sabato 12 novembre 2011

Il furbacchione, la gamba in cancrena e l'autorevole primario.


 Ultimamente mi si da del disfattista e del guastafeste; capirete, quando la vita ti ha abituato a vedere la fregatura in ogni evento, in ogni situazione, in ogni aspetto dell'esperienza umana, tendi a condividere le lezioni apprese. Anche in questo caso, non posso proprio esimermi.

Pare che l'Italietta nella quale abbiamo la disgrazia di vivere sia tutta in subbuglio a causa delle recentissime dimissioni di Silvio Berlusconi da Presidente del Consiglio. Dando per scontato, peraltro, che la fine di questa particolare legislatura coinciderà con il capolinea dell'avventura politica del Cavaliere, milioni di persone si preparano a festeggiare un evento che aprirà la strada al governo delle banche e della finanza, ovvero ai responsabili della crisi finanziaria ed economica che ha seriamente ridimensionato lo sviluppo e il tenore di vita di tutti i popoli europei negli ultimi anni. Vorrei poter gioire per la fine del governo dell'uomo che fino a ieri incarnava il male assoluto nella politica italiana. Vorrei, ma non posso. A malincuore, devo prendere atto che oggi c'è qualcosa di peggio sulla scena.

Lungi da me voler sminuire le colpe di Berlusconi, che ritengo, per citare il titolo di un famoso articolo di una pubblicazione "comunista", "unfit to rule Italy". E non è il caso di stare a enumerare i peccati di Mr B, anche perchè si svierebbe questo post dal suo naturale corso. L'uomo di Arcore è stato forse il peggior flagello che si sia mai abbattuto sulla politica italiana dai tempi del Ventennio. Ma temo che non manterrà questo triste primato per molto, e proverò a spiegarvi perchè.

Pur con tutte le sue pecche e la sua lampante incompatibilità con qualsiasi concetto di democrazia, Berlusconi è stato scelto dagli Italiani attraverso una consultazione elettorale. Ha fatto gli interessi delle classi sociali che lo hanno espresso in modo discreto, se non addirittura egregio, per certi aspetti. Pensate anche solo alla depenalizzazione del falso in bilancio. Questo tipo di rappresentanza mostra naturalmente un ovvio travisamento del concetto di democrazia; ma è esattamente questo che chiedeva l'elettorato di centro-destra nel nostro paese, e Silvio (meno male che Silvio c'è!) l'ha accontentato nel modo più diretto ed efficace. Per la persona di destra, Berlusconi è il pragmatismo all'ennesima potenza, l'efficienza. Sconfiggere Berlusconi alle urne avrebbe voluto dire che quell'Italia gretta, egoista, furba e strafottente, l'Italia del not in my backyard, se mi consentite un'espressione anglosassone, era diventata minoritaria. Questo non è successo. Non poteva succedere, poichè un'Italia diversa o non esiste, o è numericamente trascurabile, o non ha mai trovato voce all'interno dell'arco costituzionale. 

Stasera Berlusconi si dimette, ma non da sconfitto. In questo momento lui è il generale che accetta l'armistizio per riorganizzarsi e valutare la possibilità di sferrare un ulteriore attacco. L'alternativa a Berlusconi, difatti, non è politica; è un signore dall'aria distinta che, a detta di tutti gli analisti più gettonati e più noti al grande pubblico, è "molto autorevole". E io comincio già a tremare all'aggettivo "autorevole". Penso alla crescente incertezza del nostro futuro, penso a come si sta trasformando il mondo attorno a me, e mi vengono in mente parole come "fratellanza", "solidarietà", "cooperazione", "mutuo soccorso". Non "autorevolezza". Non credo sia quella la ricetta per guarire i mali di questo paese e del nostro vecchio continente, economici e non. L'autorevolezza si richiede a colui che ha il privilegio di dire l'ultima parola, di decidere cosa fare e cosa non fare, e come. Immaginate un medico al capezzale di un malato grave. Immaginate che decida di amputargli un arto, perchè curarne la cancrena costa troppo. E perchè magari quel medico vende stampelle o sedie a rotelle. In che modo gioverebbe la sua autorevolezza al malato? E ora immaginate che quel medico sia stato imposto al paziente e ai suoi familiari. Quel medico è mario Monti. Distinto, autorevole, come un primario che non ci pensa due volte prima di segare via una gamba. Una figura severa e disumanizzata che farà capolino in una parentesi tragica e tetra della vostra vita, per uscirne poco dopo con il portafoglio pesante e la coscienza (ammesso che ne abbia una) leggera.

Se volete capire chi è Mario Monti, vi basterà fare una breve ricerca online. In due parole, è la voce delle istituzioni finanziarie che governano - o provano a governare - il capitalismo. Non ha bisogno di convincervi come deve fare necessariamente un politico, che ha bisogno del vostro voto. Non ha bisogno di giustificare il suo operato, perchè quello che formerà sarà un governo tecnico, non politico. Lui non ha alcun mandato. Pardon, ho detto un'eresia. Il giorno che questo distinto signore dall'aria garbata prenderà un provvedimento minimamente in contrasto con gli interessi dei tanti Shylock del mondo (e mo' dite che sono antisemita, jà!), il suo telefono squillerà. E arriverà la cazziata. Cordiale, garbata, quasi  non sembrerà un rimprovero. Fra di loro pare che comunichino così, questi colti, raffinati vampiri. Il conte Dracula, del resto, era forse meno urbano? Ciò che conta è che, se a Mario Monti venisse in mente di avere la mano un po' meno ferma del dovuto nel fare a pezzi il suo popolo, i suoi amici dal vestiario e dai modi inappuntabili lo richiamerebbero all'ordine.

Questo, purtroppo, è inevitabile. Non ho paura di Monti e della sua teapia d'urto, perchè non può più essere evitata. Aspetto il colpo che arriverà fra capo e collo come il condannato a morte ormai rassegnato al suo destino. Un'altra cosa mi fa paura: che, dopo un periodo di austerità probabilmente senza precedenti nella nostra storia repubblicana, il furbacchione torni a riscuotere il suo credito di malcontento e rabbia. E a tramutare la confusione, la paura, il desiderio di una via d'uscita generati dalla cura Monti in voti.

Per questo stasera non festeggerò. Continuerò a vivere come ho sempre fatto, coltivando le mie idee, i miei valori, la mia umanità, pur sapendo che saranno ancora perdenti nell'Italia di domani, e probabilmente in quella di dopodomani. Sarò alla mercè di dottori che mi tagliuzzeranno pezzo dopo pezzo. Spero solo che il cervello e il cuore li lascino per ultimi. Buonanotte.

giovedì 3 novembre 2011

Il soldo che manca sempre per fare la lira

 

Cari lettori, si torna a parlare del Napoli. Non lo abbiamo fatto dopo l'ignominiosa sconfitta di Chievo, o quella ancor più sconcertante, in casa con il Parma, nè quella contro il Cagliari Non lo abbiamo fatto per via di quel benedetto turnover che tanto è stato criticato per il modo poco giudizioso in cui lo avrebbe fatto Walter Mazzarri. Un turnover prontamente additato come responsabile di ogni male della compagine azzurra, e a ragione, vista la qualità espressa dalle seconde linee. Turnover, del resto, dettato dall'esigenza di affrontare al meglio la Champions League, dalla quale il presidente De Laurentiis non fa mistero di voler spremere fino all'ultimo euro umanamente possibile. Bene, e allora parliamo di Champions League.


Ieri sera il Napoli ha affrontato una squadra di livello internazionale, nello stadio di quest'ultima. Dovendo trarre un bilancio, direi che abbiamo assistito a una prestazione di grandissimo vigore agonistico, ma il risultato, se dobbiamo essere onesti, non è mai stato in discussione. Semmai quell'unico gol di scarto è uno score bugiardo, perchè non riflette la realtà di un Bayern che ha fatto praticamente quel che voleva, ha tagliato la nostra difesa come burro, ha gestito il risultato giocando al torello; solo una straordinaria rincorsa di De Sanctiis con scivolata finale ha potuto evitare il quarto gol in finale di partita.

Intendiamoci, noi dobbiamo essere contenti della gara del Napoli, perchè si è battuto con grinta e forza di volontà da calcio di altri tempi cntro un avversario nettamente superiore. Ma può bastarci, questo? E soprattutto vale la pena di risparmiare i nostri giocatori migliori in campionato per una competizione nella quale non possiamo recitare che un ruolo da comparse? Con quali energie andremo a Torino, a giocare contro la principale candidata per lo scudetto? Tutte domande che andrebbero poste all'empio cazzaro, per il quale il mio odio è ormai incommensurabile e tale che solo la morte violenta e dolorosa di quell'imbonitore impomatato da quattro soldi potrebbe darmi pace.

Ma bando all'emotività, cerchiamo di ragionare. Lasciando il pub in cui ho visto la partita con alcuni amici, ho sentito un'atmosfera positiva, quasi di soddisfazione. Questo mi preoccupa. Si tratta di un discorso che va anche al di là del calcio, di quel complesso di inferiorità inconsciamente presente in ogni napoletano, che lo porta ad accontentarsi di poco. Che lo porta ad aspettarsi poco. Non ci prendiamo in giro, non facciamoci ingannare da quell'unico gol di scarto: ieri il Napoli ha dato il 120% solo per perdere con dignità. Ha trovato due gol su palla inattiva (il secondo dei quali una prodezza forse irripetibile da parte dell'autore), perchè su azione manovrata non ha creato praticamente niente. Ha dimostrato un eccellente valore atletico e agonistico, ma anche dei chiarissimi limiti tecnici e tattici, legati alla mancanza di alternative. Tanto per dirne una, se avessimo avuto in panchina un giocatore in grado di sostituire il mediocre Cavani visto nelle ultime partite, il mister l'avrebbe probabilmente schierato. Cosa possiamo rimproverare ai nostri ragazzi? Assolutamente niente. Parafrasando Luca Cupiello, ce la dobbiamo pigliare con Don Aurelio: il nemico della casa, il nemico dei figli, il nemico mio!!!

Il soldo che manca per fare la lira, per consentire al Napoli di gestire contemporaneamente e con profitto Campionato e Champions, di vincere qualche partita, ogni tanto, senza provocare cardiopatie ai suoi tifosi, lo dave cacciare De Laurentiis. Nel grande calcio il Napoli merita di essere non già un occasionale avventore, ma un ospite fisso. Per fare questo, però, c'è bisogno di grossi investimenti. Se non arriveranno non vinceremo mai niente, e saremo costretti ad accontentarci di perdere più o meno bene. Il gesto atletico di De Sanctis che caccia la palla dalla porta dopo una rincorsa di una cinquantina di metri simboleggia perfettamente il presente della nostra squadra. Entusiasmante, non c'è dubbio, perfino esaltante. Ma nelle grosse squadre i portieri sono abituati ad altri gesti, meno eroici e  più composti: alzare i pugni al cielo per esultare, e poco più. Quando Morgan De Sanctiis si annoierà in porta, il Napoli sarà diventato una grande squadra. Ma per fare questo, ahimè, temo che dovremo aspettare la dipartita del cine-furbacchione dalla presidenza del Napoli o, ancora meglio, dal suo guscio mortale. Nel frattempo, non possiamo fare altro che ripetere l'inutile mantra spend the money.