martedì 21 agosto 2012
La cicala e le formiche.
Cari lettori, buon pomeriggio. Fa un caldo allucinante, qui a Napoli, oggi 21 agosto. Eppure, come potete constatare, sono al PC per donarvi un altro scampolo di saggezza e acume critico. E sappiate che, fin quando non mi renderete gli elogi che merito, continuerò imperterrito ad autoincensarmi.
Oggi vorrei parlarvi di una favola: quella del self-made man, dell'uomo che fa successo grazie al proprio ingegno e alla propria industriosità. E ve la voglio raccontare partendo da un'altra favola, ovvero quella a cui alludo nel titolo. Nel caso che non la conosceste, eccone un breve riassunto.
I protagonisti della nostra favola sono la cicala e le formiche. LE formiche, al plurale, perchè per consentire a una cicala di fare la bella vita senza alzare un dito, è necessario che tante formiche sudino sette camicie (ovviamente metaforiche, poichè sappiamo bene che le formiche non indossano indumenti). Già qui, come vedete, la favola originale non regge al riscontro della realtà. Come potrebbe una cicala sopravvivere all'inverno con le provviste di una sola formica? Dunque, LE formiche.
Proseguiamo. La formica lavora di gran lena, pensando che in questo modo durante l'inverno non dovrà patire il freddo o la fame. Quando la cicala si presenta alla porta della formica, questa le nega il suo aiuto, e la cicala accetta questo rifiuto. Ecco un'altra assurdità: se la cicala vuole ciò che è della formica, se lo prende e basta, forte della sua stazza decisamente maggiore. Del resto, è proprio il lavoro delLE formiche, come abbiamo visto, che consente alla cicala di fare la proverbiale ricotta.
E allora ecco cosa accade, nella nostra favola alternativa: la cicala crea un enorme formicaio, pieno di formichine, fonti di cibo, e labirinti da percorrere per recuperare la mollicihina di pane e riportarla alla tana. Questo enorme formicaio, per quanto sconfinato, è ben delimitato da pareti di vetro: in questo modo, fin quando una formica non prova ad andare oltre i limiti della propria cattività, non si accorgerà neanche di essere in una prigione. E, di tutto ciò che le formiche accumulano con il LORO lavoro, solo una piccola parte rimane alle nostre amiche, mentre il grosso va alla cicala. Quest'ultima sottrae la ricchezza prodotta dalle alacri operaie con sistemi sofisticati, talmente sofisticati che spesso le formiche non si rendono nemmeno conto di lavorare per arricchire qualcun altro. E comunque, dal momento che la cicala si occupa del formicaio, lo tiene in ordine, e lo riempie di diversioni per distrarre le formiche nelle poche ore di svago, queste guardano al perfido musicante come a una sorta di padre benevolo, anziche come a un aguzzino e uno sfruttatore. E siccome (e questo è il punto più importante) la cicala lascia che alcune formiche accumulino per se stesse qualche mollica di pane in più di altre, queste tendono a pensare che l'arricchimento personale sia il giusto premio del lavoro e del merito. Se una formichina ha di più, è perchè ha trascinato più mollichine nella tana, in virtù del maggior tempo dedicato al lavoro o di una migliore tecnica di trascinamento. E così le formichine si contano le loro mollichine, mentre la cicala accumula pagnotte su pagnotte, con cui costruirà altri mille formicai come il primo.
Ora proviamo a immaginare come vivrebbero le formiche in assenza della cicala. Beh, non è necessario immaginarlo. Sappiamo che la loro organizzazione sociale è una delle più complesse ed efficienti del mondo animale. E sappiamo che, attraverso la cooperazione, riescono a sopravvivere e prosperare come specie, pur essendo fra i più deboli anelli della catena alimentare. La forza delle formiche è nell'unione, nella dedizione al benessere della comunità, e dunque di ogni membro di essa. Nessuna cicala busserà mai alla porta di queste formiche, liberamente associate e votate al bene comune, perchè in tal caso si vedrebbe aggredita da centinaia, migliaia di agguerrite nemiche, e sarebbe scarnificata nel giro di pochi minuti. Formiche e termiti, come faceva notare un naturalista sovversivo di inizio Novecento, hanno rinuciatoalla "guerra hobbesiana", e se ne sono avvantaggiate. Noi, con oltre un chilo di cervello nella scatola cranica, continuiamo a contare le nostre misere mollichine, a vantarci di averne raccolta qualcuna in più e dare del fannullone a chi ne ha raccolta qualcuna in meno. E la cicala, intanto, se la ride e si conta le pagnotte. Fino a quando, s'intende, le formiche non capiranno che non hanno alcun bisogno di cicale e pagnotte, ma solo della giusta quantità di molliche, e di poter contare l'una sull'altra. Quel giorno, se fossi una cicala, non mi farei vedere in giro.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento