giovedì 16 ottobre 2014

Azione e reazione, potere e impotenza


Stamattina il risveglio, cari amici, è stato duro. Ho dormito male, mi sono svegliato durante la notte, insomma non ho riposato bene. Arrivato a scuola, ho trovato la polizia. Qualcuno aveva rubato i tablet di cui il corpo docente si avvale per tenere il registro elettronico. Fra gli alunni è stato subito il panico. "Prof, è arrivata la cinofila?" Ho risposto che i cani non c'erano ma, se fossi stato in loro, non avrei tentato la sorte. Esodo verso i bagni. Poco dopo gli agenti delle forze del (dis)ordine, in una mossa che immagino si debba essere almeno a destra di La Russa per comprendere, hanno sigillato tutti i distributori di bevande e merendine. Io, che nonostante i ripetuti inviti di Facebook non ho mai "mipiaciato" Giorgio Almirante, quella mossa non l'ho proprio capita. Doppio panico. In qualche modo sono riuscito a fare lezione. Alle 14.30 avevo di nuovo consigli di classe, per cui mi sono intrattenuto a mangiare un mesto panino in un ristobar della tristissima Via Sestri, alla quale dedicherò prima o poi un post, e sono tornato in caserma. 

Ora sono a casa e ho voglia di interloquire con persone che stiano a sinistra non solo di La Russa, ma anche possibilmente di quella feccia bipartisan che ha ridotto la nostra scuola, come del resto il nostro paese, in queste condizioni. E ho voglia di dire a qualcuno ciò che per me è ovvio: che se tratti delle persone, peraltro dei ragazzi nell'età più critica del loro processo evolutivo, da criminali, probabilmente alcuni di loro diventeranno effettivamente dei criminali. Che se rinunci a dialogare, a spiegarti, a farti capire, ma fai lo sbirro, prima o poi dovrai chiamare gli sbirri veri, quelli con la divisa e la pistola, perchè tu non sarai più in grado di gestire determinate situazioni. 

Detto questo, e se non siete d'accordo vi invito caldamente a non commentare e non leggermi mai più, vorrei approfondire un attimo la riflessione. Scendo un attimo a prendere la mia birretta pomeridiana per riconciliarmi con la vita e sono subito da voi.

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Bene, rieccoci qua. Dicevo che mi sarebbe piaciuto approfondire un aspetto, ed ora vi preciso quale: quello del concetto di potere come si delinea nel docente italiano medio. Costui o costei è una sorta di Otello Celletti senza divisa, paletta e motocicletta, e quindi più frustrato. Il suo scopo primario non è di natura pedagogica, ma disciplinare. Riuscite a credere che la prima volta che sono entrato in una classe, in quella casa di correzione che mi è toccata in sorte, i ragazzi si sono alzati in piedi? Ho cercato con lo sguardo Franti e Garrone, ma ho trovato solo l'occhio vitreo del fanciullo profondamente ammorbato e con i filtri affettivi a manetta. "¡No pasarán!" sembravano gridare le loro sinapsi, di fronte ai miei timidi e patetici tentativi pedagogici, e la colpa era chiaramente di quei carabinieri che si sono ritrovati per iinsegnanti. Scusate l'astio, ma quando vedo ragazzi di 16 anni invocare l'intervento dell'autorità perchè "il mio compagno mi insulta" io provo un irrefrenabile quanto inattuabile desiderio di scassare il crocifisso della processione, quello di ferro pesante (cit.) in faccia ai "colleghi" che ai consigli di classe sanno parlare solo di note, sospensioni e presidi. Li avete voluti a vostra immagine e somiglianza. Se vengono fuori ladri, sono comunque usciti meglio di voi.

Siete impotenti, vigili di questa minchia. Siete  impotenti perchè il vero potere consiste nella capacità di creare, di coltivare, di migliorare, tutte cose di cui voi non avete la più pallida idea. Siete rami secchi, e se io fossi uno di quei ragazzi vi sfanculerei esattamente come fanno loro. Orbene, mi sono sfogato. Ora vado a bere un'altra birra per togliermi l'immagine di La Russa dalla mente. Non vorrei un'altra nottata insonne. Alla prossima, amici miei.

lunedì 13 ottobre 2014

Il curriculum occulto e l'idiozia palese


Cari amici del Bradipo, non fatevi sviare dal titolo del post: non intendo farvi una lezioncina accademica, perchè capra come sono rischierei che un McLuhan o chi per lui saltasse fuori da dietro un tabellone pubblicitario e mi dicesse che non ho capito niente del suo lavoro e che è sorprendente come io abbia ottenuto una supplenza annuale all'IPSSAR Bergese. Nessuna lecture, dunque, ma solo qualche riflessione da fesso reoconfesso. 

Guardando i miei studenti inebetirsi ognora davanti ai loro smartphone, capisco quanto sia maledettamente vero che esistono mezzi di comunicazione caldi e freddi, e mi rendo penosamente conto di non essere che un ingombrante, fastidioso iceberg nel mondo cognitivo dei miei alunni. I quali apprendono le loro lezioni, a mio modesto avviso tragicamente fuorvianti, in un universo che riesce a farsi prestare attenzione perchè parla il mellifluo idioma della delega e delle deresponsabilizzazione, che una mente poco avvezza a problematizzare la realtà può facilmente scambiare per libertà. Questa è una difficoltà oggettiva, con la quale deve misurarsi qualunque insegnante. E il rischio di uscire sconfitti dalla guerra contro il torrido mondo simbolico del consumo indotto è piuttosto alto.

A questo punto potreste chiedervi quali strumenti, quali strategie predispone una scuola "di frontiera" per far fronte a una simile sfida. Ve lo dico subito: nesssuno strumento, nessuna strategia. L'unica preoccupazione che ho ravvisato nel preside, nel vicepreside e in buona parte del corpo insegnanti in questo scorcio iniziale di anno scolastico è stata quella di arrivare alla fine della giornata senza danni. Le uniche dinamiche viste in atto, quelle della colpevolizzazione e della punizione.

Io, che ho il vezzo di infischiarmene della fila per due e dell'avanti marche, ho deciso di provare a non seguire quella strada. Devo essere creativo, devo "vendermi" a questi ragazzi, devo riuscire a trovare un qualche codice da condividere con loro. E' idiozia palese pretendere che mi seguano fra i ghiacci polari. E nessuno dà retta a un idiota, se capisce che di idiota si tratta. Proverò dunque a camuffarmi, nella speranza che non si accorgano di quanto sono fesso, e che ogni tanto distolgano lo sguardo dai loro cellullari per chiedersi di cosa vado blaterando. Fatemi gli auguri.

venerdì 10 ottobre 2014

La disciplina dell'acqua

Ieri a Genova l'acqua ha travolto una persona, uccidendola. Nel 2011 c'erano state altre vittime. Da allora, secondo le chiacchiere che si sentono in città, niente è stato fatto per riassestare l'equilibrio idrogeologico della città ed evitare ulteriori tragedie. Si parla talvolta, di fronte a fenomeni metereologici di violenza inusuale, di imprevedibilità ed eccezionalità. Se ci si ragiona da un punto di vista meno infantilmente antropocentrico, si capisce invece con molta facilità che non c'è assolutamente niente di imprevedibile in un'esondazione: l'acqua non fa altro che seguire la sua natura, la sua logica.

La prima reazione allo straripamento di un corso d'acqua è in genere quella di invocare la costruzione di nuovi argini, più alti e solidi dei precedenti. Questo vuol dire applicare all'acqua la logica delle società umane, una logica di repressione e sopraffazione. Come se l'acqua si potesse intruppare, incarcerare, privare del diritto a scorrere. In alternativa l'uomo si arrende e dichiara stato di allerta, una sorta di bandiera bianca alzata davanti a un presunto nemico che in realtà nutre la più completa indifferenza nei nostri confronti.

Non sono un metereologo, ma non credo sia necessario essere posseduti e ispirati dallo spirito del Colonnello Bernacca per dire che imparassimo a cooperare, a dialogare, a negoziare con l'acqua,  nessuno morirebbe più di una morte così assurda. Se offrissimo all'acqua la possibilità di seguire percorsi a lei riservati, togliendo di mezzo un po' di cemento, di laterizi, di pietra, in buona sostanza di ostacoli che stizziscono, indispettiscono l'acqua e ne fomentano la violenza, questa fluirebbe placida, collaborativa e generosa.

La difficoltà è pedagogica. Crea le condizioni per l'apprendimento di strategie nuove, modi diversi di porsi di fronte all'esperienza e risolvere i problemi. Le autorità cittadine sembrano non aver appreso niente dai morti del 2011. Oso azzardare l'ipotesi che non apprenderanno niente neanche dal morto di ieri. Non possono capire l'acqua, troppi argini costringono il loro pensiero. La soluzione non è nella logica del potere, del dominio, dell'annullamento; è nella logica dell'acqua, di quell'elemento irriducibile che tanto ha da insegnarci.