mercoledì 21 luglio 2021

Il Salvini che si nasconde in te

 

 

Non c'è dubbio sul fatto che quello che detestiamo ci definisce come persone molto di più di quello che amiamo. Dopo vent'anni di Berlusconi l'uomo che ha raccolto il testimone di esponente politico più odiato dalla sinistra è stato questo signore, Matteo Salvini. 

Cosa si rimprovera a Salvini? Innanzitutto, l'atteggiamento xenofobo di chiusura verso i migranti, dipinti come una minaccia per la sicurezza e la prosperità degli gli italiani. Si tende a sorvolare sul fatto che queste paure non sono state inventate di sana pianta dal leader del Carroccio, ma erano e sono presenti nella società italiana, generate da un sistema in cui gli ultimi possono salvarsi solo a spese dei penultimi. Se hai il minimo dubbio, la più remota perplessità sulla sostenibilità di un'accoglienza illimitata, senza se e senza ma, sei razzista, fascista e via discorrendo. 

Un altro argomento contro Salvini è il suo stile comunicativo, che fa appello all'emotività piuttosto che alla ragionevolezza. La Lega trasforma la paura, il disorientamento, la frustrazione sociale in consenso, e questo non solo è moralmente censurabile, ma abbassa drasticamente il livello del dibattito politico.

Bene, facciamo una deviazione. Immaginiamo che al posto dei migranti ci siano gli "untori" e al posto dell'italianità la condizione di vaccinati; ecco che, come d'incanto, fare leva sulla paura è perfettamente accettabile, in nome della "scienza". Ecco che si possono tranquillamente indirizzare gli epiteti peggiori a coloro che minacciano la nostra illusione di immunità (che onestamente non trovo molto diversa dalle fantasie di purezze ancestrali condite da riti mistici in riva ai fiumi). I muri che si deprecavano quando servivano a tenere fuori l'altro (il messicano dagli USA, il siriano dall'Ungheria eccetera) adesso si invocano in formato digitale per escludere l'altro (il non credente nella nostra illusione di salvezza biochimica) dalla vita sociale. 

Lo vedete quello che state diventando? Naturalmente, sarete terribilmente offesi da questo paragone e vi affretterete a puntualizzare che i vostri argomenti sono validi. E perché, credete che il disagio sociale di cui si nutrono  le destre da decenni non fornisca argomenti validi a chi purtroppo lo vive per votare in un certo modo? E se la soluzione si trovasse non in una verità assoluta e, in quanto tale, impermeabile a ogni dialogo, bensì nella comprensione di altri punti di vista? E se si provasse a postulare che una società libera e giusta è una società che si guarda da più di una prospettiva? Perché temo che l'alternativa sia un mondo in cui i muri non si vedono, e proprio per questo sono spietatamente efficaci.

domenica 18 luglio 2021

Il monolocale angusto, i testimoni di Geova e il pensiero circolare

Come alcuni di voi sapranno, sono nato a Napoli ma vivo a Genova da alcuni anni, per la precisione dal 2014. Il secondo alloggio che ho abitato in questa città che ormai considero casa era un monolocale di 25 metri quadri affacciante su una piazza di spaccio del centro storico. Vi garantisco che niente, nell'annetto scarso che passai in quel budello oscuro, era normale. Non deve destare quindi sorpresa il fatto che, in un monotono pomeriggio d'estate, ricevetti la visita di alcuni testimoni di Geova e li feci entrare.

Ora, io non conosco i testimoni di Geova delle altre città (compresa Napoli, dove non ricordo mai di un loro tentativo di approccio), ma i testimoni di Geova di Genova hanno una strana reazione quando li inviti a entrare. Non si fidano. Deve essere uno scenario nuovo, insolito. Voi vi starete forse chiedendo se io avessi sentito una sorta di vocazione, un richiamo da parte di un ente supremo infinitamente buono; niente di tutto questo. Ero curioso di sentire cosa avrebbero detto. Dunque, dopo esserci studiati per qualche secondo con l'uscio di mezzo, finalmente vennero dentro.

Non sbagliai ad accoglierli. Quella fu una delle esperienze più istruttive della mia vita. Come vi ricorda il nome di questo blog, io sono un fesso reoconfesso. Penso di avere tanto da imparare, e quel pomeriggio imparai qualcosa. Sì, perché ogni volta che chiedevo a queste persone di giustificare le loro affermazioni, mi mostravano un passo della Bibbia. In pratica, nel loro testo di riferimento c'era una spiegazione completa e dettagliata di tutta l'esperienza umana. E questo mi sembra ovvio, visto che quel libro è stato messo insieme, editato, espunto e corretto nel corso dei secoli da chissà quante mani e quante teste molte più sofisticate delle nostre. Su quel libro si è fondata una religione che ha conquistato miliardi di persone in più continenti; è ovvio che abbia una certa coerenza interna, e che anche laddove sembra contraddirsi siano state proposte soluzioni per risolvere il contrasto.

La domanda era, in quell'assolato pomeriggio di luglio, e resta sempre la stessa: cosa rende la Bibbia una fonte affidabile? La Bibbia è la parola di Dio, mi venne risposto. A quel punto non c'era più niente da dire. Era diventato ovvio che il motivo per cui queste persone si erano avvicinate a un credo forte come quello che erano venute a propormi era proprio la sicurezza che mostravano nel rispondere a ogni mia obiezione. Non vacillavano mai. Penso che proprio a quello servisse la loro fede: a non vacillare. Ci lasciammo senza che nessuno convincesse nessuno, ma nel mutuo rispetto. Io con il mio rito assolutamente pagano della birretta alle sei, loro con Geova. Non li biasimo. In un certo senso, sono certamente più ricchi di me.

Biasimo, invece, coloro che applicano questo genere di atteggiamenti non già a insolubili domande di ordine metafisico, ma alla conoscenza del mondo sensibile. In quel campo l'unico lume possibile è il dubbio, la sperimentazione, il costruire sugli errori. Una spiegazione di un fenomeno fisiologico non è vera in quanto scritta da qualche parte, come la parola di Geova. L'autorevolezza del più grande scienziato deve necessariamente, in nome della scienza stessa, rinnovarsi giorno dopo giorno nel confronto con ipotesi diverse. Il vituperio, il rifiuto al dialogo, il ricorso a principi di autorità premoderni e indegni della nostra civiltà destano sospetti e preoccupazioni. Perché, vedete, i testimoni di Geova vi fanno una testa così, ma alla fine se ne vanno; i tribunali ecclesiastici e gli inquisitori, una volta che gli abbiamo aperto la porta, si piazzano lì e ci impongono di vivere come dicono loro.

giovedì 15 luglio 2021

Il mattacchione, gli occhiali a raggi X e il sacro rituale liberatorio

 

Cari adepti, seguaci e catecumeni, seguitemi, e vi porterò fuori dalla terra d'Egitto! Il Signore degli Eserciti aprirà un varco nel mare e lo richiuderà alle nostre spalle, annegandovi gli empi nostri nemici! Così è scritto, e così sia!

Scusate, mi sono fatto trascinare, deve essere il clima di questi giorni. Non sono un profeta né un intellettuale di riferimento, sono un mattacchione, e vi racconterò quindi una storia da mattacchioni, traendone un irriverente parallelo con la realtà che purtroppo siamo costretti a vivere da oltre un anno e mezzo.  

Quando i motorini andavano ancora a miscela e i giocatori di calcio erano numerati dall'1 all'11, senza nomi sulla maglia, quando la gente andava in giro nelle Fiat Uno se era figa (se no avevi la 500 o la 126) nel nostro paese circolavano pubblicazioni come Alan Ford, L'intrepido e tante altre. Si trattava di fumetti indirizzati a un pubblico adolescente in un'epoca in cui la sessualità era ancora oggetto di limiti e tabù. Non deve stupirci, dunque, che questi giornali tipo Lando pubblicizzassero gli indimenticabili occhiali a raggi X. Non sto a spiegarvi cosa fossero perché l'immagine lo fa in modo piuttosto esauriente.

Io ero un preadolescente credulone, eppure di fronte a questo presunto prodigio della Scienza restavo un po' scettico. Ammesso e non concesso che fosse possibile a un paio di occhiali proiettare dei raggi X, avrei visto lo scheletro delle donne, mica le vergogne, mi dicevo e dicevo ai miei amichetti di allora. Eppure questi inserti pubblicitari non mancavano mai nelle succitate pubblicazioni. Evidentemente, qualcuno doveva comprarli. La speranza di poter vedere la supplente di chimica nuda doveva essere più forte della voce della ragione.

Oggi che sono un ometto di mezza età e la maggior parte dei miei amici e conoscenti ha i capelli sale e pepe, mi ritrovo di fronte a un fenomeno per certi versi simile. Ci hanno spiegato che questo virus muta in modo rapidissimo, per cui esistono già chissà quanti ceppi sui quali i "vaccini" (che vaccini peraltro non sono) non possono nulla; abbiamo letto degli effetti avversi, talvolta gravissimi, provocati da vaccinazioni di massa indiscriminate che non tengono conto dei fattori di rischio individuali; siamo (o dovremmo essere) consapevoli del fatto che i tempi con cui si è arrivati alla commercializzazione di queste preparazioni sono stati abbreviati rispetto al normale iter; infine, prima di iniettarci il siero benedetto ci fanno firmare una liberatoria. Ora, per come ragiono io questi elementi dovrebbero essere sufficienti a instillare qualche dubbio sulla valenza messianica di siffatte inoculazioni; e invece assistiamo non solo a una disperata corsa alla puntura (fin qui niente di male) ma addirittura al vilipendio di chi preferisce non offrire il braccio all'ago.

Se ne deve dedurre, pare chiaro, che il desiderio di risolvere magicamente un problema che ormai devi avere il prosciutto sugli occhi per non riconoscere come principalmente politico, economico e sociale supera le barriere della razionalità, un po' come il desiderio degli adolescenti di antan di vedere la supplente di chimica nuda superava il buonsenso e la ragionevolezza. Per quanto mi riguarda, mi sembra facilmente deducibile che, di fronte a un successo così travolgente della prima campagna vaccinale, sarebbe stupido da parte delle grandi case farmaceutiche non fare il bis. E lo faranno, il prossimo autunno-inverno, e poi ancora chissà quante volte, perché... sorpresa! Il virus muta!

Chiudo questo testo di dubbio valore formale e contenutistico con due constatazioni dolorose: primo, che sei vuoi vedere la supplente di chimica nuda devi trovare il modo di convincerla a spogliarsi in tua presenza; secondo, che se vuoi uscire dal clima di terrore che ci hanno imposto non hai altro sistema che smettere di avere paura.

sabato 22 maggio 2021

Il dramma di Otello

 

Cari amici, il bradipo è ancora vivo. Certo, fra mascherine e coprifuoco parlare di vita è un clamoroso overstatement, come dicono a Battipaglia, ma sappiate che le mie funzioni vitali sono, grosso modo, nella norma.

Dopo il dramma di Vittorio Elia, che anni fa riscosse un discreto successo, torno dall'oblio per parlarvi di un altro dramma: quello del moro di Venezia. Come forse sapete, io ho il vizio di andare quasi sempre contro il sentire comune e le nozioni condivise; per questo vi dico che Otello NON è il dramma della gelosia, ma dell'integrità perduta.

Sì, tutti conosciamo la famosa citazione sul mostro dagli occhi verdi - la gelosia, ovviamente - che dileggia il cibo di cui si nutre. Ma ricordiamoci che quelle sono parole di Iago, il diabolico antagonista di Otello, che muove i personaggi come marionette attraverso le sue menzogne E allora, come se fossimo in una crime fiction, ricostruiamo gli eventi che hanno portato al delitto, e capiremo la verità.

Otello è un generale dell'esercito della Repubblica di Venezia, pur non essendo veneziano. Al suo servizio c'è un ufficiale, veterano di molte battaglie, di nome Iago. Nel momento in cui resta vacante un posto di prestigio nella gerarchia militare, Otello gli preferisce Cassio, un fiorentino senza molta esperienza come soldato. Insomma, un raccomandato, un damerino forestiero che non ha versato una sola goccia di sangue, né di sudore, al fianco del moro. Questo suscita la gelosia di Iago (certo, è il lui il primo a provarla), il quale architetta un piano per distruggere Otello: gli farà credere che la sua giovane moglie Desdemona, che lo ha sposato contro il volere il volere del padre e le convenzioni sociali, lo tradisce con Cassio. Due piccioni con una fava. 

Per raggiungere il suo scopo Iago sa di dover minare la fiducia di Otello in Desdemona; contemporaneamente, deve creare un motivo affinché Desdemona si mostri empatica nei confronti di Cassio. Deve, insomma, creare un'illusione coerente, credibile, che mandi in pezzi l'amore del suo generale per quella che noi sappiamo essere una ragazza non solo innocente, ma buona d'animo. Ci riesce convincendo sua moglie a rubare il fazzoletto donato da Otello a Desdemona come pegno d'amore. Il fazzoletto verrà poi usato per mettere la pulce nell'orecchio dell'uomo, quando Iago insinuerà di averlo visto addosso a Cassio. Il fatto che Desdemona interceda a favore del fiorentino presso il marito, dopo una rissa fra soldati in cui il primo era stato coinvolto, scatena i sospetti del moro. Questa è la prima picconata nell'edificio dell'amore di Otello: è così che comincia a rompersi l'integrità del suo mondo. 

Certo, da questo momento in poi, la gelosia comincerà a divorare il poveraccio, ma siamo già al terzo atto. Un altro mondo era già andato in pezzi: quello di Iago. Ed ecco che vediamo impazzire di gelosia Otello, i cui comportamenti diventano sempre più bizzarri, fino al limite del grottesco. E poi succede qualcosa di inatteso: Otello recupera la lucidità. Otello, e qui è il punto, non uccide Desdemona in un accesso di rabbia, ma in ossequio a una necessità morale. Soffocando Desdemona, che continua ad amare nonostante tutto, conta di riacquistare la propria integrità. Non si tratta di onore, no. Il vecchio generale afferma chiaramente che Desdemona deve morire, o tradirà altri uomini. Si tratta di giustizia, si tratta di rimettere a posto le cose, di fare pulizia. Il dramma di Otello, quello più vero, quello più atroce, non è il tradimento di Desdemona, ma quello di Iago, che lo spinge a privarsi di quanto di più prezioso ci fosse nella sua vita. Il dramma, insomma, può essere letto come una cautionary tale, secondo l'espressione comunemente usata a Cercola, Volla e San Giorgio a Cremano, che ci mette in guardia contro la menzogna, quel terribile veleno che corrode il tessuto della nostra integrità e ci trasforma in nemici inconsapevoli di noi stessi.