Cari amici del Bradipo, scommetto che qualcuno di voi è abbastanza vetusto da ricordare Carosello, quel breve spazio dedicato alle réclame, come si diceva un tempo, ogni sera a ora di cena su Rai 1. Si trattava di pubblicità con vere e proprie sceneggiature, lunghissime per gli standard attuali, che diventavano così popolari da entrare nell'immaginario collettivo. L'olandesina della Miralanza, ad esempio, era sinonimo di pulito. Quando ero bambino, di conseguenza, pensavo che per qualche motivo a me ignoto l'Olanda fosse una terra di lavandaie vestite in modo ridicolo. Tanti spot erano concentrati in quella decina di minuti, in modo da non interrompere gli altri programmi. E questa scelta era vincente: quegli spot erano così ben fatti e gradevoli che la gente aspettava Carosello, accendeva il televisore apposta per guardarlo.
Poi arrivarono i rampanti, roboanti, arroganti anni Ottanta, e la pubblicità cambiò con il cambiare della concezione del vivere sociale. Merdaccia, comprati questa macchina, o non sei nessuno! E beviti il whisky dell'uomo vestito bene che firma i contratti miliardari! E mangiati il cioccolatino che l'avvenente ed elegantissima moglie dell'ambasciatore porta su un vassoio d'argento, e insomma, per farla breve, consuma senza alcuna misura se vuoi sperare di elevarti al di sopra del tuo attuale stato di merdaccia. E non provare a cambiare canale quando c'è la pubblicità, rischi di non scoprire mai chi ha ucciso J.R., e fare una pessima figura dal parrucchiere con la signora Scognamiglio, che non si perde un minuto di una puntata di Dallas, praticamente sta di casa nel Texas. Con gli anni Ottanta, la pubblicità è diventata una liturgia tanto fastidiosa quanto imprescindibile. La pubblicità è la Santa Messa della piccola borghesia italiana nell'era delle "magnifiche sorti e progressive" che succede ai turbolenti, violenti, insanguinati, ma intelletualmente vivi anni Settanta.
A metà degli anni Novanta, dopo che l'egemonia schiacciante di gruppi come Duran Duran, Spandau Ballet e Level 42 aveva segnato una decade di dittatura morale di barbieri molto poco virilmente e patriotticamente assoggettati agli empi disegni della perfida Albione di effemminare e rammollire l'italiche genti attraverso una maniacale, ossessiva cura del proprio taglio di capelli, e dopo le goffe e confuse obiezioni esistenziali di alcuni ragazzotti americani dall'aspetto trascurato e feticisti della flanella, un barlume di speranza si intravede all'orizzonte: Internet. I più tecnologicamente avanzati di noi trepidano al pensiero che, a parte poter conversare in tempo reale con un australiano o leggere della vita privata di un ignoto assicuratore del Delaware, presto potranno passare le loro giornate a clonare carte di credito e guardare donne nude con il loro computer. Mentre una parte non irrilevante del paese si abbandona a un sistematico scempio del Codice Penale e della morale sessuale dei padri, tuttavia, i padroni dell'informazione (che sono grosso modo i padroni del mondo, o comunque a loro contigui) si rendono conto che quello strumento straordinario può essere usato per condizionare l'opinione pubblica. Negli anni Duemila nascono siti di informazione e quotidiani online. Prima all'estero, poi anche in Italia, si intravedono le potenzialità dell'editoria virtuale.
Per la merdaccia che non firma i contratti miliardari e non va alle feste dell'ambasciatore, questo vuol dire potersi informare da più fonti senza dover comprare diversi quotidiani. Naturalmente, l'innovazione attecchisce. Come è facile capire, nel momento in cui io non ti faccio pagare per leggere il mio giornale, mi vengono a mancare le entrate delle vendite dei cartacei. Siccome io sono un imprenditore e non un filantropo, e comunque i giornalisti devo pagarli (una miseria, ma devo pur pagarli) ho bisogno di assicurarmi un'altra fonte di introiti: sempre lei, la vecchia, benedetta pubblicità, che non per niente è l'anima del commercio. Banner ingombranti, video che partono da soli, immagini di automobili e gioielli che fanno lo squatting del tuo monitor, e che sei costretto a visionare se vuoi procedere alla notizia di tuo interesse. Ti tocca, c'è poco da fare.
A questa dura lex si sottraggono solo blog e siti d'informazione gestiti da non professionisti: realtà belle e lodevoli, ma pur sempre realtà limitate nella loro azione e nel numero di lettori che riescono a raggiungere. Privi delle risorse per produrre informazione in modo diretto, per essere insomma fonti di informazione primarie piuttosto che riportare e/o commentare notizie prese altrove, possono complementare il lavoro svolto da professionisti pagati, non sostituirsi ad esso. Questo credo sia abbastanza chiaro e comprensibile. Meno comprensibile mi risulta l'atteggiamento assunto da molti nei confronti di un particolare blog, e di un'altra serie di siti web ad esso collegati, reo di aver infranto una regola aurea della vita pubblica italiana: il consociativismo. In Italia puoi dire quello che vuoi, c'è grandissima libertà di espressione. L'importante è sedersi a tavola con i peggiori farabutti, rimpinzarsi dello stesso pollame rubato, e sporcarsi dello stesso grasso. Il motivo dovrebbe essere essere evidente a qualsiasi persona adulta cresciuta in questo paese, e se non lo capite mi sa che c'è di mezzo o la malafede o una discreta ottusità. E non so quale delle due disprezzo di più.
Bene, eliminiamola tutta questa pubblicità. Avete ragione, rompe proprio i coglioni. Possiamo guardare su Internet gli stessi film che guardiamo in televisione,e senza interruzioni pubblicitarie. Possiamo ignorare i cartelloni pubblicitari che tappezzano le nostre città, e volgere il guardo alle nostre bellezze storiche e architettoniche, che non sono poche. Possiamo, infine, limitarci ad attingere la nostra conoscenza dell'attualità ai nostri siti di riferimento, dove al massimo proveranno a venderci qualche maglietta del Che o cose così. E che fa se non riusciamo a capire che diavolo sta succedendo intorno a noi? Io a tre anni pensavo che in Olanda andassero tutte vestite come l'olandesina della Miralanza. Facciamo tutti un bel carosello, in cui inneggeremo ai nostri bellissimi ideali e grideremo che a quei due brutti ceffi puzzano i piedi. E, come quando ero un paffuto pargoletto, dopo il Carosello tutti a nanna.
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