Cari amici del Bradipo, oggi non ho niente di cui lamentarmi, nè alcuna osservazione da fare. Del raddrizzamento della Concordia m'importa sega, per cui ho scritto un breve raccontino. Prendete e mangiatene tutti.
La solitudine del ciclope
Dall’anfratto roccioso in cui
aveva stabilito la sua dimora provenivano i fumi dell’arrosto. Si levavano in
cielo in volute arricciate come il vello
dei montoni che aveva ucciso per il suo pranzo, e che riempivano l’aria del
loro acre odore, ancora più penetrante adesso che erano lambiti dalle fiamme.
La brezza alimentava il fuoco, e di tanto in tanto lo faceva crepitare. Quel
suono si mischiava allo stormire delle fronde, al richiamo dei tordi, dediti ai
frizzi e lazzi che da loro esigeva la stagione degli amori, e alle lontane, appena
udibili bestemmie di un pastore che attraversava il sentiero, giù a valle.
Facendo girare lo spiedo sul
fuoco, pensava agli infiniti lutti addotti agli Achei, che a centinaia aveva
ucciso e divorato, nei suoi quattrocentosettantasei anni di vita. Più che il
loro gusto, a cui prediligeva quello dei montoni e delle capre, apprezzava la
loro compagnia. Essi lo sollazzavano con la musica delle loro cetre, lo
intrattenevano con i racconti delle gesta dei loro guerrieri, lo inebriavano
con quella strana bevanda color rubino che né il fiume né le capre gli avevano
mai offerto.
Ripensò a una sera d’estate,
doveva essere stato quasi duecento anni prima, in cui aveva visto un pastorello
intrattenersi con una fanciulla in riva al torrente che scorreva in quella
striscia di terra che andava dai piedi della montagna fino al mare, poche
centinaia di metri più in là. Il giovane l’aveva stretta in una strana morsa,
che la ragazza non sembrava disdegnare. C’era una netta differenza fra quella
stretta e quella con cui lui stritolava
i marinai che facevano naufragio sull’isola, prima di cibarsene. Le loro bocche
si sfioravano, i loro corpi si contorcevano, ma pareva che lo facessero in una
sorta di curiosa armonia. Non capì mai cosa stessero facendo.
Era solo. Non sapeva chi lo
avesse generato. Non aveva mai visto un suo simile. Non sapeva cosa volesse
dire l’amicizia, né tantomeno l’amore. Mangiava, dormiva, inondava il versante
della montagna con le sue pluviali minzioni, e dove depositava le sue gigantesche
deiezioni nascevano querce come gerani. Altro non faceva. Altro non conosceva.
Cominciò a guaire, prima
sommessamente, poi sempre più forte, fino a quando il suo lamento straziante
non saturò l’aria addolcita dalla primavera, fino a quando ogni creatura, dalla
più minuta formica ai maestosi mufloni dalle lunghe corna, non si fu del tutto
ammorbata l’anima. Poi si avvide che i montoni erano cotti, e cominciò a mangiare.
Un morso, un guaito… un morso, un guaito… E così consumò il suo pasto.
Finito che ebbe di mangiare, si
distese sul suo giaciglio di lana e paglia, e si assopì. Sognò di banchettare
con gli uomini che venivano dal mare, di bere anfore e anfore della loro
bevanda prodigiosa che induceva un’ottusa ilarità, e di danzare come loro al
suono della cetra. Poi, in questo suo sogno, accadde una cosa molto strana: gli
apparve una donna, come quella che aveva visto insieme al pastorello due secoli
prima, ma di statura e corporatura proporzionate alle sue. Come lui, aveva un solo occhio, che lo guardava con infinita dolcezza. Cominciarono ad afferrarsi
e strusciarsi come avevano fatto i due esseri umani tanto tempo prima, pensando
di non essere visti.
Quando l’acuto verso di un nibbio
in volo lo svegliò bruscamente, si guardò intorno per cercare quella bizzarra
creatura, ma non vide nessuno. I resti dei montoni erano sparsi intorno a lui;
altri segni di vita non era dato scorgere, fin dove arrivava la vista. Guaì a
lungo, e a ragion veduta. Si percosse il petto, ed emise un ululato lancinante.
Aveva capito. Quel sogno gli aveva rivelato la natura della sua condizione.
Aveva capito che il destino del ciclope è la solitudine.
E fu con questa consapevolezza
che il ciclope Claudio Pellegrini III scrutò l'orizzonte, con quello sguardo
azzoppato dal destino, nella speranza di scorgere una vela in lontananza. Ma il
mare gli rese solo il riflesso di un sole che splendeva a prescindere da ogni
cosa, nel cielo terso del Peloponneso, solo come il suo occhio nella spaziosa
fronte, solo come lui...
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