Comincio a scrivere questo post mentre la partita è ancora in corso. Abbiamo subito l'espulsione di Pandev e Zuniga, più quella di Mazzarri, e Maggio ha effettutato una involontaria quanto sfortunata deviazione su un cross di Pirlo, mi pare, sul quale De Sanctis è uscito a vuoto.
Per trovare un arbitraggio così grottesco devo fare riferimento a un celebre film, forse il più bello che avesse come protagonista il gioco del calcio: "Fuga per la vittoria". Mi sembra che si stia affrontando la selezione della Germania nazista nella Parigi occupata. Ecco, arriva anche il 4-2 di Vucinic. Ormai si maramaldeggia su un Napoli che si voleva sconfitto.
Siamo abituati alla sudditanza psicologica degli arbitri nei confronti dei club più blasonati, Juventus in primis. Qui però siamo di fronte a qualcosa di più: un match il cui esito era evidentemente deciso già prima del fischio di inizio. Il calcio, lo sappiamo bene, è al 90% interesse economico. E non c'è niente di strano, in un mondo che ha eretto il profitto e la ricchezza a valori assoluti, a divinità da venerare. C'è però un rischio: quello di ridurre questo bellissimo giuoco, e dico giuoco, a una insulsa pantomima. Il calcio non è il wrestling, e non deve diventarlo. Capisco che un successo della Juventus in questa finale pechinese, in uno stadio quasi interamente colorato di bianconero, sia nettamente auspicabile dal punto di vista economico: il calcio vede nella Cina un mercato da conquistare, e per farlo ha bisogno di coinvolgere i novelli appassionati dagli occhi a mandorla. Se la Cina vuole che la coppa la alzi la Juve, la coppa deve alzarla la Juve. Ma noi italiani, che il calcio lo guardiamo e lo seguiamo da sempre, e siamo certo più smaliziati del signor Cheng Li Wang di Canton, di fronte a spettacoli del genere rimaniamo quanto meno perplessi, basiti, propensi alla bestemmia e a un rabbioso quanto vano percuotere il mobilio con pugni e calci. E allora attenti, cari signori faccendieri del pallone, a non perdervi per strada noi, nella vostra folle rincorsa ai soldi di arabi, cinesi e di chiunque altro abbia denari da spendere per assistere a scempi del genere senza esserne disgustato.
Ricordo le mie vacanze a Roccaraso, da bambino. Ricordo il Pratone, e tutti i palloni rincorsi sulla sua erba incolta. Ricordo le partite di tre ore, mia madre che si affrettava a farmi infilare il pulloverino subito dopo la mia uscita dal campo, per non farmi raffreddare. E ricordo il parco "La Pineta", a due passi da casa, con il suo campetto parte in asfalto e parte in terra battuta. Ricordo che una delle porte era l'imbocco di un viale in discesa, e che ogniqualvolta si segnasse da quel lato bisognava anadre a recuperare il pallone chissà dove. Ricordo gli album Panini, il primo abbonamento nel settore "Distinti", a 13 anni, la poesia di Diego Armando Maradona, le poderose accelerazioni di Careca, la grinta di Bagni. Ricordo 90° minuto, la Domenica sportiva, la voce rauca di Sandro Ciotti, l'italiano improbabile di Helenio Herrera, le partite seguite alla radio, con l'immancabile sottofondo del tifo negli stadi stracolmi in ogni ordine di posti. Ricordo la grande professionalità dei giornalisti sportivi.
Ricordo tutte queste cose, e cerco di non pensare a quello che ho visto oggi. Intanto, la partita è finita. E al giouco del calcio, se continua così, non manca molto alla fine.
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