sabato 29 agosto 2020

Complotti e non...

 

 Buongiorno a tutti. Il mese di agosto sta finendo, settembre si avvicina, e con esso la riapertura delle scuole, per la quale tanto si stanno impegnando una pluralità di soggetti, dalla ministra ai presidi, fino ad arrivare ai soldati semplici di questo gaio esercito, gli insegnanti. Se il 14/09 è ormai dietro l'angolo, comunque abbastanza vicino è l'autunno, con la prossima ondata di influenza stagionale. Combiniamo questi due fattori, e aggiungiamoci lo stile comunicativo e la linea editoriale della maggor parte dei mezzi di informazione, e l'unico risultato possibile è il panico. Se questo ragionamento è tanto trasparente quanto scontato, ci si potrebbe chiedere per quale motivo i timonieri della nave dello Stato puntino dritto dritto contro l'iceberg, anziché virare con decisione. Bene, prendiamo le mosse da questo dubbio.

Ora, sappiamo bene come chiunque sollevi dubbi sul modo di inquadrare tutta una serie di eventi e fenomeni (dei quali il covid è solo l'ultimo in ordine temporale) venga immediatamente bollato come complottista. Per questo credo possa essere utile fare una distinzione: quella fra complotti e congiure da un lato, e qualcosa di più sottile e sfuggente dall'altro, che proveremo ad afferrare insieme con la stessa grazia e destrezza con la quale un ubriaco prova ad afferrare una farfalla; dopotutto siete nelle mani di un fesso, non ve lo dimenticate mai.

Orbene, e dico orbene, sappiamo che i complotti non mancano nella storia. Giulio Cesare non è morto cadendo dalle scale, a quanto ci risulta. La Rivoluzione Francese, da un certo punto in poi, non è altro che la cronaca di una serie di macchinazioni e tradimenti, con annessi omicidi.

 

 La congiura delle polveri ha lasciato un'impressione così viva nell'immaginario inglese da essere ricordata ogni anno, il 5 di novembre, con dei falò in cui la gente brucia oggetti non più desiderati. Ma questi complotti hanno tutti una caratteristica in comune: sono scontri fra potenti. Nessuno trama nell'ombra per accoltellare un poveraccio. Forse è questo l'elemento che rende ridicolo il complottismo propriamente detto.

Poi c'è una cosa diversa, che con i complotti c'entra veramente poco, e che  non è facile - almeno per questo fesso - definire in poche parole: chiamiamolo la capacità delle classi dominanti di orientare il discorso pubblico. Una volta si sarebbe potuto parlare di egemonia culturale, ma il mondo in cui ci troviamo a vivere è andato oltre; indebolendo i legami sociali e spingendo a tavoletta il pedale dell'individualismo, lascia i singoli soli davanti a uno schermo, terrorizzati dall'eventualità di rimanere soli, aggrappati all'unica forma di gregarietà che sopravvive ai cataclismi socioeconomici che ormai non ci danno tregua: l'identità di vedute. Siamo animali sociali, dobbiamo sentirci uniti agli altri in qualche modo. Che questo modo sia una comune fede religiosa, politica, calcistica, è poco più che un dettaglio. Abbiamo bisogno di sapere che altri esseri umani vedono lo stesso mondo che vediamo noi.

Naturalmente, l'AD di un grande gruppo industriale o finanziario non vede lo stesso mondo che vediamo noi, mi sembra chiaro. I suoi interessi non sono i nostri, i modi in cui tesse i suoi rapporti sociali e le finalità a cui essi sono ispirati sono profondamente diversi dai nostri. Ma, e questo è il punto cruciale, nel momento in cui queste persone controllano in modo capillare ed estremamente sofisticato il discorso (come è sempre accaduto in tutte le epoche, ma mai in modo così pervasivo), i loro occhi diventano i nostri. Quindi ha perfettamente ragione chi ride delle pur esistenti teorie del complotto, sostenendo che tutto avviene alla luce del sole. Certo che è così. Il punto non è cosa vediamo, ma come lo guardiamo. I giochi di prestigio, si sa, si eseguono proprio sotto il naso del pubblico.

 

venerdì 8 maggio 2020

Nelle mani di Biascica

Cari amici, ho la netta sensazione che il mondo sia oggi conteso fra due categorie di persone, delle quali non so quale sia la più temibile: gli sciocchi e gli amorali. Spesso queste due qualità coesistono negli stessi soggetti. E allora la missione del Bradipo, poiché tra l'idiozia e la sopraffazione, va detto, scarseggia anche l'esprit, è quella di intrattenervi con delle simpatiche arguzie.
Ogni tanto, lo confesso, leggo dei libri scritti fitti fitti e senza figure. Non so quale insana libido mi spinga a farlo, dal momento che viviamo in una società completamente immune alla forza delle idee, ridotte al ruolo di corredo dalla valenza estetica più o meno apprezzabile della inattaccabile etica dei cazzi propri. Mi piace però pensare che sia più serio dare pane al pane, vino al vino, e catene alle catene.
L'osservazione che vorrei fare è piuttosto semplice, e per illustrarla mi servirò di riferimenti a una serie televisiva che forse qualcuno di voi conosce, Boris. Questa serie l'ho amata, perché credo che mostri l'Italia più o meno per quello che è, e ci vogliono coraggio e bravura per raccontare la realtà, e non uno spaccato selezionato e sanificato della stessa. Ma basta con questi toni seriosi, veniamo al dunque without further ado, come dicono ad Atripalda.
Io sostengo che la storia dell'Europa dal 1989 ad oggi possa essere letta attraverso la calzante allegoria della troupe di René Ferretti. Nel 1989, in maniera inaspettata per il general public, come si suole designarlo a Cancello Arnone, viene giù il muro di Berlino. La notizia viene raccontata con trionfalismo, anche con una certa commozione di contorno, nella migliore tradizione di quella che nella parlata dell'agro nolano viene chiamata human interest story: la Germania è di nuovo una, uomini con tagli di capelli che necessitano di spiegazioni si abbracciano, le donne piangono, i giovani mostrano euforici i pezzi di sfravecatura che hanno preso al fu-muro come tanti scalpi, e le parole "libertà" e "democrazia" riecheggiano in ogni dove. Era successa una cosa molto semplice: qualcuno aveva gridato "apri tutto, Biascica!", perché la poetica del maestro in quel momento lì era la completa apertura. Ricordate la fotografia di Beautiful? Ecco, quella era la politica del neoliberismo degli anni '80, del "abbiamo l'esclusiva", del passaggio da una società densa di rapporti umani regolati e vincolanti in quanto carichi di aspettative, a una società sempre più fliuda e, infine, liquida.

Gradualmente, com'era inevitabile che fosse, ad aprire tutto, a inondare di luce un set pieno di attori cani, è venuto fuori il brutto. La soluzione è stata semplicissima: quando il dottor Giorgio faceva qualcosa di moralmente reprensibile, in realtà non era lui, ma il suo gemello cattivo. Il gemello cattivo in questione è stato chiamato, a turno o in sincrono, "fascista", "razzista", "sovranista" e via discorrendo. Strutturalmente, le stesse identiche politiche creavano la società più aperta alla differenza della storia della modernità e il degrado più abietto delle periferie, ma chi osava suggerire che, forse, si poteva anche pensare di chiudere un po', veniva immediatamente coperto di improperi, come fa  sempre Biascica con Lorenzo, lo stagista che è molto più competente di lui e di quasi tutti sul set, e proprio per questo è universalmente antipatico.

Tutto questo dare addosso a Lorenzo ha quindi un presupposto: la mancanza di professionalità e di etica professionale della troupe. Se tu a Duccio dici di aprire tutto, lui apre tutto; se gli dici di chiudere, lui chiude. Alla fine gli è indifferente. Le sue priorità, come sa bene chi conosce la serie, sono altre. Ultimamente, in modo inaspettato come era successo nel 1989, perché certi processi non sono visibili da vicino, ma solo in prospettiva storica, a Biascica è stato detto di chiudere tutto. A quella stessa regia che prima non si peritava di trasformare il set in un bagno di luce è parso opportuno regolarsi così. Adesso, se rivolete la luce, dovete accettare la poetica del maestro, la dovete smettere di rompere i coglioni. Intanto, ci hanno lasciati in mutande, come Lars von Trier. Per favore, non dite più che un'altra televisione è possibile, o il dottor Cane ci manda tutti per stracci.

lunedì 27 aprile 2020

Winston Smith col mandolino


Si sbagliava di grosso il rag. Filini quando ingiungeva a Fantozzi di "smetterla con quel mandolino, se no ci cacciano". Le strimpellate sul balcone, i "ce la faremo" (salvo poi sputare al passante di turno, si intenda), i tricolori e via dicendo sono graditissimi alle nuove classi dirigenti, che talvolta parlano tedesco, talvolta inglese, e talvolta anche italiano, ma con l'accento di Harvard. 

Cosa voglio dire? Voglio dire che mentre noi, con addosso la paura che sfocia nel ridicolo tipica del servo, infornavamo pizze mal lievitate e cantavamo in modo penosamente approssimativo Bella Ciao, c'era tutta una classe di persone che non era chiusa in casa, ma decideva, colà dove si puote, dove portarci.

Per chi non lo sapesse, Winston Smith è il protagonista di 1984, il capolavoro di George Orwell. Questo grigio ometto di mezza età, "giornalista" al servizio della menzogna, a un certo punto della sua vita non riesce più a tacitare la sua coscienza critica, il suo senso morale, e si ribella alla dittatura totale e panottica che gli è stata imposta. Insieme a una donna, con la quale sfida uno dei tabù più atroci del mondo in cui ha avuto la sfortuna di nascere, quella della proibizione dell'amore, trama contro l'ordine costituito. Purtroppo per lui, l'organizzazione alla quale si era affiliato per rovesciare la tirannide del Grande Fratello era un'esca: Julia e lui vengono arrestati, e Winston è sottoposto a orribili torture, che culminano in un lavaggio del cervello.

Ora, chi ha letto il libro si accorgerà che ci sono dei punti di somiglianza fra quella storia e l'attualità, anche se la nostra situazione mescola il comico al tragico come i migliori film di Monicelli. Andiamo dunque a elencare questi punti di contatto:
  1. la paura diffusa. Solo che i cittadini di Airstrip 1 temevano la più brutale delle repressioni poliziesche, noi gli starnuti;
  2. la psicopolizia; naturalmente, nella narrazione distopica orwelliana si veniva liquidati, qui ti trollano su Facebook;
  3. la proibizione del contatto fisico. Solo che Orwell si era limitato a immaginare un potere ostile al potenziale di sovversione di una sessualità vissuta liberamente, il metro di distanza non se lo sognava nemmeno;
  4. la penuria di generi di prima necessità: a Winston mancavano le lamette da barba, a noi le penne lisce e il papier hygiénique;
  5.  l'esistenza di un'organizzazione dal potere illimitato che mantiene un controllo assoluto e terroristico sulla popolazione: Ingsoc, il temibile Partito del perfido O' Brien nel romanzo, la comunità "scientifica" dei virologi-soubrettine da noialtri;
  6. la perdita della privacy, compromessa dai telescreens, alla quale Winston sfuggiva chiudendosi in bagno. Noi, che siamo più tecnologicamente avanzati, lo schermo che ci controlla ce lo portiamo ovunque, anche nella toilette;
  7. i due minuti di odio. Il nemico di Winston si può chiamare Eurasia o Estasia, il nostro Giulio Tarro o Stefano Montanari, ma la violenza degli attacchi è la stessa;
  8. l'esistenza di un volto familiare, di un leader paterno che veglia su di noi; solo che il Grande Fratello è un po' come il Megadirettore di Fantozzi, nessuno lo ha mai visto e non è neanche certo che esista; il nostro Giuseppi, invece, lo vediamo tutte le sere come un amico al bar;
  9. infine, come a Winston Smith, anche a noi hanno fatto il lavaggio del cervello. Poiché abbiamo un coraggio paragonabile a quello di Alberto Sordi in divisa, non c'è stato bisogno di torturarci con la corrente elettrica o con un topo dentro un cappuccio; è bastato farci vedere un reparto di terapia intensiva pieno di gente moribonda. Caspita, chi l'avrebbe mai detto che in terapia intensiva la gente muore... 
Bene, ora mi preparo all'arrivo della psicopolizia ripassando un po' il mio doublethink

L'ignoranza è forza.
La guerra è pace.
La libertà è schiavitù.

Era così, no?



domenica 5 aprile 2020

La liceità del cannibalismo

Cari lettori, si sta come d'autunno sugli alberi le foglie. Anzi, peggio, perché le foglie hanno solo due alternative: restare attaccate al ramo o cadere. Gli esseri umani, in quanto appartenenti al regno animale piuttosto che a quello vegetale, ambiscono a vivere piuttosto che, appunto, a vegetare. Abbiamo bisogno di esercizio fisico e intellettuale. Essendo già stato a fare la spesa stamattina, procedo a darmi sfogo di tipo intellettuale. E lo faccio a vostre spese.

Il signore nella foto si chiama Armin Meiwes, ed è noto come "il cannibale di Rotenburg an der Fulda". Qualcuno di voi potrebbe ricordare l'incredibile e grottesco episodio di cui fu protagonista nel 2001, e che ebbe ampia risonanza nei media italiani. Il signor Meiwes contattò su un sito Internet per cannibali chiamato The Cannibal Cafè (sì, esisteva un sito per cannibali, e aveva proprio quel nome) un certo Bernd Jürgen Brandes che, non chiedetemi e non chiedetevi perché, aveva voglia di farsi mangiare. Se volete conoscere i dettagli del loro incontro potete leggerli su Wikipedia. Fatto sta che, dopo aver mangiato Brandes, Meiwes pubblicò un annuncio in Rete per trovare un'altra vittima.

Meiwes non è certo l'unico ad aver praticato il cannibalismo nel mondo sviluppato contemporaneo. Jeffrey Dahmer, il "mostro di Milwaukee", è ritenuto responsabile di 17 omicidi, e quando fu arrestato nel 1991 nel suo congelatore furono trovati pezzi di svariati cadaveri. Quello che colpisce nella vicenda di Meiwes è il fatto che la sua vittima fosse consenziente. Al processo, la difesa di questo insolito gourmet si basò proprio su questo elemento.

La questione che mi interessa sollevare qui, però, non è giuridica. Legale e lecito sono due cose diverse. Quando l'Italia fascista cominciò a collaborare all'Olocausto, chi denunciava gli ebrei nascosti era perfettamente in regola con la legge; la qual cosa non mi impedisce di mettere in discussione la liceità di quel comportamento. L'arbitrio umano può scrivere qualsiasi cosa su un pezzo di carta, metterci una firma e un timbro e renderlo pubblico. Anche in spregio ai più basilari e ovvi principi di convivenza civile.

Questo video, che mi è capitato di guardare stamattina, rappresenta un punto di vista che mi pare simile a quello del cannibale Meiwes: lui era consenziente. Le regole dell'UE le abbiamo decise collegialmente, tu italiano spaghetti baffi neri mandolino devi rispettarle, non puoi fare sempre i tuoi comodi. Badate che il video dei Cartoni Morti è stato pubblicato ieri, in piena emergenza sanitaria globale. Sorvolando sul fatto che Italia, Francia, Germania e così via non sono entità monolitiche e quindi non restano uguali a se stesse nei decenni, per cui può sopraggiungere un nuovo indirizzo politico di maggioranza che ne modifica il volere comune, sorvolando sul fatto che uno stato non è un'azienda che può essere vincolata a un contratto in quanto, pur costituita da una molteplicità di soggetti, rappresenta un'unica personalità giuridica, sorvolando sul fatto che i popoli europei non hanno mai avuto scelta rispetto ai processi di "integrazione" calati dall'alto, resta un elemento ancora più evidente e clamorosamente ignorato dagli europesti: il fine della convivenza è la civiltà, ovvero realizzare insieme quello che da soli non potremmo mai realizzare. Progredire materialmente e moralmente. Condividere esperienze e conoscenze, arte e cultura. Non macellare e cannibalizzare i deboli. Si rendano conto, i sostenitori del "non c'è alternativa", che oggi non c'è alternativa alla solidarietà, se non vogliamo perdere ogni traccia d'umanità. Il cannibalismo potrà diventare pure legale con firme e timbri, ma non sarà mai lecito.

martedì 24 marzo 2020

L'importanza delle parole e il pensiero magico

Buongiorno, compagni di prigionia. Volete sapere come va la mia quarantena? Purtroppo non posso rispondervi. E già, perché io non mi trovo in quarantena e, spero, nemmeno voi. Dicesi quarantena:

Isolamento di persone, animali, cose infette o sospette di malattie contagiose, che in origine durava quaranta giorni. (Hoepli online)

Misura profilattica, oggi spesso superata, consistente nell’isolamento forzato per quaranta giorni di individui, animali o cose provenienti da aree infette o sospettate tali. (De Mauro online)

Dunque, se non siete risultati positivi a un tampone o non esistono altri fondati motivi per ritenere che possiate essere infetti - come ad esempio un familiare già contagiato - non siete in quarantena. Ho capito che le parole si possono usare in un senso non letterale, ma ritengo anche che in certe situazioni sarebbe meglio mettere i proverbiali puntini sulle "i". Gli anglosassoni, che non hanno comunque adottato misure drastiche quanto le nostre, parlano di lockdown, che in parole povere vuol dire "'nzerra chella porta". Gli anglosassoni sono un po' brutali, un po' terra terra, ma anche meno portati al cavillo, alla maliziosa sottigliezza, alla sofisticazione della verità. Dunque, una 'nzerrata generale, non una quarantena.

Ma allora perché noi usiamo questa parola? Innocente estensione semantica o qualcosa di più sinistro? Ovviamente, la risposta giusta è la numero due. Se di quarantena si tratta, chi la viola è un untore. Sei andato a fare jogging? Sei pazzo?!? Devi restare a casa!!! Sei un anziano che si è appoggiato due minuti su una panchina di ritorno dal supermercato, perchè hai ottanta anni e con cinque, sei chili di spesa in mano te la devi prendere con calma? Fila subito a casa, e le scale te le devi fare di corsa! Non vedi che la gente muore? Vergogna!!!!111

Del resto, se i nostri antenati sono stati capaci di far tacere Giordano Bruno e Galileo Galilei, l'uno con il rogo e l'altro con la minaccia, non desta stupore quello che sta succedendo in questi giorni. Chi ragiona non ci piace, mettiamola così. Il nostro dibattito pubblico ricorda ricorda quella scena di un film dei Monty Python in cui, dopo una serie di bislacchi sillogismi, una strega veniva condannata perché pesava quanto un'anatra. Piuttosto che affrontare la realtà di una minaccia sanitaria ma non solo (pensate ai danni economici che il Covid-19 ha causato e causerà) senza colpevoli noti e che probabilmente non è colpa di nessuno, preferiamo affidarci al pensiero magico e illuderci che, se sacrifichiamo la nostra libertà per qualche tempo a una qualche oscura e terribile divinità del contagio, placheremo la sua ira. Io non so se la strategia che stiamo seguendo sia vincente o meno, non lo sa nessuno. Solo il tempo lo dirà. Dunque, prima di tirare secchiate di acqua gelida o bestemmie e insulti a chi transita sulla pubblica via, ci penso mille volte.

Ultima notazione. Come è noto, il sazio non crede al digiuno. Odo, o meglio leggo, genti che fino a non molto tempo fa tuonavano contro il pericolo fascista rappresentato dal primo governo Conte e dal suo reale leader Matteo Salvini, invocare pene sempre più aspre, dare il proprio entusiasta appoccio alla politica dell'esercito nelle strade. Adesso che si sentono minacciati da un virus ancora poco compreso - e quindi inquietante - quanto il sottoproletariato urbano si sente minacciato da un'immigrazione fuori controllo, scavalcano a destra qualsiasi populista conservatore. Dunque, tutti a casa e il primo che esce lo facciamo secco. 

La domanda che mi pongo io, a questo punto, è la seguente: farà più danni il Covid-19 o l'imbecillità animale che sta risvegliando?  E così, fra tanti dubbi, trovo una certezza.

martedì 10 marzo 2020

Nostalgia

 
Cari amici del Bradipo, io sono un giovane maturo. Dal momento che le nevi del tempo hanno tinto d'argento le mie tempie, come cantava Gardel, sogno il ritorno non già della giovinezza, che francamente non si è portata via granché, ma di un'Italia che bella non è mai stata, però viva sì.
 
Qualche anno fa - ma non troppi - Max Gazzè credeva di notare una leggera flessione del senso sociale; un understatement clamoroso. Il senso sociale è finito nel cesso, lasciandoci in uno stato della materia che non è liquido, secondo la nota definizione di Baumann, ma aeriforme.  
 
Sempre per rimanere in tema di canzoni, è la fine del mondo come lo conosciamo. Ne sta nascendo un altro, calato dall'alto su di noi mentre gli aedi di una libertà assurda e grottesca ci distraggono con varie e vacue amenità. E allora io voglio provare a immaginare, in questo momento di difficoltà collettiva, come affronterebbe un'emergenza sanitaria l'Italia di quando ero adolescente.
 
Sicuramente in questo momento gli ospedali non sarebbero al collasso, perché la Sanità allora era finanziata adeguatamente. E se fosse necessario fare degli investimenti per creare nuovi posti letto, si farebbero rapidamente e senza problemi, perché la "liretta" ci consentiva di essere padroni della nostra spesa pubblica. La gente non prenderebbe d'assalto i supermercati né affollerebbe i bar. Non ci sarebbero eccessi né da una parte né dall'altra, perché Mario Pastore direbbe buonasera e spiegherebbe a un popolo decorosamente alfabetizzato cosa sta succedendo e come bisogna comportarsi. 
 
Probabilmente non si sarebbe nemmeno arrivati a una situazione di diffusione ad ampio raggio. I pochi degenti farebbero il loro decorso in quelle tre o quattro regioni con epicentro a Milano, ricevendo cure adeguate. I treni, che essendo nazionalizzati non sono portatori di profitto ad ogni costo, si sarebbero fermati subito. Le autostrade, per la stessa ragione, sarebbero state immediatamente chiuse. Saremmo a casa in via precauzionale, e ci dovremmo sciroppare quantità industriali di Pippo Baudo e affini, ma in seconda serata ci sarebbe Arbore che fa ridere. 
 
I coglioni, gli eccentrici, i cialtroni, sarebbero tutti in quarantena al Maurizio Costanzo Show, dove verrebbero perculati come di dovere. Non diffonderebbero, non potrebbero diffondere fake news, non mentre i TG nazionali danno le notizie in modo chiaro, trasparente e in italiano corretto, per la miseria. Ed io, cari lettori, aspetterei che si faccia una certa ora per sperare di vedere il faccione di Lino Banfi fra le tette di Edwige Fenech. Dall'Italia che ci piace è tutto. Passo e chiudo.
 
 

lunedì 9 marzo 2020

Il paziente zero




Carissimi avventori di questo luogo sicuro perché tutt'altro che affollato, buongiorno. Mi credevate morto, anche io mi credevo tale, ma eccomi qua. Torno perchè me lo chiedono, a dispetto della mediocrità della mia scrittura e del mio pensiero. E come, adesso che abbiamo tanto tempo libero non ci vogliamo intossicare un po' con discussioni inutili e astio immotivato? Non dovrei dare qualche riga in pasto al vostro analfabetismo funzionale? Se non mi coglie il virus, cosa mi farà pentire di essere nato, in questa idilliaca situazione in cui le genti se ne stanno alle case loro e nessuno ha modo e agio di rimpermi i coglioni? Ordunque, cominciamo.

Parlavo di idillio, ma in realtà qualcosa che mi ha leggermente irritato in questa situazione c'è. Come sapete, io faccio l'insegnante, ed ho il folle ardire di ritenere la mia professione un contributo utile e necessario alla prosecuzione e alla salvaguardia di quel minimo di civiltà che ci resta. Naturalmente, così non la si pensa colà dove si puote. Pertanto, già da due settimane, mentre i navigli brulicavano di gente e i lombardi andavano su e giù per l'Italia come dei commessi viaggiatori, le scuole in Liguria sono state chiuse. Eccezion fatta per i proventi delle macchinette delle merendine, noi non produciamo profitti. In assenza di provvedimenti da parte delle istituzioni preposte, la popolazione si sobbarcava con ammirevole zelo e senso di responsabilità il compito di arginare l'epidemia con lodevoli iniziative spontanee, quali ad esempio picchiare cinesi a caso nei bar. Ora si sono decisi a fare quello che normalmente si fa quando c'è un'epidemia, ossia circoscriverla con un cordone sanitario. Peccato che ai buoi sia stato praticamente suggerito di scappare prima che la stalla venisse chiusa. 

E di questo voglio parlare. Non vi fate il sangue amaro, tutto insieme. Non ci stiamo ammalando adesso; lo siamo da tempo. Sono vent'anni e più che decliniamo la libertà solo alla prima persona singolare, come se la famiglia umana non fosse una interminabile catena in cui ogni anello è legato a tutti gli altri. Vi sembra una frase intrisa di idealismo d'altri tempi, o iniziate a capire che è veramente così? Si è liberi insieme, o si è tutti schiavi dell'ignoranza, dell'arbitrio, dell'egoismo. Si salvi chi può, come dice don Gennaro in Napoli milionaria, dopo essersi mangiato i maccheroni del figlio. E così Amedeo fa la fame. Si è liberi innanzitutto dal bisogno, dalla fame, dal freddo, dalla minaccia dell'annientamento. Altrimenti non siamo nemmeno uomini, ma animali. Prima si deve essere liberi da, e poi si può essere liberi di. La "libertà" di fare il proprio comodo, esponendo il resto della società al pericolo di un contagio, è in realtà arbitrio.

Smettiamola con la caccia alle streghe. L'abbiamo trovato, il vero untore: non è un giovane tedesco, né un ignaro pipistrello; è un sistema fondato sulla negazione di ogni principio di reciprocità, di giustizia, di compassione, di corresponsabilità. Il paziente zero si chiama neoliberismo.