Dovreste avere ormai capito, cari amici del Bradipo, che sono un estimatore dell'arabo pazzo. Eppure anche lui ha commesso un errore. No, non parlo del fatto che non ha mai usato la brillantina Linetti; il suo errore è stato supporre che gli uomini avrebbero capito che dovevano accettare dio, e allo stesso tempo liberarsene. Ha peccato di ottimismo. Ha sopravvalutato l'intelligenza dei suoi simili. O forse, più semplicemente, ha scritto di quella complessa dialettica, inseparabile dall'esperienza umana, semplicemente per compiere il suo dovere, e fornire un contributo (nel suo caso importante, a mio modestissimo giudizio) alla comprensione dell'umana convivenza e delle sue regole presenti e futuribili.
Il vostro umile servo, pur conscio della propria sconfinata ignoranza e discreta idiozia, intende fare lo stesso. La sua principale motivazione sorge dal prendere atto che, mentre l'uomo (che è necessariamente declinato al plurale) si dibatte nelle sue catene per far ripartire una Storia criminalmente immobile in questi paraggi, dio e i suoi sacerdoti gli si parano innanzi minacciosi, ricorrendo ora al dileggio, ora all'ingiuria, incolleriti dall'apostasia e da quella pluralità conquistata distogliendo il guardo dalla volta celeste, e rivolgendolo ai propri simili; a coloro che una natura mortale, finita, fallace e debole affratella. Dovrebbe destare sospetti la favola secondo cui dio avrebbe creato l'uomo a sua immagine e somiglianza. Personalmente, ritengo molto più probabile che l'uomo, nella meschinità della sua infanzia collettiva, abbia creato dio per proiettare su di lui tutto ciò che gli sfuggiva. Dio è la rinuncia, è la delega, è il non ce la faccio, nun ne tengo 'ncuorpo, nunn'è arta mia.
Accade poi, in tempi e forme diversi a seconda dei luoghi, che l'uomo si rende conto di una verità alquanto impicciosa: la divisione del lavoro lo rende dipendente dai suoi simili. Fino a un certo punto dio, la capa di puorco intorno a cui le mosche ronzano e banchettano, può assicurare la preservazione dell'ordine sociale e della pubblica quiete. E allora sacerdoti, monarchi, dotti, insomma tutti coloro che si servono di dio per raggiungere e mantenere posizioni di privilegio all'interno di quell'ordine, si arrendono alla necessità di ammettere l'uomo al cospetto di dio. Questo, e non altro, è la politica. Una dialettica fra il singolare e il plurale, la norma e l'apostasia, l'astratto e il concreto, l'eterno e il contingente.
La polis è il luogo in cui questo concetto si affaccia nella storia del nostro continente. La radice stessa della parola indica pluralità: pluralità di soggetti, di condizioni, di interessi, di posizioni. L'unico modo per gestire efficacemente questa pluralità è discutere. L'alternativa è l'eterna guerra di tutti contro tutti, a scapito di tutti. La società ormai è costituita da classi con funzioni diverse, differenti visioni del mondo, e non è più pensabile che tutti obbediscano alle stesse norme, al di fuori di un ristretto numero di divieti e prescrizioni che si suppongono imposti nell'interesse comune, ovvero le leggi della polis stessa. Proprio la necessità di determinare queste leggi in modo tale che tutti le riconoscano e le osservino genera i primi esempi di democrazia.
Ma i depositari dell'idea di dio non si arrendono. Se il lavoro e i progressi fatti dall'uomo nel trasformare la natura per creare ricchezza hanno prodotto la politica, il monopolio del sapere da parte di caste autoreferenziali e parassitarie tiene viva l'idea di dogma, e di privilegio: è l'esistenza di un oltre, invisibile, impalpabile e inconoscibile ai più, a giustificare una distinzione qualitativa, e non solo quantitativa, fra gli uomini. In altre parole, il successo nella propria attività può rendere un uomo più ricco di un altro; ma solo il fatto di stare tazza e cucchiaro con dio può rendere un uomo migliore degli altri, superiore.
Tutta la storia del genere umano può essere letta come una lunghissima e cruenta battaglia fra l'uomo e dio. E, poichè ci è impossibile vivere senza di lui, la vittoria difficilmente sarà mai definitiva. Ma gioverebbe sicuramente, nel momento in cui gli uomini, schiacciati dal peso di tanto infinito, alzano la testa, ricordarci da che parte sta dio, e quale causa serve.
P.S. Una precisazione che ritengo di dover fare, a scanso di equivoci: non parlo assolutamente di dio in termini teologici. La sua esistenza o assenza è assolutamente indifferente a questo discorso, così come lo è la fede. Molti cristiani sono infinitamente più tolleranti di certi atei; ed è proprio a questi ultimi che è diretto questo modesto e - spero - non troppo noioso scritto.
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