Capita di tanto in tanto che, per uno strano scherzo del destino, di quelli tanto cari a Lina Wertmuller, dagli abissi marini spunti fuori qualche bizzarra creatura dall'aspetto vagamente e inspiegabilmente inquietante. Ricordate, ad esempio, lo squalo preistorico pescato nelle acque del Giappone qualche anno fa? Ecco, capita a volte che dai più profondi recessi delle nostre menti affiorino alla superficie abominii non meno insoliti e mostruosi (nel senso latino del termine). Gli abissi della psiche, come tutti sappiamo, si chiamano "inconscio"; che, come ci spiega Massimo Troisi in Le vie del signore sono finite, significa appunto "in testa". L'inconscio è lì, ben localizzato, studiato e analizzato ormai da un secolo abbondante; eppure seguita a creare equivoci e confusioni. Del resto, è evidente: un conto è sapere che esiste la Fossa delle Marianne, e un altro conoscerla palmo a palmo.
L'inconscio, come abbiamo detto, si trova dentro la testa; ma cosa c'è dentro l'inconscio? Pare che la risposta sia: i sogni. Quando non mangiava strudel o ascoltava Mozart (magari gustandone al contempo le deliziose palle), Sigmund Freud si accomodava nel suo studio in compagnia di donne nevrotiche e le incoraggiava a raccontargli, con dovizia di particolari, i loro sogni. Oddio, che fossero nevrotiche lo sosteneva lo stesso Sigmund, qualcun altro potrebbe ipotizzare che fossero molto più semplicemente infelici, insoddisfatte. Il punto è che, nella rigida società viennese dell'epoca, perdere il proprio contegno anche soltanto per un attimo, in presenza di testimoni, era assolutamente inaccettabile. Una battuta appena sconveniente, una risatina di troppo, una scenata a tavola, specie davanti ad ospiti, equivalevano per quei borghesotti dai rigidissimi colletti a sbroccare. Sono sessista o biecamente boccaccesco se ipotizzo che i problemi di Anna O. si sarebbero potuti risolvere molto meglio e più rapidamente con l'intervento di un gigolò, anziché di un medico? Se invece volessi dar retta alla mia giovanile e ormai accantonata (e con ottime ragioni) indole romantica, direi che forse il problema di Anna O. era di non aver mai trovato l'amore, qualsiasi cosa voglia dire questa frase dal sapore così smielato e retorico. I sogni, per Freud e i suoi seguaci, sono come indizi, prove di un delitto da cui partire per ricostruire il misfatto, e risalire al colpevole. Del resto, se l'infelicità è una malattia, va individuato l'agente patogeno. Io mi abbandonerò invece alla mia indole comico-poetica, da eterno e incorreggibile Pulcinella, e definirò i sogni ingiunzioni di sfratto: quando un pensiero resta per troppo tempo nell'inconscio, il padrone di casa gli intima di fare fagotto. Un pensiero sfrattato dall'inconscio non può fare altro che prendere la mappatella e andarsene a stare dove il Super-Io non gli rompe più le scatole: nei nostri sogni.
Il problema, a questo punto, è che uno vorrebbe anche farlo uscire quel pensiero dal limbo, dalla terra di nessuno che è la dimensione onirica; ma purtroppo lì i pensieri si combinano e si manifestano in base a una sintassi differente. La sintassi della vita da svegli, ben esemplificata dalla sua omologa che regola i nostri idiomi, è lineare (le parole e le frasi si susseguono, sono disposte in base a una sequenza con un ordine preciso) e conforme ai principi elementari della logica formale (se A è diverso da B non può essere anche uguale a B). La sintassi dei sogni è diversa, è un guazzabuglio di elementi che non si capisce cosa abbiano a che fare l'uno con l'altro, si sovrappongono, si confondono, mutano e precipitano gli uni negli altri.
E allora mettere ordine in quel caos risulta arduo; tirare fuori il senso da quell'acquitrino di simboli è un po' come pescare il pescecane preistorico di nipponiche origini.
Affascinato da questo mondo curioso assai, certamente più interessante di quello che mi circonda quando apro gli occhi, cominciai una decina d'anni fa a prendere nota dei miei sogni. Seguendo le indicazioni e le dritte di alcuni siti di dubbia validità scientifica, mi accinsi addirittura a decifrare questi pensieri che migravano a orde dal mio inconscio, come per l'emanazione di leggi razziali, più che semplici ordinanze di sfratto. Sempre, s'intende, in uno spirito rigorosamente pulcinellesco e men che dilettantistico. Le conclusioni a cui mi portò questa attività furono essenzialmente due:
1) Sto diventando forse ricchione.
2) La felicità è sostanzialmente impraticabile.
Sorvolando sulla conclusione numero uno, in quanto trattasi di affermazione che, fra il serio e il faceto, si trova molto più sul versante del faceto, passiamo a commentare il secondo punto.
Quanti fantasmi mi hanno visitato in anni e anni di frenetica attività onirica... Sì, perchè, accortosi evidentemente che prestavo attenzione a tutti quei pensieri sfrattati, il mio inconscio ha progressivamente incrementato il numero di sfratti. Sono arrivato ad annotare oltre un centinaio di sogni, in circa cinque anni; e si tratta solo di quelli che riuscivo a ricordare abbastanza bene da stenderne un resoconto. Dare una sistemazione a tutti quegli sfollati non era un'impresa da poco; sarebbe stato più facile trovare alloggio a tutti i terremotati dell'80. Vedevo le loro facce stravolte da profughi, da vittime della guerra e della fame, ma non capivo le loro lingue. Non potevo andare incontro alle loro richieste, per quanto pressanti fossero. Certo, dialogavo perfettamente con loro nella zona franca della fase REM, ma una volta fuori era difficile dare loro un senso pertinente alla vita "reale".
Questi profughi erano i miei desideri, i miei bisogni, le mie aspirazioni recondite. E c'era lo stesso rapporto fra me e loro che può esserci fra Calderoli e un senegalese che va in moschea a Milano indossando la maglia del Napoli. E allora, d0v'è l'interprete? Come mediare fra due lingue, e due mondi, così diversi? Chi può chiarire il mistero dei sogni?
Agire d'impulso, seguendo il messaggio che crediamo di discernere in quelli, può essere pericoloso. Possiamo ritrovarci nelle condizioni del povero Alberto Saporito di cui sopra, o in quelle di Sigismondo, l'abbrutito tiranno protagonista di un famoso dramma di Calderón de la Barca, anche lui incapace di distinguere i sogni dalla realtà. E così, proprio quando ti sembra di essere riuscito a dominare il corso degli eventi, di aver dato alla tua vicenda una sintassi coerente, anche una forma stilisticamente discreta, rischi di risvegliarti nella tua cella, in catene. A me capita puntualmente, ogni volta che mi faccio un bel sogno. Alla fine non si riesce a capire più se gli occhi sono aperti o chiusi. O forse, come ipotizzava Borges (e qui chiudiamo questa volgare messinscena di cultura letteraria), ognuno di noi è sognatore e sognato allo stesso tempo. Ciò vorrebbe dire che qualcuno sta sognando me... Ih che suonno 'e mmerda ca se sta facenno!
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