Ieri a Genova l'acqua ha travolto una persona, uccidendola. Nel 2011 c'erano state altre vittime. Da allora, secondo le chiacchiere che si sentono in città, niente è stato fatto per riassestare l'equilibrio idrogeologico della città ed evitare ulteriori tragedie. Si parla talvolta, di fronte a fenomeni metereologici di violenza inusuale, di imprevedibilità ed eccezionalità. Se ci si ragiona da un punto di vista meno infantilmente antropocentrico, si capisce invece con molta facilità che non c'è assolutamente niente di imprevedibile in un'esondazione: l'acqua non fa altro che seguire la sua natura, la sua logica.
La prima reazione allo straripamento di un corso d'acqua è in genere quella di invocare la costruzione di nuovi argini, più alti e solidi dei precedenti. Questo vuol dire applicare all'acqua la logica delle società umane, una logica di repressione e sopraffazione. Come se l'acqua si potesse intruppare, incarcerare, privare del diritto a scorrere. In alternativa l'uomo si arrende e dichiara stato di allerta, una sorta di bandiera bianca alzata davanti a un presunto nemico che in realtà nutre la più completa indifferenza nei nostri confronti.
Non sono un metereologo, ma non credo sia necessario essere posseduti e ispirati dallo spirito del Colonnello Bernacca per dire che imparassimo a cooperare, a dialogare, a negoziare con l'acqua, nessuno morirebbe più di una morte così assurda. Se offrissimo all'acqua la possibilità di seguire percorsi a lei riservati, togliendo di mezzo un po' di cemento, di laterizi, di pietra, in buona sostanza di ostacoli che stizziscono, indispettiscono l'acqua e ne fomentano la violenza, questa fluirebbe placida, collaborativa e generosa.
La difficoltà è pedagogica. Crea le condizioni per l'apprendimento di strategie nuove, modi diversi di porsi di fronte all'esperienza e risolvere i problemi. Le autorità cittadine sembrano non aver appreso niente dai morti del 2011. Oso azzardare l'ipotesi che non apprenderanno niente neanche dal morto di ieri. Non possono capire l'acqua, troppi argini costringono il loro pensiero. La soluzione non è nella logica del potere, del dominio, dell'annullamento; è nella logica dell'acqua, di quell'elemento irriducibile che tanto ha da insegnarci.
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