Cari amici e compgni di sventura, buondì. Oggi parliamo di guerra. Non c'è da meravigliarsi, visto che ce l'hanno dichiarata da secoli, sebbene qualcuno non lo abbia ancora capito. Se mi volete seguire, ci inerpicheremo fra gli aspri sentieri del sapere storico elusivo e dei miei limiti di scrittura. Orsù, cominciamo!
Se guardiamo al modo in cui si combattevano le battaglie nell'Evo Antico e a come poi queste tecniche si sono evolute, notiamo una cosa: i generali si allontanano sempre di più dal cuore dell'azione. Alessandro Magno ci è mostrato in un famoso mosaico mentre affronta il persiano Dario. Certo, intorno a lui, come intorno a tutti gli antichi condottieri, c'è il fior fiore dell'esercito; ma resta il fatto che Alessandro è lì, a portata di lancia, non a distanza di sicurezza. Ancora nell'XI secolo il re Harold, al comando delle forze inglesi nella battaglia di Hastings, è abbastanza vicino alle mazzate da beccarsi una freccia in un occhio. Probabilmente era ritenuto inevitabile, in una guerra di contatto, che il re o comunque il comandante delle forze in campo desse per primo il buon esempio. Poi però viene introdotto l'uso della polvere da sparo, e cambia tutto. Le pesanti armature indossate dagli unici che potevano permettersele, ovvero dai nobili, non riuscivano più a proteggerli del tutto (causa questa della loroo progressiva sparizione). Prendersi una freccia in un occhio è sfiga; lanciare il proprio destriero alla carica contro una postazione di artiglieria è idiozia.
Comincia dunque l'epoca delle staffette. La cosiddetta "catena di comando" ha origine nella necessità di trasmettere ordini da un punto abbastanza lontano dal campo di battaglia ai sottufficiali che li devono fare eseguire. In Amore e guerra Boris nota quanto sia diversa la guerra vista dalla collina, da dove la osserva tranquillamente il generale, rispetto a quello che vive il soldato. Alla battaglia di Balaklava, nel 1854, l'ambiguità degli ordini dell'anziano Lord Raglan portò al tipo di idiozia di cui facevo menzione sopra. Lord Tennyson si affrettò a celebrare il massacro insensato di centinaia di cavalleggeri in un celebre poema (l'umanità celebra l'idiozia, che vi credete?), ma resta il fatto che se questo signore non fosse stato un aristocratico che parlava con la proverbiale prugna in bocca, e molto probabilmente rincoglionito e/o ubriaco, i seicento valorosi non avrebbero dovuto cavalcare nella "valle della morte". Per capire il fenomeno delle classi alte inglesi, farfuglianti e perennemente inebriate, potete guardare questo video.
Alla diffusione della polvere da sparo e ai cambiamenti profondi che portò nel modo di fare la guerra, ai quali Cervantes dedica un intero capitolo del Don Quixote, corrisponde un altro processo sul piano sociale: l'ascesa della classe mercantile e il passaggio graduale da un ordine sociale fondato sulla propria funzione (quello medievale con i suoi bellatores, oratores e laboratores) ad uno fondato molto più semplicemente e brutalmente sulla proprietà privata. Questa trasformazione ha reso il mondo molto più dinamico, ma ha dato luogo a equivoci profondi, dai quali a tutt'oggi non siamo ancora usciti. Non essendo in grado di dare una base giuridica e morale coerente a questa istituzione, su cui si reggono tanto la realtà socioeconomica quanto la nostra percezione del vero e del giusto, abbiamo imparato ad accettarla come un dato di fatto, come se fosse qualcosa di naturale e immutabile, non come il prodotto di processi storici. E la Storia, non poteva essere altrimenti, è sparita dai nostri radar.
Nel mio piccolo, infischiandomene del milieu, poichè non nutro il minimo rispetto per chi appoggia e diffonde una visione del mondo e dell'umo che non rispetta me, voglio provare per un attimo a rimettercela. E come? Come al solito, amici del Bradipo. Parlandovi di me. Qualsiasi discorso innovativo, rivoluzionario, parte sempre da un'intuizione individuale. Anche quando gli elementi del discorso sono tutti lì, in bella vista, c'è bisogno che qualcuno verbalizzi l'ovvio. E allora eccovi qualche impressione del mio modestissimo cervello, della quale farete, come è ovvio, quel che vi pare.
Avevo sedici anni, forse diciassette, e studiavo al Liceo Ginnasio G. B. Vico, sito in via S. Rosa, Napoli. Dopo la parentesi un po' meno noiosa della Rivoluzione Francese e delle Guerre Napoleoniche, con il programma di Storia eravamo arrivati al Congresso di Vienna. Quello che mi colpì di questo importantissimo evento non fu un aspetto politico, ma il fatto che, oltre naturalmente ai tavoli di discussione, fossero previsti numerosi intrattenimenti per gli ospiti della capitale asburgica. Mi spiego meglio. I rappresentanti delle potenze europee a Vienna non parlarono solo di questioni geopolitiche, commerciali, militari e via dicendo; parteciparono anche a balli, pranzi, cene, e tresche amorose. Questo dopo un lunghissimo periodo di ostilità che aveva causato milioni di morti. Provate a immaginare il Principe di Metternich che, dismessi per l'occasione i panni del severo e austero statista, si fa un'allegra bevuta insieme a Talleyrand. Probabilissimo che sia accaduto. Di certo, dopo che i loro sudditi si erano tirati schioppetate, cannonate e colpi di sciabola e baionetta per oltre dieci anni in lungo e in largo per l'Europa, questi signori si sono seduti a tavola insieme e si sono scambiati le dame a tempo di valzer.
La guerra è una grande allegoria della vita. C'è chi guarda dall'alto di una collina i propri sudditi scannarsi gli uni con gli altri per sopravvivere; noi, cari amici, evidentemente facciamo parte della seconda categoria. Prima vi ho citato Amore e guerra di Woody Allen e il Quixote di Cervantes. Neanche a farlo apposta, c'è un elemento che li unisce: quando Boris guarda la battaglia dalla prospettiva del generale, vede un branco di pecore. Si tratta del capovolgimento di uno dei mille travisamenti del vecchio pazzo della Mancha, che scambia un gregge di pecore, appunto, per un esercito. Adesso io vi pongo una semplice domanda: voi volete essere pecore o disertori? Nel primo caso, vi consiglio di prepararvi alla carica. Nella speranza che Lord Raglan non abbia bevuto troppo.
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