martedì 18 dicembre 2012

Il deserto morale


Brutto dover convivere con i propri senescenti genitori, quando i tuoi stessi capelli iniziano timidamente a imbiancare, uno qua e uno là, e il tuo giudizio si affina, trasformandosi da furia iconoclastica giovanile in un sano e maturo moralismo. Se alla parola "moralismo" avete fatto una smorfietta con la bocca e mi state dando del prete in cuor vostro, mi pare inutile che continuiate la lettura. L'ho detto e lo ripeto: un sano e maturo moralismo. Brutto, dicevo, condividere il desco con i suddetti genitori, quando costoro ti impongono la visione di programmi televisivi dai contenuti che tu ritieni una violenza bella e buona pepretrata ai danni dello spettatore.

Nella fattispecie, mi riferisco allo spot elettorale del PD fatto da Corrado Augias ogni giorno, intorno all'una. Ospite, oggi, di questa pedante e radicalscicchissima trasmissione era Ezio Mauro. Si commentava, naturalmente, la lettura della Costituzione fatta ieri sera da Benigni su Rai Uno. Al termine dei servizi filmati e dei relativi commenti di Augias e Mauro, tutti di una banalità estrema, si dava come sempre la parola al pubblico per le domande. Dovete sapere, se non avete mai visto il programma, che il pubblico è di norma costituito da studenti di scuole superiori. Dunque, questa ragazza diciottenne prende la parola e chiede lumi a Mauro su come porsi di fronte al diritto-dovere del voto, che dovrebbe esercitare quest'anno per la prima volta. 

Bene, prima ho detto che i commenti alla lettura della Costituzione di Benigni erano stati banali; ma la risposta del direttore di Repubblica alla giovane studentessa ha superato ogni limite immaginabile di vacuità e retorica. Sono abilissimi in questo senso, va riconosciuto. Pensate a me, che mentre mangio la mia pasta e cavoli devo sentirmi nelle orecchie Ezio Mauro che parla, parla, parla, senza dire niente. Non reggo, sbotto. Non è possibile che a un uomo di simile pochezza morale sia consentito di parlare in televisione, non è accettabile che una ragazza di diciotto anni debba avere queste figure come suoi riferimenti. L'anziana genitrice esprime dissenso rispetto alla mia presa di posizione. Penso, con tutto il rispetto dovuto alla mamma, che non ci sia molta differenza fra lei e la ragazza diciottenne che ha posto la domanda: entrambe sono sprovviste di una chiave di lettura adeguata a comprendere la realtà politica e sociale dell'Italia odierna. La piccina, perché è nata e vissuta in un paese privo di confronto ideologico, poverissimo di idee e progetti per il futuro, un deserto morale. Ecco, l'ho usato un'altra volta, quell'aggettivo. L'anziana, perché non ha capito, come buona parte della sua generazione, che per avere una socialdemocrazia, con annessi e conessi, devi avere una forte base di dissenso radicale. Quando viene meno la dialettica fra modelli diversi e distanti, ecco che quello dominante, quello che non si vergogna di proporsi nudo e crudo, senza edulcorazioni, emerge prepotente, e ti ritrovi un Marchionne a dire tranquillamente cose che in altri tempi avrebbero incontrato una condanna quasi unanime.

La Costituzione, il voto, il sostegno dato a una forza politica parlamentare piuttosto che un'altra sono mezzi per raggiungere un fine, non sante reliquie e doveri di natura liturgica. Giovane amica, non ricordo il tuo nome, e so che non mi leggerai, ma voglio rivolgermi a te, perché non si può sempre parlare con chi è già d'accordo con noi. Fai una cosa, da adesso alle elezioni ci sono un paio di mesi: usali per provare a immaginare come vorresti che fosse il futuro. Per te, per le tue amiche, per il tuo fidanzato o il ragazzo che ti piace. Poi prova ad ascoltare i discorsi dei candidati. Se trovi anche la minima traccia di quel futuro nelle parole di uno solo di loro, corri a votarlo. Se no, annulla la scheda, rifiutala, resta a casa, fai come ti pare. Perché - e questo non devi consentire a nessuno di togliertelo dalla testa - il futuro è roba tua.

lunedì 17 dicembre 2012

La vittoria non è un caciocavallo.


E insomma, alla fine è arrivata la sconfitta clamorosa. Dopo una serie di prestazioni deludenti, con vittorie fortunose e pareggi striminziti, abbiamo preso la classica doccia fredda. Che succede, si chiedono i meno avveduti. Che deve mai succedere? Che non ti può andare sempre bene. Che quando una squadra va avanti da anni con evidenti lacune - SEMPRE LE STESSE, PORCO IL MONDO - non può arrivare sempre la prodezza individuale che ti risolve la partita. O magari, come ieri sera, questa prodezza la esegue un avversario, e si porta a casa i tre punti.

E giù con le diquisizioni e disamine, più o meno dotte, sulle ragioni di un rendimento inferiore alle aspettative. Basterebbe guardare con assiduità le partite di questa squadra (sto parlando del Napoli, per chi non lo avesse capito) per prendere atto di una verità lampante, accessibile a tutti: a parte Cavani, la nostra rosa è interamente composta da giocatori carenti sotto il profilo tecnico, atletico o mentale. E perché stupirsi? Oggi come oggi, nell'era dei mercati globalizzati, a quei livelli, i giocatori veramente completi non passano certo inosservati, e la loro valutazione sale di conseguenza. E non date retta a chi vi dice che è andato a scovare un campione che conosce solo lui; è come quando l'amico cazzaro vi dice che conosce un posto dove si vende un vino squisito a due euro al litro. Voi, che vi ostinate a credere nell'umanità, gli date retta, e lo assaggiate; a quel punto vi rendete conto di avere un altro amico del tutto inaffidabile, da aggiungere al già interminabile elenco. E vi resta in bocca il saporaccio di un intruglio da interrogazione parlamentare.

Insomma, il Napoli ha una rosa lacunosa. Dall'isterico De Sanctis, decisamente più abile nel ruolo di zitella acida che non in quello di estremo difensore, al fumoso Zuniga, autore di finte che confondono solo lui, passando per "Mezapalla" Hamsik, la cui notevole tecnica è controbilanciata da una personalità pari a quella di un suricato. Per non parlare della difesa, quasi sempre inattenta sui calci piazzati, e spesso in difficoltà nel rilanciare l'azione. Ma per quello che ha speso il nostro presidente, questo si compra. Tutt'al più si potrebbe ambire a ingaggiare qualche giocatore esperto e "stagionato" a parametro zero, strada che però il club non ha voluto intraprendere, preferendo la logica di acquistare giovani talenti da far crescere per poi vendere, realizzando plusvalenze. Così ha fatto con Lavezzi, e così farà, vedrete, con Hamsik e Cavani.

E perché? Perché il proprietario di questa società è un bottegaio, un pizzicagnolo, uno charcutier. Perché la SSC Napoli è la sua mega-salumeria, non una creatura amata alla quale si augura il successo, ma una vacca da mungere per fare mozzarella da vendere a una tifoseria poco critica. Eppure qualcuno evidentemente sta cominciando a svegliarsi, se ieri lo stadio era semivuoto. Forse qualcuno comincia a capire che lo scudetto non si vince con le mozzarelle, ma con i campioni. Abbiamo sofferto di buon grado nell'inferno della C e nel purgatorio della B, perchè lì l'obiettivo era chiaramente quello di vincere. Ci siamo attrezzati per farlo, e lo abbiamo fatto. Adesso che abbiamo raggiunto il massimo livello sportivo compatibile con il nostro fatturato l'obiettivo, ipocritamente non dichiarato, è quello di arricchire il padrone. E quindi ci dobbiamo intossicare con partite come quella di ieri sera.

E ora mi rivolgo a voi, "ragionieri" del pallone, esperti di contabilità e partita doppia, montiani dell'ars pedatoria, che più d'ogni altro male aborrite e temete il deficit di bilancio. Il mondo è bello perché è vario. C'è gente che si realizza nel completare una collezione di francobolli, o nel conoscere tutte le capitali del mondo. Se voi trovate soddisfazione nel constatare che il bilancio della vostra squadra del cuore è in attivo, io non vi biasimerò. Ma che voi vogliate convincermi che il successo di una società di calcio si misuri da quello, non lo accetto. Il sucesso di un club lo determinano i trofei vinti, e i piazzamenti conquistati. E con la filosofia del caciocavallo, amici miei, non si riempiono le bacheche, ma solo le salumerie.

martedì 11 dicembre 2012

L'arancia, l'epifania e il doppio fondo della morale


 Ieri sera, cari amici del Bradipo, ho avuto un'epifania. Non mentre attraversavo Merrion Square in una fredda serata novembrina, o mentre guardavo il paffuto Buck Mulligan farsi la barba, bensì mentre consumavo un'italianissima - anzi, sicula - arancia. Già questo dovrebbe cominciare a darvi il senso della qualità dei miei processi mentali, che rimandano più a un film di Franco e Ciccio che non alle rarefatte e raffinate atmosfere joyciane. Il punto è che, per recuperare la suddetta arancia, ero costretto ad attraversare la cucina, in cui la vetusta e veneranda genitrice, dalla cui tutela il tramonto dell'era della socialdemocrazia non mi consente di affrancarmi, stava visionando quella che personalmente ritengo la peggiore fra le trasmissioni di "approfondimento politico": l'Infedele.

Ogniqualvolta mi capiti davanti agli occhi qualche fotogramma di questo orrore televisivo e ideologico mi pongo la stessa domanda: perchè un pubblico costituito in massima parte da elettori di sinistra segue con assiduità programmi del genere? E non vi parlo solo dei trentenni piddini figli di papà che giocano a fare i progressisti con il culo al caldo; l'Infedele se lo guarda anche gente che trenta o quaranta anni fa scendeva in piazza, e alla bisogna si prendeva pure le mazzate (senza però doversi sorbire le prediche di Don Saviano e i suoi inviti ad amare il celerino che ti spaccava la faccia, va detto). Qualcosa non torna.

Ma torniamo all'arancia in questione, alle parole che ho dovuto ascoltare e alle immagini che mi sono passate davanti agli occhi mentre cercavo il galeotto agrume fra un mare di mele annurche. Gad Lerner era lì, a intervistare Elsa Fornero, che mi pare sia ministro per le public relations con la plebe o qualcosa del genere. Ebbene, dallo sguardo dell'intervistatore si evincevano incontrovertibilmente la simpatia, l'ammirazione, l'assoluta sudditanza rispetto all'intervistata. Inutile copiare le scenografie della BBC, se poi vai a fare un'intervista così, ho pensato. E mentre quella povera donna, priva di spessore sotto qualsiasi aspetto, sciorinava i suoi soliti luoghi comuni ferocemente classisti ed elitari, io scommetterei sul fatto che il vecchio Gad avesse un'erezione che ci avresti potuto appendere il cappotto.

Fin qui, tutto normale. Gente elegante che, invece di fare l'aperitivo in Piazza Duomo, si fa una chiacchierata davanti a una telecamera, e che viene anche pagata per farlo. Un po' come se pagassero me e qualche mio amico per bere birra e commentare la partita del Napoli o il culo di una che passa di là. Ma ci sarebbe un solo folle che, con tutti i canali messi oggi a disposizione dello spettatore televisivo, deciderebbe di guardare proprio me? Perchè, dobbiamo tornare a ripeterlo, la gente guarda Lerner?

Ecco, orbene, la mia epifania. Perchè sono orfani delle vecchie liturgie, non delle vecchie idee. Perchè sono clericali dentro. Perchè appartengono alla classe media, la macchina e il frigorifero hanno fatto irruzione nelle loro vite tanti anni fa, e non ne sono più usciti. Perchè non avvertono la minima necessità di un cambiamento sociale profondo, non si incazzano come mi incazzo io quando  vedono che il piatto forte di una trasmissione "di sinistra" è una donna che palesa senza alcuna remora il più profondo disprezzo per il lavoro salariato e i lavoratori. Pensano che il capitalismo vada "riformato", mi accusano di non avere i piedi per terra se parlo di alternative radicali all'esistente, e non si rendono conto di quanto sia estremo e saturo di violenza lo scenario che si è venuto a costituire fra un tentativo e l'altro di "riformare" un sistema economico basato sul sistema di valori incarnato da una iena come quella che ieri sera faceva andare in brodo di giuggiole Gad Lerner. Il capitalismo è un dato di fatto, chi si è mai sognato di superarlo, in questo paese? Il PCI, che molti degli spettatori dell'Infedele probabilmente votavano, o del quale avevano addirittura la tessera? Ma fatemi il piacere. Vedreste il vecchio Gad sorridere, se affermaste una cosa del genere. Certo, il PCI di Gramsci, quello dell'anteguerra...

E allora noi persone mature di sinistra, che dobbiamo fare? Quello che fa ogni buon credente: ostentare una morale diversa da quella che informa le nostre azioni. Vogliamo una società più giusta, ma senza fare troppa confusione, eh, che mio marito dorme. Redistribuiamola, questa ricchezza, ma mo' il servizio buono lo vado a inzerrare, non si sa mai. Questa unione monetaria all'insegna del neoliberismo sta distruggendo il futuro dei nostri figli e nipoti, ma che volete? Che si alzi lo spread? Guardatevi Gad Lerner, ascoltate i suoi educatissimi scambi di vedute con i carnefici della dignità umana, e non preoccupatevi troppo se il capitale, in crisi come non lo era da decenni, chiava mazzate alla cecata; prima o poi passa. Magari lascia qualcuno di voi per terra, ma che ci possiamo fare noi? In frangenti come questi, dobbiamo tenere d'occhio l'argenteria.

venerdì 30 novembre 2012

Ennesima provocazione


Salve, lettori del Bradipo. Ancora una volta, a scrivere è Rigoberto Saviani, difensore della legalità, depositario del quinto e sesto segreto di Fatima e guardiano del Santo Sepolcro. Solo io posso dirvi come si fa la vera pasta e fagioli con le cotiche, come si tolgono le macchie più ostinate dal velluto a coste, e dove sono la ragione e il torto in qualsiasi diatriba. Per questo ho approfittato di questo spazio gentilmente offertomi dal Bradipo, che è tutto sommato un buon uomo, ma sostanzialmente ignorante e impreparato, privo del mio spessore filosofico e del mio fascino di intellettuale tenebroso e condannato dalle minacce dei malvagi gaglioffi casalesi ad andar di terra in terra, come gli anarchici di Lugano, Ugo Foscolo e l'Ebreo Errante.

Ebbene, è proprio di questo popolo che tanto ha sofferto, che vorrei parlarvi. Scacciato senza colpa (altro che anarchici, quei camorristi bombaroli!) dalla terra che lo stesso Jahweh, nella sua infinita e parziale misericordia, gli aveva assegnato; perseguitato per secoli da popoli invidiosi del suo primato nella classifica del favore divino; sputato, deriso, perseguitato, sterminato...e quando finalmente arriva il nostro turno di metterci sotto qualche povero cristo e farlo piangere con le lacrime come un moccosiello di tre anni, tutti a romperci i coglioni! E si fa???

Scusate, ma quello che è successo ieri all'Assemblea delle Nazioni Unite è assolutamente vergognoso e intollerabile! Non è questa la strada verso la pace, come ha giustamente fatto notare il moderato e ragionevole Benjamin Netanyahu. Si comincia facendo sedere un fetente di palestinese come membro osservatore, e si finisce che pretendono pure loro l'acqua potabile. No, qui una cosa deve essere chiara, e se nessuno ha il coraggio di dirla o scriverla sarò costretto a farlo io: noi siamo un popolo in credito di atrocità. Scusate, ma secondo voi perchè un paese che ama atteggiarsi a baluardo della civiltà occidentale nel Medio Oriente va a schiaffare la stella di David sulla bandiera, se non per creare una sacrosanta confusione, oserei dire una quasi perfetta corrispondenza fra identità religiosa e identità nazionale? In culo al principio di laicità dello stato! Noi siamo lo stato ebraico, tutto quello che ci fidiamo di fare a quei quattro pastori seminomadi lo dovete considerare un risarcimento, e dovete rendervi conto che lo facciamo anche in nome e a beneficio di quegli ebrei che, dimentichi dello spirito dell'Antico Testamento e della proba e divina crueltà di cui abbonda, si fanno prendere da una poco virile pietà nei confronti dei palestinesi, che nel ranking del favore di Jahweh sono penultimi, seguiti solo da una tribù cannibale dell'Amazzonia che non è mai entrata a contatto con l'uomo bianco, e che io conosco in virtù della mia onniscienza.

Ma il mondo non ha ancora capito che qualsiasi criterio di equanimità è inapplicabile, nel nostro caso? Che il solo ipotizzare una mediazione fra i nostri diritti e i presunti diritti dei palestinesi ci offende profondamente? Ma cosa credevate, quando avete legittimato l'idea sionista? Di poter ragionare con noi? Io, Rigoberto Saviani, non posso che togliermi il cappello davanti all'operazione realizzata in Terra Santa: a questa perfetta sintesi di rispettabile legalità e prevaricazione camorristica, insaporita dal delizioso gusto retro della teocrazia.

Scusatemi, l'amico Bradipo scalpita, protesta, si sbraccia. Mi fa notare innanzitutto che il titolo di questo mio articolo riprende quello di una canzone dei gloriosi Punkina, e che dunque sarebbe giusto citarli; e inoltre, come avrete già capito, ha la temerità di dissentire ancora una volta dalle mie idee. Dice, e lo cito testualmente, che tutte le religioni, con i loro testi, paramenti sacri e variegati strumenti di tortura andrebbero confinate ai musei. Come corollario di quanto appena detto, sostiene che il fondamento di qualsiasi autorità politica deve risiedere nel mandato popolare, non in quello divino; e se su un medesimo territorio convivono più confessioni religiose, a tutte va accordato lo stesso status, essendo l'esistenza di tutte le divinità ugualmente indimostrabile. Che la separazione fra stato e chiesa, fra potere temporale e spirituale, fra identità religiosa e identità nazionale, è ben chiara al mondo occidentale, e la nebulosità che assume quando si comincia a parlare di Israele è indice di completa estraneità alla tradizione di pensiero illuminista e post-illuminista (fatta eccezione per Rocco Buttiglione, il Cardinale Ruini e altri che potete ben immaginare). E chiude affermando che non gli garba punto che una manica di invasati sanguinari abbia a disposizione l'arma atomica; in particolare in virtù del fatto che il vecchio concetto del potere deterrente degli arsenali nucleari va a farsi benedire quando si mette in mezzo l'Iran. La bomba atomica di Israele è giusta e democratica, quella di Ahmadinejad è fondamentalista e ribalda.

Bene, amico Bradipo. Non sono d'accordo con te, e francamente me ne sbatto di quello che ha detto Voltaire, ma siccome tu mi fai scrivere sul tuo blog immagino di doverti fare delle piccole concessioni. Però adesso lasciami concludere il mio ragionamento. Quello che è successo ieri, amici, è una grave provocazione, come si evince già dal titolo di questa mia ennesima lectio magistralis. Jahweh è molto contrariato, ci ho parlato dieci minuti fa, e vi garantisco che ha un diavolo per capello. Lasciate che ve lo dica con molta chiarezza, al fine di dissipare ogni equivoco: la pace in Israele sarà una conquista definitiva solo quando l'ultimo palestinese sarà rinchiuso in un recinto, senza terra, senza acqua, senza possibilità di riscatto individuale o collettivo. Se non vi sta bene, non protestate con me; prendetevela con il Dio che ordinò ad Abramo di sgozzare suo figlio Isacco, se avete il coraggio.

giovedì 29 novembre 2012

Fame (I'm gonna live forever)


Mi avete rotto i coglioni. Dovete andare a lavorare. 

Solo così si poteva aprire, questo post. Solo così posso mettervi in guardia, cari amici del Bradipo, dal pressappochismo e dall'impreparazione con i quali tratterò, come spesso accade, un tema più grande di me. Ma siccome questo paese è privo di un ceto intellettuale, e la gente pensa che Oscar Giannino sia una persona intelligente solo perchè si traveste da Gabriele D'Annunzio e dice le parole difficili, io non mi mantengo, e vi riverso addosso la mia ignoranza e la mia scrittura confusionaria e a tratti fanciullesca. Eppure io, di questo potete star certi, qualcosa da dire ce l'ho; e questo mi rende già più degno di essere letto dei duecentoquaranta trilioni di finti blogger che vi vendono porta a porta la Bibbia semi-laica dell'ideologia dominante.

Questo post è interamente dedicato a tutti coloro che ammuffiscono per decenni in sale prove ammuffite (ammuffiscono per osmosi), facendo musica con onestà e integrità, e pertanto rimanendo oscuri e sconosciuti ai più. In particolare, lo dedico al gestore di una sala prove ben precisa, quella che frequento. Non farò nomi perchè mi rendo perfettamente conto di come una persona tutto sommato rispettabile e inserita nella società possa nutrire il sacrosanto desiderio di non essere associata in alcun modo a me e alle mie losche attività di blogger oscuro e avvezzo alle muffe. Vi basti sapere che costui è depositario di chiavi per il suddetto antro e versato nella teoria e tecnica musicale, applicata nella fattispecie al basso elettrico.

Ieri sera, nella consueta pausa di metà prova, divenuta necessaria in quanto si avvicinano i quaranta e vi giuro che dopo un'oretta di punk rock la vista si annebbia, ho intavolato con il suddetto musicista e fornitore di servizi una lunga discussione sullo stato dell'arte della scena musicale underground a Napoli, ma anche sulla musica e sull'industria musicale in generale. La musica rock e pop oggi fa cacare: su questo eravamo d'accordo. Se ne trova molta di più rispetto a 20 anni fa, ma paradossalmente il livello è sceso, anziché aumentare. Oggi chiunque può fare un disco; non più i demo di una volta, di qualità vistosamente inferiore ai prodotti industriali. Oggi, spendendo poche migliaia di euro, si riesce ad avere qualcosa che suona più o meno come i dischi "veri", dai quali il 90% degli ascoltatori (compreso me) non riuscirà a sentire la differenza. Una straordinaria opportunità, teoricamente, per esprimersi liberamente, per fare tutto quello che ti passa per la testa, senza dover scendere a compromessi con Tizio e Caio, senza dover subire processi di selezione. Faccio il disco, lo metto su Internet gratis, te lo faccio sentire. Ti piace? Bene, suono la tale data nel tale posto.

E invece no. Devo avere il produttore, il tour manager, l'ufficio stampa e lo scenografo ricchione con il baffetto. Perchè non sono un musicista, sono un cazzo di yuppie, voglio il successo, voglio i soldi, voglio che mi dicano bravo. Perchè da piccolo mi guardavo Saranno Famosi e volevo essere come Leroy. Perchè voi che mi venite a sentire mi fate schifo, mi servite solo ad arrivare dove voglio arrivare. Siete come i nemici morti di cui i mongoli riempivano i fossati per attraversarli, ed espugnare così i castelli. Io sono un grande artista, avete capito??? Passo le giornate a riempire Facebook di link, a caccia di un "mi piace" che dia una boccata d'ossigeno al mio ego ninfomane. E se non mi "likate", se non venite ai miei concerti, comincio a fare la vittima, a dire che in Italia non si può fare niente, che non si dà spazio all'arte e compagnia cantante (mi si perdoni il gioco di parole). Non mi passa neanche per l'anticamera del cervello che forse non ho talento, non ho niente da dire, non piaccio. Mi sto arrampicando, cerco appigli, non riscontri.

Ed ecco che il cerchio si chiude, dando in extremis una insperata parvenza d'ordine e compiutezza a questo post. Torniamo all'invito che ho usato come incipit: vai a lavorare. Se non riesci a vivere di musica, forse un motivo c'è. Vai a lavorare, la mattina, e la sera vieniti a chiudere fra le muffe che spettano a chi fa musica senza essere Leroy Johnson. Condividi quello che hai da dire e da dare, e può essere che alla fine qualcuno te lo dica pure, che sei bravo. Tu però non ci credere mai, fatti una risata e attacca il prossimo pezzo. Fai presto, che all'una, l'una e un quarto al massimo, l'impianto si deve spegnere. Poi dobbiamo andare a riportare la roba in sala, e poi...e poi a letto, che domani si lavora.

Muffe amate senza scopo di lucro

mercoledì 28 novembre 2012

Basta ca ce sta 'o sole, basta ca ce sta 'o mare...


Come forse saprete, ieri il Sole 24 Ore ha pubblicato una classifica della qualità della vita in varie città italiane, nella quale Napoli figura al penultimo posto. Peggio di noi solo Taranto, sversatoio dei veleni dell'ILVA. A questa graduatoria lo scrittore napoletano Erri De Luca ha risposto con la seguente dichiarazione:

Il Sole 24 ore pubblica una statistica sulla qualità della vita secondo la quale Napoli è all’ultimo posto. Ignoro i criteri di valutazione ma dubito che siano adeguati allo scopo. C’è qualità di vita in una città che vive anche di notte, con bar, negozi, locali aperti e frequentati, a differenza di molte città che alle nove di sera sono deserte senza coprifuoco. Considero qualità della vita poter mangiare ovunque cose squisite e semplici a prezzi bassi, che altrove sarebbero irreali. Considero qualità della vita il mare che si aggira nella stanza del golfo tra Capri, Sorrento e Posillipo. Considero qualità della vita il vento che spazza il golfo dai quattro punti cardinali e fa l’aria leggera. Considero qualità della vita l’eccellenza del caffè napoletano e della pizza. Considero qualità di vita la cortesia e il sorriso entrando in un negozio, la musica per strada.  Considero qualità della vita la storia che affiora dappertutto. Considero qualità della vita la geografia che consola a prima vista, e considero qualità della vita l’ironia diffusa che permette di accogliere queste graduatorie con un “Ma faciteme ‘o piacere”.
Per consiglio, nelle prossime statistiche eliminate Napoli, è troppo fuori scala, esagerata, per poterla misurare.

Ora, io non ce l'ho con Erri De Luca. Il suo problema è solo uno: quello di fare parte della percentuale di napoletani che, per diritto di nascita, per merito o per una combinazione di questi due fattori, riescono a tirarsi fuori dalla melma. Tutto vero, quello che ha detto. Ma capirete che il Capo di Posillipo rischia di venire meno alla sua funzione consolatrice, se lo si guarda dal posto di osservazione della miseria e del degrado. La città vive di notte perchè la gente non ha bisogno di andare a letto presto per svegliarsi riposata la mattina, come succede in luoghi con un minore tasso di disoccupazione. Se i prezzi della focaccia e del saltimbocca sono bassi è perchè la maggior parte dei napoletani vive con poco o pochissimo, e se la merce costasse di più rimarrebbe invenduta. Il caffè, la pizza, le canzoni, l'ironia, sono tutte cose vere, ma fanno parte della nostra cultura, sono un retaggio della nostra storia. Sarebbe ora che a Napoli la gente cominciasse a guardare avanti, anziché passare la vita a rovistare nel cascione di un passato presuntamente glorioso, e della misera eredità che ci ha lasciato. Con quello strano "oggetto a forma di chitarra" ci possiamo letteralmente pulire il culo.

Una classifica della qualità della vita deve tenere conto della vivibilità di una città, non di quanto è bella la cartolina. Deve tenere conto di come è amministrata, dei suoi servizi, delle sue infrastrutture, e soprattutto, dal punto di vista di una persona di sinistra - quale è sicuramente Erri De Luca - di come ci vive la povera gente, i lavoratori, il sottoproletariato. Non tu, scrittore di successo e benestante, quando torni a visitarla. Lavorare a Napoli, spostarsi a Napoli, trovare un soluzione abitativa a Napoli, pagare una cazzo di RCA a Napoli; di questo dobbiamo parlare. Di che cosa vuol dire nascere in un quartiere che cade a pezzi, da genitori disoccupati o sottoccupati, quando non proprio organici a quel sottobosco economico e sociale che spesso si designa con il termine vago e generico di camorra. Di quali prospettive possa avere chi decide di aprire un'attività produttiva o commerciale in questa città, e a quali difficoltà e limiti vada incontro. Poniamoci queste domande, e credo che alla fine dovremo dare ragione al Sole 24 Ore. A Napoli si sta male. Il che non vuol dire che questa città non abbia grandissime potenzialità, ma che non le esprime. E non le esprimerà mai, se continuiamo a rifugiarci nella retorica del sole, del mare e della sfogliatella.

In ultimo, sarà opportuno chiarire che nessun napoletano ha motivo di sentirsi offeso da quello che ho scritto. O meglio, mi correggo: se questa città vi sta bene così, sentitevi pure offesi. Se avete votato la classe dirigente che ha sistematicamente saccheggiato questa città e questa regione fin da quando io ne abbia memoria, sentitevi offesi. Se pensate che sia normale per un napoletano avere pretese più contenute rispetto a un vicentino o a un savonese, sentitevi pure offesi. Erri De Luca in parte ha ragione, c'è un fattore di cui la classifica in questione non ha tenuto conto: si chiama Questione Meridionale. E acconciarsi la bocca con la proverbiale tazzulella 'e cafè non la risolverà.

domenica 25 novembre 2012

Ma che ce frega, ma che ce 'mporta...


 ...di queste primarie. Cari lettori del Bradipo, questa volta dovrete avere un po' di pazienza nei miei confronti. Se la mia scrittura ha di solito, almeno in minima parte, le virtù della chiarezza espositiva e della fluidità, stavolta aspettatevi un pacciugo ripugnante, per citare gli indimenticati Paolino Paperino Band. Proverò a spiegare, in modo inevitabilmente disorganico e confuso, per quale motivo questa consultazione elettorale interna al PD mi lascia del tutto indifferente. Per raggiungere tale scopo, dovrò affrontare - e mi scuso anticipatamente per il modo sommario e inadeguato in cui lo farò - vari temi, e chiarire una serie di equivoci che potrebbero sorgere per via delle mille distorsioni del linguaggio e del discorso politico partorite dall'egemonia culturale di una classe sulle altre, vieppiù (e dico vieppiù) quando esssa è tanto schiacciante e subdola.

Cominciamo subito col dire che io mi sento un moderato. Dice, come Tabacci? No, non come Tabacci. Moderazione vuol dire barcamenarsi fra due estremi. Oggi viviamo in un mondo che di moderato non ha niente. Il modello neo-liberista è la negazione della moderazione. Se qualcuno vuole fare il moderato, deve cominciare dal mettere in discussione quel modello, e di conseguenza l'unione monetaria europea, che ne è figlia. Deve ricominciare a parlare non dico di socialismo, ma almeno di socialdemocrazia. Ecco, la socialdemocrazia è moderata; la passiva accettazione del capitalismo selvaggio, con l'aggiunta di qualche pista ciclabile, no.

Adesso, avendo letto l'ultimo capoverso, uno potrebbe concludere che io sono un socialdemocratico. Beh, proprio socialdemocratico...no - diremo, parafrasando il megadirettore di fantozziana memoria. Il problema della socialdemocrazia è perfettamente descritto dal megadirettore stesso: "Bisognerebbe che per ogni problema nuovo tutti gli uomini di buona volontà cominciassero a incontrarsi senza violenze in una serie di civili e democratiche riunioni, fino a che non saremo tutti d'accordo". Come fa notare lo sfortunato ragioniere, così ci vorranno almeno mille anni; al che lo scaltro interlocutore ribatte che lui può aspettare. Insomma, il modello socialdemocratico è una dei tanti travestimenti che storicamente il capitalismo ha indossato, per sopravvivere e prosperare. Tamponare problemi che tu stesso hai creato ha un che di schizofrenico, non vi pare?

Eppure sarebbe un inizio. Uscire dall'Euro (e se crolla, sticazzi), tornare alla lira e alla sovranità monetaria, reintrodurre la scala mobile e l'equo canone, iniziare politiche di integrazione commerciale e politica fra gli stati dell'Europa Meridionale, tutti colpiti dalle politiche di macelleria sociale della UE. Questo sarebbe moderato. Dire alla culona (sì, CULONA, perchè a un certo punto si deve scendere a questo livello) che con i nostri BOT la Deutsche Bank si può pulire il culo (o pulire quello di Angela, se ce la fa), perchè facciamo default, secondo l'antica logica del ci hai messo l'acqua e nun te pagamo. Glielo dai a tua sorella, l'Euro. 

Ma tutto questo non è in discussione. E vi ho spiegato che sono un moderato, che verso una società degna del volume delle nostre scatole craniche ci possiamo andare anche a piccoli passi, ma ci dobbiamo incamminare. Che me ne frega di far sposare gli omosessuali, se io stesso non credo nel matrimonio, ma vorrei invece pari diritti per le coppie di fatto? Che me ne frega delle quote rosa, quando sono convinto che la donna sia esattamente pari all'uomo sotto il profilo intellettivo, e credo che metterle a disposizione corsie preferenziali finisca per negare quell'uguaglianza? Preoccupiamoci piuttosto di eliminare le discriminazioni che esistono nei loro confronti sul posto di lavoro, o del fatto che spesso non vengono nemmeno assunte, perchè poi se restano incinte non possono venire a lavorare. La corruzione? Discorso lunghissimo. In breve: costruiamo un'Italia in cui non sia necessaria e strutturale, e rientrerà nei parametri di qualsiasi altro paese sviluppato. 

E, dulcis in fundo, per quale motivo dovrei scegliere fra una serie di personaggi che non hanno denunciato l'assoluta illegittimità dell'attuale governo, instaurato con una specie di colpo di stato soft e sostenuto da un sistema mediatico ormai sudamericano (e lo dico senza offesa per l'America Latina, che è oggi la parte migliore del mondo)? Quando si tornerà a parlare di politica, guardate, io sono disposto a votare pure alle primarie del PDL. Però si deve parlare di politica. Di togliere i soldi a Tizio per darli a Caio. Di uno Stato che decide, promuove, proibisce, finanzia, incentiva e disincentiva. Quello sì che riguarderebbe tutti. Queste primarie no. Queste primarie sono una gara fra osti senza scrupoli per venderci la loro mercanzia; e non importa chi sceglierete: il vino è tutto annacquato.

venerdì 16 novembre 2012

Bravi, così si fa


Allora, nei giorni passati non ho scritto niente, un po' perchè avevo altro per la testa, un po' perchè sono in una fase di strafottenza totale rispetto al mondo universo, un po' perchè dovevo metabolizzare. Le ultime due ragioni sono in qualche modo collegate al fatto che c'è tanta idiozia là fuori. Ma proprio tanta. E siccome la stragrande maggioranza dell'umanità non si vuole togliere il vizio di attribuire automaticamente autorevolezza a quello che proviene dalla carta stampata o dallo schermo televisivo (siamo essenzialmente rimasti al livello di impressionabilità degli antichi aztechi che si offrivano docilmente al sacerdote per farsi sacrificare a qualche dio serpente dal nome irriproducibile), mi dicevo "ma che scrivi a fare?" La mia idea, nella sua banale semplicità, può essere più valida di quella di un Saviano (ci vuole veramente poco), ma siccome lui è un eroe della legalità e io uno stronzo qualsiasi, alla fine nelle teste vostre e di milioni di altri italiani restano le cazzate di Saviano, e non i miei tentativi di ragionamento. Anche adesso, leggendomi, probabilmente starete sorridendo, pensando che deve essermi andato di volta il cervello, a volermi mettere con Frà Roberto Savianarola, santissimo e dottissimo uomo di lettere e di pensiero.

Il nostro Don Roberto stavolta sforna un volto inedito e insospettato, quello dell'hippie che vuole mettere i fiori nei cannoni, e invita i poliziotti a unirsi ai manifestanti anziché picchiarli. Il furbacchione in questo modo raggiunge un duplice obiettivo:

1) oscura le ragioni della violenza, mettendo il discorso su un piano che non è politico, ma che fa appello alla naturale ripugnanza che OGNUNO DI NOI prova nei confronti della violenza stessa.

2) simula simpatia con chi scende in piazza, e in particolare con la componente studentesca, che è probabilmente quella che più gli interessa. La stessa cosa cercò di farla, in modo forse un po' meno sottile, con un articolo dell'ottobre 2010 su Repubblica. Anche lì, solidarietà agli studenti e rifiuto della "violenza".

Oggi sono venute fuori nuove immagini, quelle dei lacrimogeni sparati dalle finestre del Ministero della Giustizia. Non credo vada commentata la ridicola giustificazione offerta da alcuni rappresentanti delle forze del disordine, evidentemente estranei al concetto di vergogna, secondo cui i lacrimogeni sarebbero stati sparati da terra, per poi rimbalzare sulle pareti dell'edificio. Fanno il paio con la teoria sul proiettile che uccise Carlo Giuliani, che sarebbe stato deviato in volo da un calcinaccio. Quelle immagini chiariscono perfettamente a chi non abbia paura di guardare in faccia la realtà che ormai siamo nell'anticamera dello stato di polizia, se non ci siamo già del tutto dentro. La violenza poliziesca non è opera di alcune mele marce, è ciò che si chiede a queste persone. E allora mi rendo conto che potrebbe sorgere in qualcuno la domanda: ma perchè un ragazzo come tanti (lasciamo da parte quelli che ci provano gusto) arriva a farsi strumento di una repressione brutale e sistematica del diritto di manifestare?

Proviamo a inventarci una storia. Una storia che, per risultare credibile, abbia i crismi della verosimiglianza. Diciamo che ieri a Roma è sceso in piazza Giorgio, studente ventiquattrenne di Lettere. Giorgio studia a Roma, ma non è romano; è di Rieti, e per mantenersi agli studi in una città così cara lavora part time in un call center per 400 euro di fisso più i bonus. La famiglia deve comunque aiutarlo, altrimenti non ce la farebbe. Quando uscirà dall'università ci sarà poco ad aspettarlo, professionalmente parlando. Probabilmente cercherà di fare qualche straordinario al call center, mentre cerca una sistemazione più adeguata (che chissà quando troverà). Dall'altro lato c'è Mario, un ragazzo calabrese di 23 anni. Lui si è arruolato in polizia, guadagna circa 1200 euro al mese. Fissi. Vive nella stessa società di merda, senza luce e senza aria, però ogni tanto gli offrono la possibilità di sfogarsi su qualche "zecca". Gli capita, ogni tanto, di dover subire piccole angherie da parte dei suoi superiori, ma tutto sommato non si lamenta. Fa parte di un gruppo lavorativo molto coeso, in cui vige un forte spirito di corpo. Sa che, se anche qualche volta gli capitasse di esagerare con il manganello, incontrerebbe comprensione. A differenza di Giorgio, non ha voluto studiare, e non saprebbe nemmeno indicare Rieti sulla cartina. Ma è robusto e non ha paura di niente, e così fa fruttare le sue doti nel modo migliore che ha a disposizione.

Ora, perchè una società tratta Mario meglio di Giorgio? Perchè il primo serve a chi comanda, il secondo no. Semplice, banale, ma vero. Ricordate i Promessi Sposi (chi avrebbe mai pensato che li avrei citati su questo blog...)? Don Rodrigo non va da nessuna parte senza i bravi; gli servono a difendersi, certo, ma anche e soprattutto a incutere timore, a spingere Don Abbondio ad agire contro coscienza. Voi pensate che oggi i poliziotti e i carabinieri siano servitori dello "stato", e quindi nostri? Ma quale stato? I bravi sono di chi li paga. I bravi sono bravi quando fanno i bravi, non quando fanno i bravi. Perdonatemi, non ce l'ho fatta, la tentazione è stata troppo forte. Torniamo a Don Abbondio, il famoso "vaso di terracotta". I bravi hanno gioco facile perchè sanno che ha paura di rompersi. Se i bravi di oggigiorno sparano lacrimogeni in faccia a chi protesta, è per rompere i vasi di terracotta. Non criticateli, non ha senso: stanno facendo i bravi. Per quanto riguarda noi, si tratta solo di scegliere fra la paura di rompersi e quella di essere lasciati a marcire in un seminterrato senza luce e senza aria.
 

martedì 13 novembre 2012

La realtà è un bignè

 
I più sagaci di voi avranno intuito, dalla sempre più rada frequenza dei miei post, che mi sono cacato il cazzo. Si tratta di un fenomeno ciclico, più o meno come le maree o le crisi economiche, che si ripresenta ogniqualvolta vengano meno tutte quelle illusioni e quegli equivoci che ti portavano a vedere la vita con gli occhi di una canzonettista francese d'antan, invece che con quelli di un minatore gallese del primo Novecento. Ma tu lo sai, sai che prima o poi il grisù si diraderà, e ti ritroverai con una baguette sotto il braccio e il cuore colmo di aspettative completamente infondate, eppure non per questo di minore impatto sul tuo mondo interiore. E questa è la vita, mesdames e messieurs.
Oggi, anzichè andare a farmi la doccia dopo il consueto caffè mattutino, ho deciso di scrivere qualcosa. Segnali di ripresa? Mah...

Il fatto è che ieri si è verificata una vera e propria atrocità, che non potevo esimermi dal fare oggetto di sarcasmo e, perdonatemi, di vera e propria acrimonia. Mi riferisco, naturalmente, alle guaratte... ehm, volevo dire al dibattito per le primarie del centro sinistra. 
Ora, voi dovete sapere che io, fra tanti limiti e difetti, ho un dono: quello di capire in brevissimo tempo che qualcosa fa schifo. Una volta, anni fa, mi capitò di guardare un paio di minuti di un episodio di Sex and the City, e da allora ho la certezza, incontrovertibile per quanto mi riguarda, che si tratta di assoluta spazzatura. Mi direte "come fai a dirlo dai pochi minuti che hai visto?" La solita obiezione. Non lo volete capire che ho i superpoteri. Qualche volta ho provato a immaginare un imam che guarda una puntata qualsiasi delle avventure di quelle quattro sbarazzine picare della pica (nome salentino dell'organo genitale maschile); alla fine non avrebbe altra scelta, se non quella di attaccare con violenza, in ogni sua predica, la decadenza morale dell'occidente, e guidare il primo assalto all'ambasciata di turno.

Oh, mio Dio! Mi stai dicendo che in Iran c'è la monogamia???

Dunque, ieri mi è capitato di vedere qualche secondo del dibattito televisivo fra i cinque candidati premier (già la parola mi fa venire l'arteteca addosso) del PD, e vi ho immediatamente individuato qualcosa che mi ha fatto paura. No, dico proprio paura, non l'ho buttata lì così, la parola. Ora provo  a spiegarmi. Ma abbiate pazienza, perchè la dobbiamo prendere alla larga.

Quando ero ragazzino, si parlava dell'America (leggi USA) come qualcosa di lontano e assolutamente estraneo alla nostra realtà. Dire "e che stiamo, in America?" equivaleva a dire che un comportamento, un giudizio o un'analisi erano del tutto fuori luogo, perchè non tenevano conto della realtà dei fatti. L'America, nel nostro immaginario, era il luogo dell'assenza di realtà. Naturalmente, questa impressione ce la aveva comunicata il cinema, a ben vedere noi degli USA sapevamo poco e niente. Ma devo dire che crescendo e conoscendoli meglio quell'impressione è stata confermata. Gli Stati Uniti d'America sono il primo e, per quanto ne sappia, unico paese al mondo creato interamente dall'alto verso il basso o, come direbbero loro, secondo una logica top down. Anche la realtà, laggiù, è un prodotto. In un paese in cui moltissime strade non hano neanche i marciapiedi, in cui le piazze sono una rarità, in cui la gente non vive momenti di socialità che non siano mediati dal consumo, la realtà non può essere che un prodotto. Ma a noi ragazzini napoletani sembrava che l'Italia non potesse mai andare in quella direzione. Forse all'epoca ce ne dispiaceva, ma avevamo la chiara percezione che un paese in cui una ricetta di cucina si può trasformare in articolo di fede fosse al riparo dall'americanizzazione. E questo, amici miei, è il senso della democrazia: produrre cultura dal basso, tanto culinaria quanto politica.

Ci sbagliavamo. Abbiamo visto aprire i Mac Donald nella città della pizza, della mozzarella e della parmigiana di melanzane, abbiamo visto spuntare come funghi i centri commerciali (le famigerate mall), siamo arrivati perfino a celebrare Halloween (o Samhain, che poi è un perfetto esempio di come la cultura mainstream americana vampirizzi prodotti culturali altrui, lasciandone intatta solo l'esteriorità). E, last but not least, abbiamo visto la morte della politica. Ma come ha fatto la gente, quando si è sentita dire che le "ideologie" erano morte, a non togliersi le scarpe e tirarle verso il televisore? Il risultato di questa passività è stato che oggi di "ideologia" ne è rimasta solo una, quella del top down, della realtà bignè, la apro e ci metto dentro quello che voglio io.

Allora, ci sono cinque buste, scegliete. Però sappiate che la TAV si fa, la riforma dell'istruzione non si tocca, di riconsiderare la posizione dell'Italia rispetto a una UE che ci ha portati sull'orlo del baratro nemmeno a parlarne. Guardate quella come si è vestita, scegliete se vi piace di più la narraffione di quello o i "ma scusate" di quell'altro, se non riuscite a dormire c'è Tabacci che fa proprio al caso vostro. Scegliete la busta, e poi lasciate fare a noi: il ripieno di vostra scelta (la customizzazione), una veloce infornata, e la democrazia è servita.


domenica 4 novembre 2012

Nessuno tocchi Aronica


 Da un po' non scrivevo, vittima della pigrizia e di quel vuoto di senso che, paradossalmente, appesantisce la tua vita svuotandola. Ho capito che solo una cosa può darmi gioia e soddisfazione nella vita: andare contro le opinioni diffuse,  le facili conclusioni a cui salta una mente non avvezza all'analisi. E allora oggi trovo un senso alla mia domenica nella difesa di Salvatore Aronica.

Il "lucchetto palermitano", come è stato frettolosamente ed incautamente soprannominato da un commentatore/tifoso di scarsa onestà intellettuale, ha fatto una cappellata. "Cappellata", uno di quei simpatici eufemismi usati dai giornalisti sportivi per non ricorrere a lessemi più coloriti, quali "cazzata", "stronzata", o "puttanata". Questo è quanto ha fatto Salvatore Aronica, a pochi minuti dalla sua entrata in campo. Ma dal riconoscere questa ovvietà a gettare la croce di questi due punti persi sulle spalle di "Totò che pisciò svariate volte", soprannome forse più adatto al nostro, anche perchè fa riferimento al titolo di un film dei suoi concittadini Ciprì e Maresco, ce ne passa. Oggi il Napoli ha fatto pena, ha offerto uno spettacolo indegno del prezzo del biglietto, e in questo spettacolo Aronica non è stato che la ciliegina sulla torta; una torta di merda, farcita di merda, ricoperta da un sottile strato di merda, e servita con un contorno di merda finemente tritata.

Quando gioca in casa contro una neopromossa, una squadra che abbia ambizioni di vertice non ha scuse: deve fare la partita, e solo una serie di sfortunate circostanze può rendere accettabile un risultato non pieno: prodezze del portiere avversario, pali, gol annullati ingiustamente. Oggi il Napoli ha meritato di pareggiare, per quanto si è visto in campo. Il Torino ci ha sovrastati nel possesso palla, ed è riuscito anche a creare alcune situazioni pericolose nella nostra area. Ora, possiamo stare fino a domani mattina a fare analisi dotte e approfondite, ma alla base di tutto c'è una semplice realtà: il Napoli non ha la qualità per sbrigare in scioltezza pratiche relativamente semplici come una sfida in casa contro il Torino.

Quando in Natale in casa Cupiello Ninuccia distrugge il presepe del padre, quest'ultimo non la biasima per il disastro; e non certo perchè consideri il danno di lieve entità (tutt'altro, lo paragona al terremoto di Casamicciola), ma perchè ravvisa in sua moglie la causa ultima del comportamento della figlia. La nemica della casa, la nemica dei figli, la nemica mia.

Avrete già capito, se mi seguite da tempo, dove sto andando a parare. La Concetta in questione è il nostro istrionico e roboante presidente, Aurelio De Laurentiis. Il nemico del calcio a Napoli, il nemico di qualsiasi ambizione che non abbia a che fare con l'ABI e il CAB. Vi siete ammoccati le stronzate (concedetemelo, orsù, questo turpiloquio) che ci propinava sul fair play finanziario e il bilancio in attivo? Mi dispiace per voi, perchè se avete creduto il Napoli una grande squadra la delusione deve essere forte, dopo uno scempio così. Per quanto mi riguarda c'è una sola speranza: il trapasso del mai abbastanza vituperato cazzaro. Dite a Pasquale che, se si dovesse sentire male l'imbonitore di Hollywood, non accendesse le candele alla Vergine. Per Concetta, tutte le candele; per Aurelio De Laurentiis, nemmeno una. Allo scuro, deve buttare il sangue.

martedì 9 ottobre 2012

Bambini nel tempo


Buondì, cari lettori e lettrici del Bradipo. Dopo l'intervento di Rigoberto Saviani, torno a dialogare con voi. Il mio erudito e brillante amico è ancora qui, non posso certo mandarlo a casa nelle condizioni in cui si trova; in questo momento è seduto sul water, mi pare che stia scrivendo un articolo per un quotidiano di centro-sinistra... Si è anche offerto di aiutarmi, ma io ho educatamente declinato l'invito: oggi me la sbroglio da solo, nonostante il mio QI modesto e tutte le lacune della mia formazione. Abbastanza da fare ha l'amico Rigoberto, costretto ad andare di corpo e scrivere bene di Monti mentre Fusco e Amaniero lo guardano a vista, onde sventare qualsiasi possibile minaccia alla sua incolumità. Vi chiedo dunque perdono in anticipo, se non sarò all'altezza del mio amico, che persino ora, rubizzo e sfigurato dallo sforzo, non perde la dignità e la statura morale del grande intellettuale. 

Visto che, a differenza di Rigoberto, io non so niente di niente, se non cosa ho mangiato ieri e cosa mi piacerebbe mangiare stasera, scriverò  a cazzo di cane di un argomento che non padroneggio. Perchè? Perchè mi concerne. E questa a me, sebbene io sia sprovveduto e ignorante, o forse proprio per quello, o forse ancora perchè non lo sono abbastanza, pare un'ottima ragione.  Oggi, cari amici, si farà psicologia spicciola. 
Fin dai tempi degli antichi Assiri, la psicologia spicciola, insieme all'astrologia e all'oratoria farinellesca, è alla base della nobile e necessaria arte della posteggia. Per i non campani andrà chiarito che il farinello è il corteggiatore, spesso se fintamente spigliato e casual, mentre la posteggia, in questa accezione, è proprio il tipo di corteggiamento messo in atto dal farinello. Quando un antico assiro si portava una femmina sotto alla ziqqurat nella speranza di fare un po' di sentimento (ovvero amoreggiare), il primo problema che gli si parava innanzi era capire cosa ci fosse nella scatola cranica della concupita, e fingere interesse per tutta una serie di cose che, a conti fatti, non avrebbero avuto la minima rilevanza ai fini del loro rapporto, o perlomeno non ne avrebbero avuta di più della Luna in Ariete, qualunque cosa questo significasse. Vi sembra brutale questo concetto? Mi dispiace avervi scossi in questo modo, ma purtroppo io non sono Rigoberto, dico quello che penso, non quello che si ci aspetta da me. C'è una semplice, dura verità alla base del rapporto uomo-donna, insita proprio nella sua formulazione lessicale: si tratta del rapporto fra un uomo e una donna. La tua infanzia deve restarne fuori.

"Bambini nel tempo" è il titolo di un romanzo di Ian McEwan, emblematico del tema che sto cercando di trattare, seppure goffamente. La storia di un padre che perde una figlia in un supermercato, e strada facendo si rende conto che non sta più cercando la bimba, probabilmente ormai violentata e uccisa da qualche chav dodicenne alcolizzato e pluriomicida, ma il bambino interiore. Ecco, questo bambino interiore, che non riusciamo a congedare, perchè c'è sempre qualche conto in sospeso, qualche loose end, come si dice nella lingua di McEwan, è un tema centrale nella cultura del nostro tempo, e non senza motivo. Perchè la gente intelligente ci ha detto che il bambino è quello che impara i fondamentali dell'affettività: amore, odio, conforto, paura, fiducia e via discorrendo. L'adulto campa sul bambino. Ma che fai se hai avuto un'infanzia di merda, per dirla alla francese? La gente intelligente ci dice, se ho capito bene, che rischi di rivivere drammi modellati ad arte su quelli che hai vissuto da piccolo, e vedere tutte le occasioni, le opportunità, le sfide che la vita ti manda con gli occhi del bambino che eri, e che non vuoi smettere di essere. Forse è questo il senso più profondo del mito di Edipo? Non tanto l'incesto vero e proprio, quanto la ricerca della madre nella donna amata, o ancora meglio la riluttanza a staccarsi dalla madre e dunque dal proprio ruolo di soggetto passivo, non autosufficiente? Dammi questo, dammi quello, ne ho bisogno e non posso procurarmelo con le mie forze; e tu, che mi hai messo al mondo, hai il dovere di darmelo. Pare che esista anche un complesso di Elettra, e che sia una sorta di controparte femminile di quello di Edipo. Certo è che spesso anche le donne cercano il padre negli improvvisati oratori e astrologi dilettanti che le posteggiano. Chiederei ulteriori delucidazioni e conferme a Rigoberto, ma non voglio distrarlo, si trova proprio nel momento culminante. Devo provare a chiudere questo post da solo.

Mio padre mi picchiava quando ero piccola. Mia madre non aveva mai tempo per me. Mio padre mi sgridava se prendevo un brutto voto a scuola, e non mi parlava per giorni. Mia madre...
Sticazzi. Se hai soldi da buttare, vai a metterli in mano a un analista. Altrimenti, cerca il bambino interiore. E quando l'hai trovato, fagli una carezza, digli ciao lascialo andare. Per lui, nell'età delle barbe e dei cicli mestruali, non c'è più niente. Per te, forse. Ci vediamo sotto alla ziqqurat. Mi riconoscerai subito, non potrai sbagliarti. Sono quello con la parlantina sciolta, Mercurio in Pesci nella settima casa, e non accompagnato dai genitori.


lunedì 8 ottobre 2012

La medicina che il Venezuela non ha voluto prendere


Cari amici, anche oggi dovrò cedere la parola all'amico Rigoberto, che ormai avete tutti imparato a conoscere. Non posso esimermi dal farlo. Appena appreso della vittoria di Hugo Chavez nelle consultazioni elettorali venezuelane, questo giovane ma già eminente intellettuale è scoppiato in un pianto a dirotto, che gli ha contorto i tratti di un volto già non particolarmente attraente, e ne ha trasformato la voce in qualcosa di inquietantemente simile al raglio di un ciuchino, come accadde al mendace burattino che certamente non avrà mancato di allietare qualche ora della vostra infanzia, così come della mia. Perdonate cotanta ipotassi, ma sono ancora scosso dagli istanti trascorsi a consolarlo, accarezzandogli paternamente il capo ovoidale e spelacchiato, mentre lui ripeteva "non è giusto, non è democratico!" e sferrava pugni di virile e colta frustrazione sulla mia scrivania. Dunque, rinuncerò a dirvi la mia su questo evento di considerevole importanza, sebbene non ne nego che mi piacerebbe, e offro ancora una volta questo umile spazio al mio afflitto amico.

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Buongiorno, cari lettori del Bradipo, sono Rigoberto Saviani. Approfitto ancora una volta della pazienza del mio amico Pier Paolo Palermo, che stimo e apprezzo, sebbene le sue opinioni siano quasi sempre diverse dalle mie e pertanto, come certamente avrete già intuito, sbagliate. Non credo necessiti di alcun tipo di dimostrazione la mia superiorità culturale, morale, intellettuale e perfino estetica sul titolare di questo spazio virtuale, che dunque ringrazio, come qualsiasi persona di buona educazione, ma che si renderà perfettamente conto di quanto la mia presenza dia lustro e spessore a un blog altrimenti non degno neanche di uno sguardo, detto con sincerità. D'alta parte non tutti sono versati come me nelle Arti del Trivio e del Quadrivio, non tutti hanno la mia intelligenza, la mia sagacia, la mia profondità, e il mio rapporto sempre dialettico e problematico con lo spelling. 

Ma veniamo al punto. Perchè vi scrivo, quest'oggi? Avrete letto, se appartenete all'area ideologica dell'odio e della pedofagia come il mio amico Bradipo, della vittoria elettorale del perfido dittatore venezuelano Chavez, nelle elezioni che lo contrapponevano al democratico e liberale Capriles. Questa, rendetevene conto, è una sciagura. Ora ci aspettano altri sei anni di nazionalizzazioni, espropri, ostilità all'investimento straniero, al progresso e alla prosperità che le multinazionali (Dio le protegga!) hanno sempre portato in Sudamerica. E cosa farà il Venezuela, paese povero le cui uniche risorse sono le banane, la canna da zucchero e qualche pozzanghera sparsa di petrolio qua e là, senza l'opera civilizzatrice del capitale occidentale? Ma perchè ci respingete così, amici venezuelani? Voi sudamericani siete incorregibili. Vi abbiamo portato Gesù Cristo, e ci avete costretto a usare la garrota per farvelo accettare; vi abbiamo portato il mercato, che detto francamente a Gesù Cristo non se lo vede proprio, e voi votate una panoplia di dittatori brutti, sporchi e cattivi. Mi pare evidente che non siete pronti per autodeterminarvi.

Certo, immagino che mi si potrebbero muovere delle obiezioni. Ad esempio, mi si potrebbe dire che, se un presidente è stato eletto e riconfermato in varie occasioni, fra elezioni e referendum, non può essere definito un dittatore. Che errore madornale sarebbe accettare un'idea del genere! La dittatura è qualcosa di più subdolo, si nasconde fra le pieghe di un discorso che pretende di arrivare nelle catapecchie di lamiera, di prendere per mano i figli della miseria e dire loro "Questo è il tuo paese, compatriota". Ma vi rendete conto del pericolo insito in una simile frase??? Va bene parlare di uguaglianza, di lotta alla povertà, all'analfabetismo, alla marginalità, ma con moderazione, diosanto! Che cosa c'entrano questi diseredati con il benessere che la democrazia ha distribuito e distribuisce a piene mani a chi sa coglierne le opportunità? Vogliamo farli entrare nel salotto buono, con i loro stracci e la loro puzza di favela? Ma ce l'avete un'idea di come funziona il capitalismo????? Chi mi priva del mio sacro diritto liberalborghese di prosperare a scapito di qualcun altro è un dittatore, punto e basta. Ne sono certo, abbiamo già affrontato la questione al bar insieme a Scalfari, davanti a un Martini. Poi è arrivato Ferrara, si è dichiarato d'accordo e ha finito tutte le noccioline, in base al principio (sul quale Eugenio ed io abbiamo subito concordato): "a ciascuno secondo la sua ingordigia". E se io, Scalfari e Ferrara siamo stati in perfetta sintonia sul tema, voi stronzi ignoranti farete meglio a cambiare idea, o non sarete mai invitati a un aperitivo da qualcuno che sia anche solo un po' meno stronzo e insignificante di voi.

Che cos'è la democrazia? Semplice, è una medicina, una sorta di pozione che trasforma Mr. Hyde nel dottor Jekyll. Tutti questi popoli sottosviluppati e ignoranti, in America Latina come altrove, non devono fare altro che prenderla, e come d'incanto spariranno i loro problemi: la miseria, la disuguaglianza, l'ingerenza di altre potenze nelle politiche interne dei loro stati, l'inquinamento e il dissesto ambientale prodotto da uno sfruttamento scriteriato delle risorse, e tutti quegli altri problemi che non mi va di citare perchè in definitiva non me ne frega niente. Basta che prendano la medicina, e tutte queste brutte cose spariranno. Ma come è venuto in mente a quel maledetto autocrata di andare a prendere gente che non era neanche iscritta all'anagrafe, recuperarla alla cittadinanza, e portarla alle urne? Le loro bidonville non erano nemmeno segnate sulle mappe topografiche, e lui che fa? Va a svegliare il can che dorme? Vedete perchè ce l'ho con lui? Mr Hyde, come il suo nome fa intendere a chi parla un ottimo inglese come me (me lo ha detto Joe Pistone!), va tenuto nascosto. Chi lo porta allo scoperto, chi lo porta a votare è uno scellerato. Chi lo mette faccia a faccia con il dott. Jekyll condanna quest'ultimo a sparire. Ecco perchè Chavez è un dittatore. Brutto lestofante, ridammi Mr Hyde, affinchè io possa continuare a essere un rispettabile e benestante medico che beve Martini e sgranocchia noccioline con i suoi edotti colleghi, mentre l'altra faccia della medaglia, quella opaca e coperta di sporco e ruggine, vive di stenti in un quartiere  che non compare neanche sulle mappe!

domenica 7 ottobre 2012

Inetti e inerti


Il marketing è qualcosa di molto offensivo. Offensivo perchè presume di parlarci con la seconda persona singolare, quando chi ha elaborato il messaggio in questione non sa una beata mazza di noi. Ad esempio, avendo io impostato il mio status su Facebook come "vedovo", qualche generatore di algoritmi o qualcosa del genere seleziona automaticamente questi messaggi pubblicitari per la mia parete. Vagli a spiegare, a questa entità senza volto, fatta di miriadi di 0 e 1 in sequenza, che non sono veramente vedovo, e che non lavoro realmente "per il feudatario locale". Vagli a spiegare che ho fatto dell'ironia (diretta talvolta su me stesso, talvolta sugli altri) uno strumento di sopravvivenza. E vagli a spiegare cosa cercavo di comunicare con quel "vedovo".

Non tutti, però, sono dotati evidentemente dell'ironia e del distacco che consentono a me di non perdere completamente il senno in questo mondo bislacco; prova ne sia il fatto che a qualcuno è venuto in mente di creare una simile pubblicità. Evidentemente esistono persone che non oscillano fra l'incredulità, il divertimento e il raccapriccio quando vedono il concetto di innamoramento accostato a quello di gratuità, come se di norma si dovesse pagare una tassa o una retta per invaghirsi di qualcuno. C'è, deve esserci, il marketing sa quello che fa, una fetta della popolazione italiana che sente il bisogno di essere portata per mano alla scoperta della felicità coniugale. O mythos deloi, come dicevano immancabilmente le versioni di greco, laddove per mythos intendiamo l'oscenità ripodotta in apertura di post, che molti (o almeno alcuni) di noi ritengono la ricerca della felicità una questione di competenza. La tecnocrazia che ti entra nel letto, nelle mutande. E tu ringrazi pure che è gratis, perchè non hai capito, da deficiente quale sei (se approfondisci un messaggio del genere sei deficiente), che non si spendono soldi per pubblicizzare qualcosa che non te ne farà guadagnare. La chat sarà gratis, ma una volta dentro cercheranno di venderti libri, prodotti farmaceutici, corsi online e quant'altro.

E nemmeno rifletti sul fatto che, se tu che ti iscrivi a FriendScout 24 hai l'orchestra in testa come Robertino, ci sono serie probabilità che anche i partner potenziali che incontrerai in chat si troveranno nella tua stessa condizione. Sai che concerto che esce...

Allora, le nostre insicurezze, i nostri traumi, le nostre idiosincrasie e piccole fobie e fisime le abbiamo tutti. Vuol dire che abbiamo bisogno di essere guidati nella vita amorosa come degli adolescenti dalle mani perennemente sudate? Non credo. Per la verità, l'amico Rigoberto Saviani scalpita per spiegarvi come si conquista una donna o un uomo, a seconda delle preferenze, ma in questo caso credo che perfino uno sprovveduto come me possa assolvere all'opera  che si profila. 
Allora, io ti scrivo, tu mi rispondi. Ci piacciamo. Ci riscriviamo. Dopo un po' ci vediamo. Se ci piacciamo ancora visti da vicino, ci rivediamo, altrimenti no. A un certo punto ci si porrà il problema, se così si può chiamare, di dare stabilità e concretezza al rapporto: se entrambi lo riterremo opportuno, lo faremo, altrimenti no. E così via, fino all'eventualità di andare a vivere insieme, fare dei bambini e magari sposarsi. In tutto questo ci saranno baci, carezze, coiti, litigi, chiarimenti, distacchi temporanei o definitivi. Che potremo gestire in due, senza l'intervento di consulenti esterni, come del resto hanno fatto innumerevoli generazioni prima di noi. L'unica cosa da ricordare sarà di ripeterci continuamente il mantra creato da un ignoto monaco buddista birmano del VII secolo: "io non sclererò, io non sclererò, io non sclererò..."

So purtroppo che questo auspicio cadrà nel vuoto. Perchè voi volete sclerare. Volete essere inetti e inerti, volete delegare ad altri l'incombenza di traghettarvi verso quella che, si dice, sia la felicità. Non vi sfiora nemmeno l'ipotesi di farvela a nuoto, troppa fatica, e poi ci sono le correnti. E allora va bene, avete vinto. Compratevi il manuale che vi insegna a essere felici (avete visto che non era gratis?). Io, dal canto mio, vedovo sono e vedovo rimarrò. E che faccio, mi perdo il sollazzo di fare un'affacciata ogni tanto e vedere quando siete stronzi?

sabato 6 ottobre 2012

Dicotomie legalitarie


Cari lettori del Bradipo, oggi è Rigoberto Saviani che vi scrive. Vi ricordate di me? Sono il campano campione della legalità e della libertà, il Leonardo da Vinci, il Pico della Mirandola di quelli che al ristorante sanno scegliere bene il vino. Ebbene, sono riuscito a convincere il mio amico Bradipo a ospitarmi di nuovo su queste pagine per affrontare un tema molto importante, sollevato dagli eventi di ieri.

Mentre qui, nel nostro bel paese, il cui unico problema risiede nella presenza di uomini dai volti scuri e torvi, le unghie dei mignoli esageratamente lunghe e gli anelli eccessivamente grossi e pesanti, spesso abbinati a medagliette di santi penzolanti da catene d'oro di dubbio gusto... dicevo, mentre nel nostro bel paese alcune decine di studenti manifestavano inopinatamente contro le politiche del degno, meritevole ed elegantissimo governo Monti, costringendo le irreprensibili forze dell'ordine italiane a manganellarli come se dalle ecchimosi dei primi dipendesse la redenzione dei secondi, nella illiberale e camorrista Cuba la blogger legalitaria e libera pensatrice Yoani Sanchez veniva fermata dalla brutale e repressiva polizia cubana. Poiché vedo che già molti gridano al "due pesi e due misure", fra cui l'amico Bradipo, che amo e stimo, ma dal quale dissento su tutta la linea, è bene che io vi educa sull'argomento. Mettetevi seduti, composti, senza distrarvi. Adesso vi spiego.

La scuola, bisogna prenderne atto, è in grande crisi. Ma da dove comincia questa crisi? Si tratta forse di carenza di fondi? Spesso ci è stato detto, quasi gridato in faccia, che molti istituti non hanno nemmeno la carta igienica nei bagni. Ebbene? Sarà forse una fetida e ripugnante, ma sempre simpatica "sgommata" sulla mutanda dello studente così poco previdente da non portarsi un rotolo da casa, ad impedire il trasmettere del sapere? No, cari amici. Non è questione di sottofinanziamento; quello che ha fallito è la pia, ingenua illusione dell'istruzione universale. Insomma, l'Illuminismo è finito da un pezzo! Parliamoci chiaro: al funzionamento di questa società non serve il sapere, ma il saper fare. Il sapere, per dircela tutta, è solo una gran rottura di coglioni. E siccome questa è la società che mi fa campare di rendita su un libro che è uscito sei anni fa, e una serie di articoli uno più scafesso dell'altro che ho potuto pubblicare solo in quanto nemico giurato della camorra de Napule (perchè, detto fra noi, io non so scrivere), sappiate che io questa società la difenderò a spada tratta! Come si può criticare un ordine socioeconomico che tanta prosperità ha creato per coloro che sanno scegliere il vino più adatto da abbinare a questa o quella pietanza? Rendiamoci conto, dunque, del fatto che quella di istruire tutti è un'utopia, illiberale e di un egalitarismo francamente di cattivo gusto, che può sfociare solo in disordini, come quelli creati ieri dagli studentelli camorristi. Bene hanno fatto, dunque, i nostri valorosi tutori dell'ordine, a intommarli di mazzate. Certo, la violenza va sempre condannata, ci mancherebbe altro. Come faccio a sentire le educatissime note di Vinicio Capossela, se le grida di Tizio o Caio vi si sovrappongono? Finché coloro che vengono massacrati di botte avranno il cattivo gusto di urlare, la violenza andrà limitata al minimo. Ma capirete, cari amici, che questo era proprio uno di quei casi in cui una bella mazzolata ci stava tutta.

E passiamo invece alla mia amica Yoani. Mi direte che era chiaramente provocatorio il suo intento, quando per il processo al quale intendeva presenziare non era accreditata. Mi direte che non accreditarla poteva essere al limite anche una scelta ragionevole, visto che a Cuba non la conosce e non la legge un cane. Mi direte che anche nel liberale e legalitario Occidente si celebrano processi a porte chiuse, o potreste farmi notare che ormai tutti nostri corrispondenti di guerra devono portare un badge che li identifica come graditi a questa o quella potenza occupante, e che quelli indesiderati rischiano di essere bersagliati dai proiettili democratici  del buon soldato di guardia al posto di blocco. Ma il punto non è quello. Il punto è che Cuba è uno stato palesemente camorrista. Prova ne sia che i buoni del mondo sono costretti a sottoporla a un embargo che dura da una sessantina d'anni. Per questo, qualsiasi cosa faccia la polizia di quella disgraziata isola, sbaglia a prescindere. Pensate alla raffinata malvagità che hanno dimostrato nel non sottoporla ad alcun tipo di tortura, da poter poi sbandierare come prova della loro cattiveria... La povera Yoani è stata costretta a imporsi uno sciopero della fame e della sete, solo perchè i camorristi agenti della polizia segreta, incappucciata e sadica di Bayamo non si potevano prendere il fastidio di sottoporla a una sessione di waterboarding, come invece i loro omologhi legalitari, liberali e democratici statunitensi non omettono quasi mai di fare nei confronti dei loro fermati politici.

Per questo, cari adepti, vi metto in guardia: la legalità non è sempre una cosa positiva. C'è legalità e legalità. Nel caso di alcuni gruppuscoli di studenti estremisti che vorrebbero riportare la storia indietro a un'epoca oscura in cui la gente di sinistra non sapeva che vino mettere a tavola, la manganellata e il fermo ci sono tutti; ma se si vuole mettere il bavaglio a chi denuncia un regime illiberale e inspiegabilmente ostile al mercato, quella meravigliosa realtà che consente di pubblicare anche a chi non sa scrivere, allora il mondo libero non può restare a guardare! Liberate Yoani! Che cosa? L'hanno già liberata? E che diamine... Questi nemici della democrazia e della legalità non danno proprio soddisfazione...

martedì 2 ottobre 2012

Tu sì 'nu mariunciello


Così Mario Merola apostrofava un giovane Nino D'Angelo, in una perla della cinematografia napoletana della quale ora non ricordo il titolo. E sarà il caso di notare che, persino in un milieu sociale che dell'onestà non ha mai fatto - per ovvi e in parte validi motivi - una bandiera, quel lessema riesce ad assumere un significato negativo. Rubare è sbagliato, è immorale. Tutti lo percepiamo a livello istintivo. Ma se nel caso di un ladro di portafogli o di un rapinatore l'illecito è lampante, un po' più complessa diventa la questione quando parliamo di reati come il peculato o la concussione.

Inutile girarci intorno, in Italia quello che è di tutti spesso non è di nessuno. Ognuno si guarda il proprio orticello, come dicevamo nell'ultima uscita, ognuno bada alla propria più o meno numerosa batteria di galline. D'altra parte un paese che nasce come è nato questo come poteva mai evolversi? Mi fanno pena quegli ingenui che ancora credono alla favola che i Mille di Garibaldi fecero l'Italia. Il Regno delle Due Sicilie era una discreta potenza militare; se le camicie rosse non fossero state precedute dagli agenti inglesi e dalle loro mazzette finite in mano agli ufficiali borbonici, forse non avrebbero avuto vita tanto facile contro un esercito regolare di decine di migliaia di effettivi. Ma poichè la retorica incontra il gusto del pubblico più delle prosaiche verità, la maggioranza degli italiani continua a credere in tutta buona fede alla favola del Risorgimento, e a tutte quelle narrative che la prendono a modello.

Un esempio su tutti, la mistica del cosiddetto "eroe borghese". Falcone, Borsellino, Ambrosoli, tutti martiri per un'Italia migliore. In nome di chi, si chiede il sottoscritto? In nome del 40-45% di italiani che votavano DC, il partito che per decenni è stato il principale referente politico della mafia? In nome di quella piccola borghesia gretta e meschina che non ha mai osato anteporre un principio morale alla sacra pagnotta? Mi dispiace, cari miei, questi signori non sono morti per voi. Sono morti per la loro etica del lavoro, e voi bottegai da due soldi non vi dovreste nemmeno permettere di pronunciare i loro nomi. Soprattutto sulla sponda PD: chi da vent'anni e più demolisce il lavoro che dovrebbe difendere non ha il diritto di sbandierare questi morti come icone.

Perchè se da una parte c'è l'etica del lavoro, dall'altra c'è quella del guadagno. Sta tutta lì, la questione. O perlomeno io non riesco a vederla in altri termini. Torniamo alla scena da cui eravamo partiti. Mario Merola, che lavora al mercato,  se more 'e famme. Sì, perchè il lavoro, in questa società, in genere è mal retribuito, e non per caso o per fatalità. Nino D'angelo, 'o mariunciello, tene 'e llire. Ha i soldi, perchè ruba. Ruba come Franco Fiorito, er batman, come mezza regione Lazio, come Formigoni, come Mastella, ecc. Come l'intera classe politica italiana. La differenza è che il rubare di questi signori non è basato su logiche di mero opportunismo come quello del nostro mariunciello, ma è sistematico. E, che vi piaccia o no, il fatto che questi signori rubano dà loro la possibilità di far funzionare meccanismi clientelari che reggono una parte significativa dell'economia di questo paese.

"Legalità", odo gridare dal loggione. Ricordate un'altra epoca della nostra storia in cui si faceva spesso appello a questo concetto, in cui i media attaccavano con tanta foga i mariuoli? Io sì. Era il 1992, e il pool di Milano lanciava l'inchiesta Mani Pulite. Molti corrotti e corruttori finirono in carcere, alcuni si suicidarono, altri si autoesiliarono. L'Italia oggi è un paese migliore? C'è più lavoro, più ricchezza, più benessere?

Attenti al ladro con la faccia pulita, quello che sembra tanto per bene, e che cerca di convincervi che tutto va bene fin tanto che si osserva la legge. Le leggi le classi egemoni se le fanno a loro uso e consumo, dopo aver consolidato la loro posizione sfidando l'ordine pre-esistente. I liberali del 1830 sono stati cospiratori e carbonari, quelli del biennio 1919-20 hanno assistito all'ascesa del fascismo praticamente senza alzare un dito. In cosa consiste la vera onestà? Nel lavoro. Nelle mani e le menti di uomini e donne che trasformano la realtà per creare ricchezza materiale e spirituale. Una ricchezza finalizzata al benessere e al progresso, non all'arricchimento di una classe sulle altre. Chi ti fa lavorare, sempre di più e per salari sempre minori, per arricchirsi alle tue spalle, ti sta derubando. E adesso vuole togliere di mezzo i mariuncielli, i ladri di portafogli, per avere il campo libero e rubare meglio. E' retorica, quella della legalità. Un concetto impalpabile e privo di aderenza alla realtà. L'onestà, invece, non è soggetta ad equivoci: ha la consistenza, il sapore e l'odore della sconfitta.

sabato 29 settembre 2012

Figli di nessuno


Equità, uguaglianza, pari opportunità. Che cosa? Non avete capito niente. Ebbè, certo. Scusate, ora la smetto di parlare sanscrito e comincio a esprimermi in italiano. Nella lingua di uno dei paesi più belli e più stantii del mondo; un paese nel quale, ormai da svariati secoli, uomini pii e responsabili, sfoggianti diversi livelli e tipi di pinguedine e calvizie, si adoperano alacremente perchè niente cambi. La nostra storia è un fiume placido e melmoso che segue il suo corso con diligenza e prudenza. Se qualche volta tracima, tutti gli uomini e le donne di buona volontà che ne abitano le sponde sono immediatamente chiamati a costruire nuovi argini, più belli e resistenti, per imbrigliarlo nuovamente. E con quanta lena si mettono all'opera! Non sia mai che la piena dovesse minacciare i loro orticelli, e quelle quattro galline che garantiscono un ovetto fresco ogni mattina.

Sì, proprio un bel paese. Un paese dove, per dirne una, continuiamo a permettere che lo Stato Vaticano celebri processi penali. Oggi alla sbarra c'era il maggiordomo del papa, accusato di aver trafugato documenti di natura confidenziale. Non ci è dato sapere quali torture abbia subito nelle cripte segrete di Castel Sant'Angelo, nè se gli sia stata offerta la possibilità di un'abiura dell'ultimo minuto. I più informati lo danno 5 a 1 arso in Campo de' Fiori, con la lingua in giova.

Ma non è di questo che volevo parlarvi. Perdonatemi ordunque la digressione. Ritornando all'oscura locuzione che apriva il post, parleremo della trasmissione ereditaria del benessere. Come dicevo, questo è il paese dove quando cambia qualcosa il 95% della popolazione viene presa dai tremori, e chiude i bambini in camera. Sarà che il potere politico non si è mai comportato troppo bene nei confronti delle popolazioni autoctone alla penisola, fatto sta che qualsiasi cambiamento sistemico spaventa a morte l'italiano medio. Si stava così bene con il feudalesimo...la verità è che ce la dobbiamo prendere con la Rivoluzione Francese e tutti quei brutti filosofacci atei e svergognati...potremmo stare nella pace degli angeli, e invece per colpa loro c'è la gente cattiva che costringe le mamme ad abortire...e poi, senza la lezione fuorviante di quei pervertiti gallici non sarebbero arrivati neanche quegli altri filosofi, brutti, sporchi e con le barbe lunghe, che hanno cominciato a parlare di redistribuzione della ricchezza, minacciando i nostri orticelli e le nostre gallinelle. 

Insomma, ci ha inguaiato, questo pensiero sovversivo di stampo nordeuropeo. Ci hanno costretti a modernizzarci, a creare istituzioni che per noi non avevano alcun valore, in nome di ideali che ci erano estranei e a dirla tutta ci facevano schifo. Ma noi abbiamo resistito. Strenuamente. All'interno delle loro istituzioni siamo riusciti a mantenere in vita i nostri antichi usi, e  continuiamo tuttora a praticare i nostri valori, quelli belli e sinceri di una volta. Così antichi e genuini che il Mulino Bianco ce fa 'na pippa. No, non possiamo più trasmettere titoli nobiliari, con annessi ducati e contee, e con i sacrosanti privilegi e prerogative sul contado che quelli conferivano. Ma possiamo trasmettere il nostro cognome. Hai detto cazzi...

Amici cari, diciamocela tutta, la verità: ma possiamo mai accettare, noialtri, che il figlio di un architetto, di un ingegnere, di un avvocato, se la giochi sul mercato del lavoro con i figli di nessuno? Con il rischio che quelli, magari più affamati, più determinati, o addirittura più dotati e meritevoli, lo lascino indietro? Con il rischio che un ragazzo per bene, cresciuto ai Parioli, a Posillipo, in una bella villa brianzola, finisca a lavorare in uno di quegli orridi call center per 400 euro al mese di fisso? Come possono essere tanto prive di cuore, le classi subalterne, da chiederci di equiparare i nostri figli, i figli di noi persone istruite, colte, sensibili, a quelli che loro continuano a sfornare con tanta irresponsabilità? Non vorranno venirci a dire che un buzzurro qualsiasi ha lo stesso diritto alla felicità e al benessere di un giovane cresciuto in un ambiente familiare sano, stimolante e vivace? Si mettano l'anima in pace: noi siamo la gente che conta, loro il contado


Ma è anche colpa nostra. Non avremmo mai dovuto permettere che deponessero la zappa e l'aratro per venire a lavorare nelle nostre fabbriche. Li abbiamo lasciati inurbare, abbiamo lasciato che si facessero la lavatrice e il frigorifero, e ora pretendono di essere come noi. Spalleggiati dai potentati mitteleuropei (ci rompono i coglioni dai tempi di Massimiliano d'Asburgo, e non hanno ancora finito) tuonano contro la corruzione e il malaffare... Pazzi! Ma non capiscono che da secoli il nostro paese si regge proprio sul tacito rifiuto e aggiramento di legislazioni sostanzialmente imposteci, ma di fatto estranee a quella che, facendo una piccola concessione all'antico nemico teutonico, potremmo chiamare la nostra Weltanschauung

Maledetti lanzichenecchi! Lasciateci in pace! Lasciate che il popolo italiano si autodetermini, nel segno della continuità storica. Aridatece l'antica Roma! I patrizi, i plebei, i clientes e i postulantes. A noi piace così. Anzi, dirò di più. Torniamo alla terra, alla natura. Torniamo a quel Mulino Bianco dove i figli dei patrizi sono patrizi, e i figli di nessuno zappano, dissodano, arano e quant'altro richieda un'agricoltura da II secolo a.C. Voglio vedere se, dopo una giornata di lavoro come quella, hanno ancora la forza di vaneggiare in sanscrito.

martedì 25 settembre 2012

Branchi di lupi


Che grande invenzione, Internet. Da quando c'è, o comunque da quando ha raggiunto una certa diffusione, tutti possiamo leggere notizie online, imparare da Wikipedia di cosa si ciba l'armadillo, scrivere su un blog tutte le idiozie che ci passano per la testa, così come leggere le idiozie scritte da altri deficienti come noi. Tutto questo ci fa spesso illudere di vivere in un mondo in cui il sapere sia più accessibile, a portata di click; e siccome, parafrasando Gianfranco Marziano, l'evoluzione della specie ha portato dall'uomo primitivo all'uomo debosciato, non ci poniamo eccessivi problemi nel prendere per oro colato qualsiasi cosa ci capiti di leggere in rete. Pensate ad esempio alle citazioni false dei personaggi famosi. Non a quelle volutamente ironiche, ma a quelle che vogliono passare per autentiche, e non lo sono. Si tratta in realtà di concetti che qualcuno ha estrapolato dalla sua personale (magari imperfetta) conoscenza della celebrità in questione, e ha poi racchiuso in una massima che potrebbe anche non rifletterne il pensiero. Ma basta che la frase abbia appeal per il debosciato medio, e vedrete come piovono le condivisioni.

Una volta, quando Internet non c'era, l'accesso al sapere era più difficile. Dovevi comprare i libri, i giornali, o al massimo guardare programmi educativi in TV. Questo voleva dire maggiore difficoltà di condivisione, ma anche un maggiore "peso specifico" del sapere, che veniva assunto in modo più selettivo, attingendo a fonti di maggiore qualità. Se sbaglio a citare un autore in un libro, ben presto qualcuno mi farà notare l'errore; se attribuisco a Martin Luther King una frase che non ha mai detto su Facebook, probabilmente nessuno se ne accorgerà.

Fin quando si tratta di frasi fasulle che scaldano il cuore, nessun problema. Ma quando la comunicazione viene utilizzata con secondi fini, da persone che hanno interesse a convincerci di questo o di quello, bisognerebbe stare un pochino più attenti. Tutti possono scrivere su Internet; questo vuol dire automaticamente che la comunicazione sia diventata più democratica? No, per niente. Perchè fra te, ingenuo sognatore che posti citazioni errate di Gandhi, e i professionisti dell'indottrinamento mediatico non c'è partita. Se non hai senso critico, se non hai la consapevolezza di vivere in una società tutt'altro che omogenea e tesa al raggiungimento del bene comune, ma divisa per definizione fra chi lavora e chi si arricchisce, finirai per ripetere quello che ti ha messo in bocca la fabbrica delle opinioni. Se non capisci che Gandhi, prima che una brava persona, era uno statista di eccezionale intelligenza, ti illuderai che il mondo si cambia con la bontà, con le fiaccolate e postando foto strappalacrime sul tuo muro. E alla fine scriverai quello che ti ha messo in testa qualcuno che a Gandhi l'avrebbe bruciato vivo, probabilmente dopo averlo torturato.

Perchè il punto sta nel nostro bisogno di far parte di un branco, di una fazione, di una tribù. E tu, debosciato che vorresti il mondo a portata di click, e che aderisci a un'idea perchè è bella, non perchè è giusta e corrispondente al vero, sei facilmente arruolabile. Alla fine difenderai le cose che hai letto e sentito in modo feroce, sarai irremovibile nelle tue convinzioni. Questo non è vero solo per Internet, ormai vale anche per la carta stampata e la televisione. La Rete ha cambiato il nostro modo di vedere molte cose, e gli altri media hanno seguito la scia di quel cambiamento. Tutti i dibattiti che vediamo nei cosiddetti "programmi di approfondimento" hanno come unico scopo quello di dare l'impressione di un confronto, laddove invece c'è o semplicemente una masturbatoria riproposizione in mille salse di concetti già saldamente radicati nel sentire comune; oppure nel migliore dei casi, uno scontro fra posizioni opposte e inconciliabili, senza che si faccia il minimo tentativo di capire da dove nasce realmente lo scontro, e di spiegarlo al pubblico. Ormai l'informazione è indottrinamento inconscio o, quando ci va bene, liturgia.

Senza il senso critico non c'è la ragione e non c'è il torto, le idee diventano prodotti da acquistare: ognuno si compra quello che preferisce. I ragazzi di Salò e quelli che hanno combattuto il nazifascismo sono uguali, a parte il colore dei fazzoletti. E diventa accettabile, in nome della libertà di espressione, una pubblicità come questa, comparsa sugli autobus di San Francisco:


Ci sarebbe da capire chi è l'uomo civilizzato; non credo si possa definire tale chi ha partorito questa oscenità, nè chi la legge senza provare un moto di ribrezzo. Ma che volete, lui agisce nell'interesse del branco. Il lupo non è cattivo, è un animale con una forte struttura sociale, e obbedisce al maschio alfa. Preso individualmente, è amabile e cordiale. San Francesco e Kevin Costner possono testimoniare in tal senso. Purtroppo però il lupo non ha senso critico. Infatti, provate a intavolare un discorso con un lupo...tanto vale prendere acqua e sapone, e lavare la capa al ciuccio.