Ieri, nel tardo pomeriggio, mi sono recato presso la libreria Librido di Via Nilo, al centro storico della mia città, Napoli. Aprendomi con notevole difficoltà un varco fra la monnezza e i camorristi, e dopo aver confutato le tesi deprecabili di alcuni giovani giuristi in T-shirt che chiedevano la riapertura del processo ad Antonino Speziale, con la deplorevole conseguenza di far piangere con le lacrime svariati epigoni di Torquemada e Mastro Titta, sono giunto al cospetto di un signore che si chiama Amleto De Silva. Devo dire però, con tutta l'ammirazione che ho per Amleto, che io non sono andato lì per lui, ma per me. Per provare a spiegare questo concetto sono costretto ad avventurarmi in un ragionamento. Vi chiedo scusa in anticipo delle eventuali, nefaste conseguenze.
Aprite il vostro social network preferito, e provate a leggere come i commenti dei vostri amici trattano un evento o una questione di cui avete esperienza diretta, o su cui vi siete comunque formati un certo bagaglio di conoscenze e un'idea ben documentata. Comproverete, nell'arco di pochi minuti, come si sia instaurata in questo paese una vera e propria dittatura dell'idiozia. Orwell aveva peccato di ottimismo. La sua visione di un'umanità costretta a uniformarsi a un pensiero dettato dall'alto è stata superata a destra e senza mettere la freccia da una concezione del vivere sociale da istituto di igiene mentale, un enorme opificio in cui ci costruiamo le nostre catene da soli, convinti per giunta di esprimere in quello la nostra individualità. Come è successo?
Ha fatto bene ieri lo zio Amlo a invitare Daniele Sepe. La cultura è condivisione e memoria, e in un paese che ne ha ormai pochissima la testimonianza e la prospettiva che può darti chi non ha voluto dimenticare sono preziose. Ti permettono di capire meglio quella parabola emotiva che in questo paese ha travolto vite, intelligenze, patrimoni di identità collettive, e ha lasciato il profumo per l'uomo che non deve chiedere mai e i cioccolatini della moglie dell'ambasciatore. La Storia non è fatta solo di guerre, battaglie, date, trattati, confini tracciati su una mappa; chi vorrebbe ridurla a questo vorrebbe ucciderla. E con lei la possibilità per noi e chi ci succederà di guardare avanti e scorgere un domani che non sia uno stanco, stolido trascinarsi del presente. Ma vedo che mi sto lasciando prendere la mano. Visto che la scrittura è sottrazione, mi autocensuro e vado avanti.
Dunque, parlavamo della Storia. Nel bel mezzo del banchetto che seguì il crollo del Muro di Berlino, con lo sfaldamento del blocco orientale e la facogitazione di quei disgraziati popoli da parte della "logica" che aveva vinto, qualcuno cominciò a suggerire che la Storia era finita. Era ufficiale: quello era il migliore dei mondi possibili. Quest'idea si è purtroppo affermata. Ormai la nozione che il mondo in cui viviamo sia plasmato da conflitti che vanno oltre la dimensione personale, familiare o di clan, e che dunque si possa vincere o perdere insieme, è limitata a un numero penosamente ristretto di persone. Il mondo è letto dalla stragrande maggioranza di noi come un enorme talent show: si compete tutti contro tutti, solo in pochi ce la fanno, e lo decide la giuria.
Ma chi decide da chi è formata la giuria? Perchè io non ne faccio parte? Perchè gli scrittori, i musicisti, i giornalisti e gli intellettuali oggi in Italia sono una banda di sciemi? E perchè io, che come scemo non sono secondo a nessuno, devo andare elemosinando lavoro a destra e a manca? Ma è semplice, cari amici del Bradipo: perchè abbiamo comprato il quieto vivere al prezzo del silenzio. Perchè, a torto o a ragione, lascio ad altri il giudizio, una generazione che aveva vissuto un conflitto purtroppo inevitabile quando si mettono in discussione le "decisioni della giuria" ha pensato che forse l'idiozia e l'inanità erano preferibili al disordine. Si è bevuta un bel whisky, sognando di poter esclamare "abbiamo l'esclusiva", e se ne è andata a nanna.
Ecco perchè mi sono recato a via Nilo, ieri sera. Per capire se si può costruire un'alternativa alla dittatura degli sciemi, e con quale voce può parlare. Perchè non voglio soccombere. Perchè posso al limite anche accettare di vivere male e con poco, ma non in silenzio. Reclamo il diritto di far parte di un'altra giuria, che ragioni e giudichi in base a criteri diversi. Reclamo il diritto, insieme agli altri membri di una giuria che non ha bisogno di essere legittimata perchè è popolare, di promuovere e bocciare, fino a quando gli sciemi non saranno ridotti al silenzio. Allora, e solo allora, sarà veramente finita la Storia.
Ha fatto bene ieri lo zio Amlo a invitare Daniele Sepe. La cultura è condivisione e memoria, e in un paese che ne ha ormai pochissima la testimonianza e la prospettiva che può darti chi non ha voluto dimenticare sono preziose. Ti permettono di capire meglio quella parabola emotiva che in questo paese ha travolto vite, intelligenze, patrimoni di identità collettive, e ha lasciato il profumo per l'uomo che non deve chiedere mai e i cioccolatini della moglie dell'ambasciatore. La Storia non è fatta solo di guerre, battaglie, date, trattati, confini tracciati su una mappa; chi vorrebbe ridurla a questo vorrebbe ucciderla. E con lei la possibilità per noi e chi ci succederà di guardare avanti e scorgere un domani che non sia uno stanco, stolido trascinarsi del presente. Ma vedo che mi sto lasciando prendere la mano. Visto che la scrittura è sottrazione, mi autocensuro e vado avanti.
Dunque, parlavamo della Storia. Nel bel mezzo del banchetto che seguì il crollo del Muro di Berlino, con lo sfaldamento del blocco orientale e la facogitazione di quei disgraziati popoli da parte della "logica" che aveva vinto, qualcuno cominciò a suggerire che la Storia era finita. Era ufficiale: quello era il migliore dei mondi possibili. Quest'idea si è purtroppo affermata. Ormai la nozione che il mondo in cui viviamo sia plasmato da conflitti che vanno oltre la dimensione personale, familiare o di clan, e che dunque si possa vincere o perdere insieme, è limitata a un numero penosamente ristretto di persone. Il mondo è letto dalla stragrande maggioranza di noi come un enorme talent show: si compete tutti contro tutti, solo in pochi ce la fanno, e lo decide la giuria.
Ma chi decide da chi è formata la giuria? Perchè io non ne faccio parte? Perchè gli scrittori, i musicisti, i giornalisti e gli intellettuali oggi in Italia sono una banda di sciemi? E perchè io, che come scemo non sono secondo a nessuno, devo andare elemosinando lavoro a destra e a manca? Ma è semplice, cari amici del Bradipo: perchè abbiamo comprato il quieto vivere al prezzo del silenzio. Perchè, a torto o a ragione, lascio ad altri il giudizio, una generazione che aveva vissuto un conflitto purtroppo inevitabile quando si mettono in discussione le "decisioni della giuria" ha pensato che forse l'idiozia e l'inanità erano preferibili al disordine. Si è bevuta un bel whisky, sognando di poter esclamare "abbiamo l'esclusiva", e se ne è andata a nanna.
Ecco perchè mi sono recato a via Nilo, ieri sera. Per capire se si può costruire un'alternativa alla dittatura degli sciemi, e con quale voce può parlare. Perchè non voglio soccombere. Perchè posso al limite anche accettare di vivere male e con poco, ma non in silenzio. Reclamo il diritto di far parte di un'altra giuria, che ragioni e giudichi in base a criteri diversi. Reclamo il diritto, insieme agli altri membri di una giuria che non ha bisogno di essere legittimata perchè è popolare, di promuovere e bocciare, fino a quando gli sciemi non saranno ridotti al silenzio. Allora, e solo allora, sarà veramente finita la Storia.
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