proprio lui? Infatti prima lancia una lunga serie di imprecazioni in campidanese stretto, che onestamente non sarei proprio in grado di tradurvi, poi si calma, si mette seduto e comincia a parlare in tono più pacato.

Ora, nessuno potrà mai sapere con certezza se quell'ombra eccellente, quel dottissimo fantasma, fosse proprio Gramsci o solo un prodotto della mia mente, a figment of my imagination, come dicono a Villaricca. Io voglio supporre che lo fosse, e vi riferirò pertanto le sue parole. 

"Studiare in carcere è difficile" mi dice. E se lo sostiene lui, bisogna credergli. "Io, ad esempio, trovavo difficilissimo farlo a San Vittore, dove condividevo una cella con altri cinque detenuti, e per giunta tubercolotici. Fra l'altro, le ore da poter dedicare alla scrittura e alla lettura erano poche, e non ci lasciavano tenere carta, penna e calamaio. Perfino scrivere lettere costituiva uno sforzo non indifferente. Ci davano certi pennini che grattavano orribilmente la carta, e bisognava esercitare una rigida disciplina motoria per evitare di rovinarla irrimediabilmente." 

Annuisco, rapito dai dettagli biografici che mi catapultano nella condizione del recluso. Gramsci continua: "Ma la cosa peggiore non è la penuria di mezzi, bensì la monotonia della routine carceraria." Si autocita: "Come ebbi a scrivere alla mia signora, si tratta di una macchina mostruosa che schiaccia e livella..."

E qui il mio esimio interlocutore comincia a tremolare e dissolversi come un fuoco fatuo, mentre io lo imploro di non lasciarmi, di darmi una risposta, una soluzione. Ma è troppo tardi: man mano che la sua immagine sbiadisce e si allontana, io mi ridesto dal sonno dei giusti per tornare alla mia infausta condizione. Non vedo sbarre alle finestre, il sole splende, e gli uccellini cinguettano. Eppure riderei di me stesso, come il recluso Gramsci lamentava di non riuscire più a fare, se mi si definisse uomo libero. La macchina mostruosa che schiaccia e livella si mette in moto appena accendo la televisione, appena apro l'homepage di un quotidiano online (col kaiser che vi do i soldi del cartaceo!), e funziona a pieno regime in quella specie di penitenziario che chiamano liceo. Certo, io resisterò. Nel mio piccolo, resisterò e proverò a far resistere. Studenti, mettete via gli iPhone e riempite quei quaderni. Quando la storia vi farà l'esame, non fatevi trovare impreparati.

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