In questo modo, il lavoratore assumeva una nuova identità, anch'essa determinata dal capitale: quella di consumatore. Il padrone, che già si era impadronito del tempo del lavoro, adesso irrompeva in quello che un tempo era stato dedicato alla socialità e alla famiglia, in quello che è chiamato il tempo libero (libero una fava, come vedremo), e lo consacrava all'acquisizione. Lo consacrava. Io, cari amici, sono fesso e culturalmente limitato, ma non uso le parole a caso.
Adesso dobbiamo parlare di dio. No, scusatemi, non vi ho detto che questa è un'elucubrazione post-prandiale. Dunque, se volete, elucubrate appresso a me, e seguitemi (apparentemente) di palo in frasca. Dunque, dio. Il costante oggetto della domanda sbagliata. Esiste dio? Ma certo che esiste. Il punto è capire che cosa è dio. L'osservazione di mille popoli diacronicamente e diatopicamente lontani ci indica senza dubbio che dio è inseparabile dall'esperienza umana. Come dice l'arabo pazzo, l'uomo non può esistere senza dio. Ovvero, dio e l'uomo sono in rapporto dialettico. Dio è ciò che non conosciamo, che non capiamo, che non riusciamo a fare; di conseguenza, è delega, è rinuncia, ed è, quindi e soprattutto, autorità. L'uomo, per contro, è la libertà. La ragione di dio è astorica, eterna e immutabile. Quella dell'uomo è progressiva. Progredire vuol dire trasformarsi, evolversi. In questo consiste la libertà dell'uomo. Dogmi e dottrine appartengono a dio. Dell'uomo è l'eresia. Eppure, senza dio l'uomo non esiste, come abbiamo detto. Qualsiasi sua conquista, per avere ulteriore progresso, per non lasciar morire il processo dialettico, dovrà essere consacrata a qualcosa. Il fordismo e il taylorismo sono eresie, immediatamente consacrate alla logica del capitale. Il Modello T è un idolo, eretto dall'ingegno umano al dio che oggi viene adorato dalle masse del primo e secondo mondo, della cosiddetta civiltà dei consumi.
Un altro arabo pazzo sosteneva che l'unica autorità da rispettare è quella dell'uomo che ha appreso un mestiere. Se qualcuno ha bisogno di una traduzione dall'inglese all'italiano si
rivolge a me, e io gliela faccio. Ma questo vuol dire inevitabilmente
delegarmela. Io potrei fare degli errori, e quella persona non potrebbe
accorgersene. Ora però ipotizziamo che quella persona sia un avvocato, e che io un giorno possa avere bisogno della sua consulenza perchè i gendarmi, incuriositi dai rumori provenienti dalla mia tipografia, mi hanno sorpreso a stampare propaganda sovversiva con la mia Pedalina da cento copie al minuto: a quel punto sarò io a dover delegare la mia difesa a lui. E ci conviene, a entrambi, che a fare da mediatore in tutto ciò sia la vile pecunia, e non un senso di appartenenza comune che ci affratella? Insomma, visto che la civiltà e la natura umana ci impongono di delegare, non è meglio che a garantirci gli uni dagli altri sia un principio di mutuo appoggio, libero prodotto del nostro arbitrio, e non rapporti di produzione camuffati da libertà?
Un arabo pazzo e le sciagurate conseguenze del self-publishing
Bene, ora che ho citato tutti e tre gli arabi pazzi del mio repertorio, cedo la parola a Gramsci, confermando un eclettismo che temo mi possa condurre al biasimo delle genti, ma che non abbandono e, anzi, rivendico con la fierezza di cui solo gli stolti sono capaci. Non vi dico da chi mi è arrivata la segnalazione del brano a cui sto per fare riferimento, altrimenti i gendarmi arrivano sul serio a prelevarmi. Nel Quaderno 14 Gramsci critica il concetto di "rivoluzione permanente", in quanto viziata di meccanicismo. Ci dice che “le debolezze teoriche di questa forma moderna del vecchio meccanicismo sono mascherate dalla teoria generale della rivoluzione permanente che non è altro che una previsione generica presentata come dogma e che si distrugge da sé, per il fatto che non si manifesta effettualmente.” Si risolve in una sorta di "attesa mistica" della rivoluzione, che dovrebbe scoppiare da sé. La conferma che Gramsci aveva ragione e Trotzky torto ce la fornisce il fatto che non solo nessuna delle rivoluzioni socialiste successive alla stesura dei Quaderni è scoppiata in modo spontaneo, ma anche il fatto che più regredivano le organizzazioni politiche di sinistra, nei vari paesi, più si indebolivano la coscienza e la lotta di classe. L'organizzazione dei lavoratori indietreggiava, e il Modello T avanzava. Il socialismo indietreggiava, la barbarie avanzava. L'uomo indietreggiava, dio avanzava. Perdonatemi adesso la commistione fra il pensiero dell'arabo pazzo e quello di Gramsci, ma questa è l'eresia di oggi pomeriggio: la rivoluzione non la fa dio, la fa l'uomo. Il deus ex machina, come tutti gli dei, è costrutto umano. Il motore a scoppio scoppia perchè lo fa scoppiare l'uomo. Dio non fa scoppiare niente. Per favore, non deleghiamogli più un compito che non ha.
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