Poco prima di iniziare a scrivere questo post, ho letto uno status su Facebook. Era di una persona che non so neanche come è finita fra i miei amici. Diceva più o meno così: essere contro l'indulto e l'amnistia perchè favorirebbero Berlusconi è sbagliato, perchè i ricchi non sanno neanche cosa sia la galera. A parte il fatto che Berlusconi rischia non certo la galera, ma l'affidamento ai servizi sociali o, in alternativa, gli arresti domiciliari, c'è un'altra serie di considerazioni da fare.
Indulti e amnistie non rappresentano possibili soluzioni del problema carcerario, che si può forse riassumere in una semplice formula: in galera ci sono le persone sbagliate. Questo non per una cattiva applicazione delle norme, ma proprio perchè le norme sono fatte male. La criminalizzazione dei migranti e dei tossicodipendenti ha riempito le nostre carceri di persone che lì dentro non avrebbero dovuto mai finirci. Possiamo svuotarle, quelle carceri, con provvedimenti d'urgenza, ma dovranno passare solo pochi mesi perchè siano di nuovo stracolme, in molti casi delle stesse persone che erano state liberate.
Questo status, con il suo semplicismo e la sua ingenuità, mi ha fatto pensare a qualcosa che mi era capitata sotto gli occhi ieri sera, sempre su quel meraviglioso giardino zoologico del pensiero umano che è il succitato social network. In quest'altro aggiornamento, corredato da una simpatica immagine satirica di Grillo e Casaleggio, si ipotizzava che i due leader dei 5 stelle non dicessero "che la galera è un abominio" per non perdere i voti della classe media. Questa formulazione illustra ancora meglio l'atteggiamento intellettuale di cui vorrei discutere.
Qualsiasi idea filosofico-politica, per essere degna di considerazione, deve nascere da uno studio rigoroso della realtà, e dall'applicazione corretta di dati principi. L'idea che il carcere sia un abominio, che io pure condivido, nasce evidentemente da un'analisi delle cause della sua esistenza, e dei meccanismi che, quando quell'idea ha cominciato a farsi strada, portavano in galera quasi esclusivamente poveri cristi e oppositori politici di regimi autocratici. Dunque, l'idea che il carcere sia un abominio è indissolubilmente legata, in quanto idea filosofico-politica e non mero slogan, all'idea del sistema di produzione capitalistico come sistema di oppressione di una classe sulle altre. Allo stesso modo, da una prospettiva libertaria, potremmo dire che il governo - qualsiasi tipo di governo - è un abominio. Ma pensare che l'abolizione immediata di qualsiasi forma di governo possa essere oggi parte di una qualsiasi piattaforma politica ti colloca di fatto nel campo dell'anarchismo più puro e itransigente, un'idea bellissima, ma politicamente inerte.
C'è quindi un'altra caratteristica che un'idea politica dovrà avere, così ovvia che uno potrebbe credere addirittura superfluo esplicitarla: l'utilità a trasformare la realtà nel senso desiderato. Se oggi abolissimo le carceri, faremmo uscire migranti e tossicodipendenti, ma anche gente che sotterra rifiuti tossici in discariche abusive, ruba il denaro pubblico, taglieggia il commercio al dettaglio e via dicendo. Se vogliamo ragionare, e non ripetere semplicemente formule ideologiche, dobbiamo dire con Thomas Paine che i governi, con tutti i loro apparati repressivi, sono un male necessario. Il giorno in cui si potrà fare a meno di poliziotti, magistrati e galere sarà il giorno in cui non saranno più funzionali alla gestione dell'ordine; o, per dirla in altro modo, il giorno in cui avremo un ordine fondato su altri principi.
Questo ordine, ahimè, non è dietro l'angolo. Provare anche soltanto a immaginare un corso di azione politica che possa mettere in moto un processo di transizione verso un assetto socio-economico più giusto è impresa non da poco. Personalmente dubito che l'ossessiva ripetizione di slogan possa essere utile in tal senso, tanto più quando quegli slogan non fanno presa che su una sparuta minoranza di persone. Quello a cui servono questi slogan è cementare gruppi di opinione già formati, e fornire un senso di continuità a chi non capisce le trasformazioni che gli cambiano il mondo sotto gli occhi, e impreca contro di esse. Le opportunità non saranno riconosciute e dunque verranno sprecate, ma la "nicchia di mercato" resisterà, e i "piccoli profeti" rimarranno in sella al destriero dello sterile primato morale che nutre il loro narcisismo.
E va bene, se è questo che volete, servitevi pure. Continuate a "guardare il mondo da un oblò", e ad astenervi dal ragionamento politico come se fosse il più nocivo dei vizi. In nome della libertà, date l'amnistia al cervello. Ma poi, per pietà, risparmiateci le prediche. Il luogo dei culti esoterici non è la piazza. Non meravigliatevi, perciò, se venite ricacciati sempre di più nelle catacombe.
Questo ordine, ahimè, non è dietro l'angolo. Provare anche soltanto a immaginare un corso di azione politica che possa mettere in moto un processo di transizione verso un assetto socio-economico più giusto è impresa non da poco. Personalmente dubito che l'ossessiva ripetizione di slogan possa essere utile in tal senso, tanto più quando quegli slogan non fanno presa che su una sparuta minoranza di persone. Quello a cui servono questi slogan è cementare gruppi di opinione già formati, e fornire un senso di continuità a chi non capisce le trasformazioni che gli cambiano il mondo sotto gli occhi, e impreca contro di esse. Le opportunità non saranno riconosciute e dunque verranno sprecate, ma la "nicchia di mercato" resisterà, e i "piccoli profeti" rimarranno in sella al destriero dello sterile primato morale che nutre il loro narcisismo.
E va bene, se è questo che volete, servitevi pure. Continuate a "guardare il mondo da un oblò", e ad astenervi dal ragionamento politico come se fosse il più nocivo dei vizi. In nome della libertà, date l'amnistia al cervello. Ma poi, per pietà, risparmiateci le prediche. Il luogo dei culti esoterici non è la piazza. Non meravigliatevi, perciò, se venite ricacciati sempre di più nelle catacombe.
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