sabato 31 maggio 2014

Analizzare e verseggiare a cuor leggero e tasche vuote


Cari amici del Bradipo, buondì. La tempesta è passata, la nave è affondata, e noi poveri naufraghi siamo circondati da un carosello di pinne dorsali che non promettono niente di buono. Ma anche nei naufragi si può trovare allegria, non foss'altro che per il fatto di non avere più nulla da perdere. Orsù, la vita continua. Riede alla sua parca mensa, fischiando, il zappatore; e il vostro Bradipo ritorna all'opra antica di far che il mondo intier di lui si burli. Andiamo avanti.

Un quesito si pone all'attenzione del volgo, che in queste triste lande è abbarbicato a una visione del mondo pressoché feudale, come la tellina allo scoglio: gli 80 euro di Renzi sono di sinistra oppure no? Detta in altri termini: gli italiani, fiaccati nello spirito da una storia di immobilismo e impotenza praticamente ininterrotti, e incapaci dunque di dare vita a un partito, un movimento, un circolo delle bocce che esprima un'alternativa, fosse anche la più blanda, al cannibalismo ideologico che chiamano "liberismo", si chiedono se Renzi sarà il Babbo Natale che regalerà loro un paese più equo e umano. Concedetemi un'ultima riformulazione: la zanzara gigantesca e apparentemente onnipotente che mi sta succhiando il sangue mi ha appena fatto una modestissima trasfusione; è forse questo l'inizio di un nuovo corso?

A uno studio lacunoso e approssimativo della Storia come quello che può vantare il vostro umile servo si impone all'attenzione un fatto: i popoli sono sempre stati un passo indietro rispetto alle loro classi dirigenti. Sono sempre stati reattivi, mai proattivi. Perfino il socialismo, con tutte le sue diramazioni dottrinarie e tutte le sue prassi rivoluzionarie, non è altro che una rielaborazione dell'economia politica classica, ovvero dello strumento attraverso il quale la borghesia si riproponeva di regolare il suo dominio, allo scopo di renderlo più saldo. E siccome l'uomo collettivo non reagisce a un principio, ma alla sua espressione concreta e materiale, è capitato molto spesso che l'opposizione a un determinato ordine si riducesse a pura resistenza passiva, senza che potesse emergere un principio alternativo con cui lavorare. Per principio non intendo un'idea o una convinzione, ma qualcosa che fosse effettivamente alla base dell'azione quotidiana di donne e uomini, e potesse trasformare il mondo. Lo spirito mercantile che si affermò in Europa fra il trado Medio Evo e l'età moderna era esattamente il tipo di principio di cui parlo. Per questo l'agire del mercante era insieme di tipo economico e politico.

Il marxismo-leninismo ha seguito un'altra strada. Ha detto "beh, il potere sta là, è già bello strutturato e organizzato, noi ce lo prendiamo con la forza e lo restituiamo gradualmente al popolo". Ad altri lascio le analisi sui motivi del fallimento di questo approccio, almeno per quanto riguarda la nostra piccola fetta di mondo. Il punto è che coloro i quali avrebbero dovuto guidare l'assalto al cielo a un certo punto si sono resi conto che la battaglia era persa, ma che lassù qualcuno li amava. Avevano bisogno di loro, della loro competenza e del loro patrimonio morale. E allora sono entrati educatamente, pulendosi i piedi sullo zerbino, e si sono messi a demolire la civiltà a colpi di maglio.

Su una cosa contano, questi signori: sul fatto che il guardo nostro al ciel si volga ognora. Perchè se cominciamo a guardarci dentro, e a guardarci intorno, scopriamo che il principio in grado di schiacciare una volta e per sempre quella fetente di zanzara esiste: si chiama mutuo appoggio. Non carità. Sentirci responsabili gli uni degli altri, lavorare gli uni per gli altri, concepire il benessere come conquista sociale, non personale. Per questo gli 80 euro del caccavellaro sono una trovata da genio del male: ristabiliscono, di fronte a un accenno di orizzontalità e di rifiuto della rappresentanza classica, il prestigio del modello verticale, e la nostra sudditanza ad esso. E il naufragar v'è dolce in questo mare...

lunedì 26 maggio 2014

Vi dovete fottere


Avete fatto la vostra scelta, avete puntato su quella che probabilmente in larga maggioranza credete essere la continuità. Adesso la palla è nel campo del caccavellaro, e voi non avete la minima possibilità di influenzare il suo agire. Adesso vi dovete fottere. Quando vi accorgerete che gli ottanta euro entrano da una parte ed escono dall'altra, vi dovete fottere. Quando vi apriranno la discarica o l'inceneritore sotto casa, vi dovete fottere. Quando sarete in dubbio se bervi un bicchiere d'acqua o uno di coca cola del discount perchè costa meno, vi dovete fottere. Quando la banca vi abbasserà l'interesse sul conto corrente, vi dovete fottere.

E voi, strenui difensori della Costituzione appena Zagrebelsky fa un pirito, che glissate con nonchalance sui comportamenti inqualificabili del vostro Capo dello Stato e su ombre e sospetti che basterebbero a far dimettere un dittatore africano, vi dovete fottere quando Licio Gelli si rivendica il merito di aver partecipato a plasmare nostro presente politico e batte cassa. Voi che basta non mettere una croce sul simbolo del PD per illudersi di non averlo fatto vincere, sapete cosa dovete fare la prossima volta che un esponente della sinistra da aperitivo ride dei morti sul lavoro e della gente che prende il cancro per salvaguardare i profitti dei padroni? Vi dovete fottere.

Voi che avete fatto battaglie su battaglie per darci un paese civile, con una scuola e una sanità pubblica, con dei diritti civili da primo mondo, e ieri siete andati a votare il rottamatore di tutto questo, sapete cosa dovete fare quando vi accorgerete che vengono giù le mura dell'edificio? Vi dovete fottere. Voi "saggi antifascisti" con i capelli bianchi, sapete cosa dovete fare quando il comico "che sembrava Hitler" non avrà più fiato per urlare e comincerete a sentire i bisbigli del vero fascismo, della vera xenofobia che la crisi farà montare come un'onda anomala? Vi dovete fottere. 

Voi comunisti duri e puri, che senza la falce e il martello nel simbolo non se ne parla, o magari neanche con quella, a voi non dico di fottervi. Vi chiedo di riflettere. Può essere che il voto non paghi, può essere che siano altre le strade da percorrere. Bene. Se pensate questo, agite. Scontratevi con la realtà, uscite dal sottosuolo, misuratevi. Oppure sventolate una bandiera rossa a mo' di bacchetta magica, e vediamo cosa succede. Niente? E allora forse ci conviene prendere atto che o riusciamo a erodere quella catena montuosa di inerzia, oppure tutti noi, a prescindere da qualsiasi idea o valore professato, ci dovremo fottere.

domenica 25 maggio 2014

I barbari

Quando io andavo alle elementari, cari amici del Bradipo, la società italiana non si era ancora completamente rincoglionita. A nessuno fregava niente della nostra coordinazione psicomotoria, perchè quella si sviluppava giocando a pallone in mezzo alla strada, come prima di noi avevano fatto i nostri padri e i nostri nonni. Le competenze relazionali le sviluppavamo attraverso complesse dispute pseudo-filosofiche sugli attributi delle rispettive mamme, e quelle logico-matematiche nell'effettuare i difficilissimi calcoli di probabilità che ci servivano a stabilire il valore di ciascuna delle figurine dei calciatori che ci scambiavamo. La nostra scuola, fin dalle elementari, si preoccupava ogni tanto, così, tanto per gradire, anche dei contenuti. E quindi studiavamo la storia, non dico come si studia all'università, ma a un livello di complessità e di approfondimento pari forse a quello di un istituto tecnico di oggi. Tutto questo per dire che a me i Romani mi stavano parecchio sul cazzo.

Allora non l'avrei detto così, ma erano degli imperialisti della peggiore specie. Sì, espressero una grande cultura, mutuandola però dai popoli che andavano conquistando, in primis i Greci. E produssero un livello di corruzione e degenerazione morale notevolissimo. Da Gibbon in poi, fior di storici hanno dibattuto le cause della caduta dell'Impero Romano, ma una cosa è certa: nella sua ultima fase a quell'impero erano venute meno tanto le basi materiali quanto quelle morali della grandezza di un tempo. Il compito di tirare alla Storia questo dente ormai marcio spettò ai cosiddetti "barbari".
Il termine, di origine greca, è onomatopeico. I barbari sono coloro che, quando parlano, non si capiscono. Ba-ba-ba, ma che cazzo stai dicendo? Parla come ti ha fatto tua mamma! Eh, il problema è che a quello la mamma lo ha fatto ostrogoto, e lui ostrogoto parla. Se vogliamo distanziarci un attimo da questo termine palesemente razzista e xenofobo, li chiameremo popoli germanici, o semplicemente, con Tacito, Germani. Abbiamo già stabilito che i Romani li discriminavano. Adesso vediamo un po' se l'immagine che ce ne ha consegnato la storiografia più conosciuta è corretta. Erano veramente così rozzi, violenti e spietati?  

Il pregiudizio ha una grande forza: si insinua laddove non c'è conoscenza dei fatti. E siccome l'ignoranza è tanta, il pregiudizio prospera. Io stesso, ve lo confesso, se non avessi a suo tempo sostenuto un esame di filologia germanica, avrei ancora quell'idea distorta dei Germani. E invece fortunatamente l'esame l'ho sostenuto, e preparandomi a quell'esame ho imparato che le tribù che discesero sulla nostra bella penisola e che la misero a ferro e fuoco avevano un'organizzazione sociale egalitaria, fondata sulla cooperazione e sull'interesse comune. Certo, erano ignoranti, non avevano il minimo accenno di cultura giuridica, nè una cultura scritta. Ma le impararono, queste cose, dai nostri avi in toga. Dopo aver distrutto le strutture di potere di una civiltà completamente putrefatta, ne recuperarono gli aspetti positivi. Non trattarono il loro nemico con lo stesso razzismo e la stessa sprezzante superiorità che da lui avevano ricevuto. Le nostre tradizioni religiose, giuridiche e culturali non ci sono state tramandate da un branco di depravati che mangiavano fino a vomitare, e dopo ricominciavano; non è dalle macerie del loro fallimento che è nata la nostra civiltà, ma dal lavoro dei "barbari" che su quelle macerie hanno ricostruito, riconoscendo il valore del patrimonio ideale di chi li considerava e li trattava alla stregua di selvaggi.

Ai patrizi romani deve essere sembrato che il mondo stava per finire, quando dovettero scappare dall'Urbe per sfuggire alla vendetta di Alarico, condottiero di un popolo ripetutamente ingannato e dunque incattivito. Non era la fine del mondo, era la loro fine. La fine di un ordine che era diventato insostenibile, e che in secoli di storia aveva causato certamente molti più danni di quelli che fecero i suoi saccheggiatori, ai quali fu ordinato di risparmiare i luoghi di culto. Questo, cari signori, erano i "barbari". Ricordatevelo, la prossima volta che leggete La Repubblica o Il Corriere. E ricordatevelo quando entrate in cabina elettorale.


sabato 24 maggio 2014

La dittatura delle professoresse

Parliamo di politica. Anzi, parliamo di cultura. O meglio, parliamo del nostro calvario quotidiano. Questi tre elementi formano una santissima trinità, in cui ciascun elemento non sussiste in assenza degli altri. Adesso che siamo sotto elezioni, gli agenti di questa particolare forma di oppressione si danno un gran da fare per riaffermare un predominio che vedono in pericolo.

Avete mai assistito a una lezione di editing? Io sì. Anni fa ho frequentato un corso di traduzione letteraria, il principale risultato del quale è stato creare in me diffidenza e disgusto per il mondo dell'editoria. Vedere come un editor professionista prende una cosa fatta bene o male, ma comunque con passione, e la trasforma in una sorta di omogeneizzato che non sa di niente (e dunque buono per tutti i palati), è stato fastidioso. Ancora più fastidioso è constatare che esiste un pubblico che premia questa logica distopicamente autoritaria. E la premia, secondo me, proprio perchè la riconosce come tale.

Il fatto è complesso e io non vi voglio ammorbare, per cui risolvo con l'ipersemplificazione: quando un ceto non produttivo abituato al privilegio si sente venire meno il terreno sotto i piedi, reagisce con le armi che ha a disposizione, che poi di solito sono i ferri del mestiere: la penna rossa e la penna blu. Gli intellettuali (termine che uso in senso lato), sommo esempio di classe per se oggi in Italia, assumono tutta una gamma di atteggiamenti che vanno dal conservatore al reazionario, e pretendono di mettere in castigo dietro la lavagna le contraddizioni che non hanno saputo o voluto affrontare. Contraddizioni incarnate, ad esempio, nel percorso lavorativo kafkiano di questo vostro umile servo, o nella parabola maligna che porta laureati in filosofia nei call centre (non è un refuso, professoressa, è lo spelling britannico) a farsi coprire di insulti da centinaia di persone ogni giorno.

Io dietro la lavagna non ci vado. Nel mio tema ci scrivo quello che mi pare, e il voto da voi non me lo faccio dare. Siete voi, piuttosto, che dovreste stare attenti al giudizio che delle vostre pedantissime lezioni emergerà da quella infallibile griglia di valutazione chiamata Storia.

giovedì 22 maggio 2014

Scapezzo e palingenesi

Cari amici del Bradipo, domenica si vota. C'è chi vi mostra il culo, chi preferisce rivolgersi agli armenti, e chi prova a imbonirvi con promesse di paghette e improbabili detrazioni fiscali. Io non farò niente di tutto questo. Mi cimenterò invece, per l'ennesima volta, in un tentativo di ragionamento. Localizzate l'uscita più vicina e cominciate a staccare la linguetta all'estintore. Cominciamo.

Come sempre, il vostro umile servo parte dal personale per arrivare al sociale. Siccome nella vita ho letto quattro libri, tutti per giunta pieni di figure (non dimenticherò mai il tratto soave e le placide tinte che davano forma al meraviglioso mondo di quegli anatroccoli...), non so dire se questo metodo si chiama induttivo o deduttivo. Ma insomma, mo' vi conto il fatto. Come qualcuno di voi forse già sa, io mi reco due volte alla settimana in un borgo selvaggio (che non essendo natio vieppù mi ripugna) vicino Napoli per fingere di insegnare inglese in un istituto paritario. Allo scopo di guadagnare il punteggio in graduatoria che mi consenta di lavorare per lo Stato, io presto opera in un luogo in cui si infrangono costantemente le sue regole e si fanno pipì e pupù sulla sua Costituzione. Questo è fondamentale per capire l'essenza del nostro paese.

Dunque, nell'istituto paritario di cui sopra, si regalano i diplomi. O meglio, si regalano dal punto di vista del merito scolastico, ma si acquistano regolarmente presso la segreteria al momento dell'iscrizione. Naturalmente, questo è implicito nel sistema, non specificatamente espresso in alcun documento. E ci mancherebbe. Ma quello che regola veramente la vita di una comunità, che sia una scuola o uno stato, non sono le sue regole scritte, bensì quelle implicite nei rapporti socio-economici fra i suoi membri. In pratica, in una scuola in cui la promozione è stata pagata in moneta sonante e quindi bocciare non è un'opzione, viene meno agli alunni ogni incentivo allo studio. Sebbene esistano registri, voti e scrutini, questi si riducono a una ridicola pantomima, dal momento che non esiste un barlume di attività formativa. Gli insegnanti, pertanto, sono ridotti alla condizione di baby sitter o, nella migliore delle ipotesi, di fratelli maggiori degli alunni. E per questo ricevono punti in graduatorie che attestano la loro esperienza come insegnanti.

Ora, io non credo che in altri settori della vita economica di questo paese le cose vadano tanto diversamente. La discrasia fra quello che dovrebbe essere e quello che è testimonia, per come la vedo io, una semplicissima verità: il sistema di regole e rapporti informali che chiamiamo "corruzione" è il vero ordine, in Italia. Fin quando non si pone rimedio a quella discrasia, a quello sfasamento, è inutile parlare di programmi e di piattaforme politiche.

Molte persone di sinistra, o sedicenti tali, insistono a riconoscersi in questo o quel candidato, in questa o quella lista, per via del discorso che porta avanti o degli elementi di identificazione che ha scelto. Mi permetto di far rispettosamente notare a quelle persone che si sono fatte irretire in un concetto liberale della rappresentanza. In buona sostanza, acquistano il prodotto che preferiscono, come se il fine della politica fosse offrirci uno specchio in cui rimirarci, e non gli strumenti per modificare il mondo. Dobbiamo scegliere con attenzione le nostre priorità. E oggi la priorità in questo paese e in tutto il continente, politicamente parlando, è lo scapezzo di un modello sciagurato. Un modello che non ha mai funzionato e che ha prodotto discrasie su discrasie, risolvendo con la censura morale questioni che erano eminentemente, ripeto, socio-economiche. 

Abbiamo bisogno di licenziare questo modello, non mettere una croce sulla sua interpretazione che più ci aggrada. Se riteniamo che il voto sia utile a tale scopo, allora dobbiamo votare. Se invece pensiamo che l'astensione sia una strategia più efficace, allora dobbiamo astenerci. Ma se non ci rendiamo conto che ci dobbiamo scapezzare, che dobbiamo aprire la porta alla confusione, a nuovi paradigmi che ancora non siamo in grado di prevedere del tutto, allora ci dovremo tenere un paese, un continente, un mondo molto simile all'esamificio di cui vi ho parlato: un mondo ignorante e senza visione del futuro, pieno di regole che nessuno rispetta, e che va avanti comprandosi gli esami.

lunedì 19 maggio 2014

Effetto Larsen




Chiunque abbia mai fatto parte di un gruppo musicale conosce i nefasti effetti del feedback. Si narra di giovani imberbi che al termine delle due ore di prove settimanali nel solito scantinato male o punto insonorizzato non erano in grado di ricordare con certezza non solo cosa avessero suonato (se di suonare si poteva parlare in simili contesti), ma neanche le proprie generalità. Oltre le varie forme di distorsione delle onde sonore, oltre le colonne d'Ercole del rumore indecifrabile, era in agguato un terribile, spaventoso mostro: l'effetto Larsen.

Avete presente quando nei film di fantascienza comincia a lampeggiare il bottone rosso, la sirena dell'allarme si mette a suonare e una voce metallica annuncia senza la minima emozione "questa astronave si autodistruggerà fra 20 secondi"? Ecco, era così che ci sentivamo quando l'effetto Larsen squarciava l'aria umida e stantia della sala prove e minacciava di far esplodere prima i nostri timpani e poi i coni delle casse da cui fuoriuscivano i nostri misfatti "musicali".  

Bastava, in quegli anfratti angusti e sovrappopolati, collocare male un microfono, e il batti e ribatti di onde sonore da una parte all'altra del circuito elettroacustico culminava invariabilmente in un tetro presagio di strumentazione distrutta. I più pessimisti e teatrali arrivavano a immaginare incendi che divampavano fulminei, alimentandosi della immancabile moquette, del legno degli strumenti e dei vestiti di chi li imbracciava. Nel mezzo, sghignazzando la propria follia, Nerone pizzicava la cetra.

Eppure c'è chi l'effetto Larsen ha saputo dominarlo e incanalarlo nel proprio stile, arrivando a trasformarlo da fastidioso problema in opportunità espressiva. Hendrix è il più classico degli esempi, ma non ne mancano tanti altri, pensate ad esempio ai Sonic Youth.

Adesso voi vi state ponendo una domanda: ma perchè questo ci sta parlando dell'effetto Larsen? E io ve lo dico: perchè denoto, in un momento storico di profonda trasformazione del discorso politico e delle sue coordinate, una forte paura, tanto più forte nei sedicenti rivoluzionari, rispetto all'equivalente politico dell'effetto Larsen: la mobilitazione. Un leader - o potenziale tale - scorge nella società in cui vive determinate istanze, le porta avanti, ne guadagna prestigio, catalizza nuove istanze. E così via, in un loop che può portare a conseguenze mai del tutto prevedibili, ma tanto più controllabili quanto più quel leader conosce e sa gestire i principi che governano il feedback.

Forse coloro che disdegnano queste dinamiche preferirebbero suonare a spartito, secondo una concezione più classica della musica, in cui il rumore è puro e semplice disturbo. Può darsi anche che abbiano ragione. Io mi limito a prendere atto che oggi milioni di persone esprimono chiaramente il desiderio di ascoltare Hendrix, e non mi dispiace affatto la cosa. Se pure la sala prove dovesse andare a fuoco, credo che mi aprirei una birra e la guarderei bruciare insieme a Nerone. Tanto va comunque rifatta da capo.


domenica 18 maggio 2014

Un post lungo, noioso e pretenzioso


Da tempo sento una necessità che non so dire se sia frutto di una mia presunta maturità intellettuale o di un tempo che mi pare gravido di cambiamento: capire qualcosa di filosofia. Non è facile, amici, se tenete conto, come vi ho più volte candidamente ammesso, che sono ignorante e fesso. Non è che adesso io mi metto dieci minuti davanti a Wikipedia e capisco Kant ed Hegel. Eppure si avverte il bisogno, nell'assenza di autorevoli ingegni e di un dibattito politico e culturale serio, di avere criteri di analisi e valutazione. Non possiamo accontentarci delle letture prodotte da persone stupide e ignoranti più o meno quanto noi, e per di più interessate a turlupinarci. Il faro è spento, dobbiamo navigare a vista. E se il massimo a cui posso ambire io, personalmente, è un accendino Bic con poca carica, penso che farò con quello. Io voglio vedere la scogliera sulla quale temo che potremmo infrangerci da un momento all'altro, non una cartolina della scogliera di vent'anni fa.

La Storia è maestra di vita, non c'è dubbio, a patto che si capisca che si cambia spesso d'abito. E l'abito, si sa, non fa il monaco. Quello che fa il monaco è la convinzione di servire il creatore di tutto ciò che esiste, il nomos, stabilito il quale (ovviamente per rivelazione) tutto il resto viene da sé. La morale è obbedienza, aderenza a una legge immutabile a cui l'uomo è soggetto, costi quel che costi.

Mi è parso di capire, anche grazie all'aiuto di amici che la filosofia l'hanno studiata come si deve, e sono forse anche un po' meno fessi di me, che questa idea entri profondamente in crisi nel XVIII secolo, e soprattutto con Kant. Mi pare, e qui potrei sbagliarmi clamorosamente perchè si tratta di una mia impressione non sottoposta al vaglio dei saggi, che il buon Immanuel sia stato quel che si direbbe oggi un "innatista" per quel che concerne la sua concezione della ragione umana. Quanto sia sgradita questa concezione lo si può capire dal numero e dalla varietà di animali ai quali si è tentato e ancora si tenta di insegnare il linguaggio umano, con l'unico risultato di confermare sempre lo stesso semplice fatto: gli animali non hanno il concetto di sintassi, non ci arrivano. Ma non divaghiamo.
La mente umana ha caratteristiche proprie. Il modo di vedere il mondo dell'uomo non è quello del gorilla, dello scimpanzé o del pappagallo. L'uomo ha di più: ha il logos. E per questo, evidentemente, si è evoluto oltre il gorilla, lo scimpanzé e il pappagallo. Può concettualizzare la conoscenza e trasmetterla attraverso il linguaggio. E può giudicare, in un modo molto più sofisticato dell'animale, in quanto appunto articolato e comunicabile. Può, mannaggia a tutti i santi, produrre una sua morale.

Torniamo a Hegel. Lo maneggeremo con la stessa superficialità e imperizia che è toccata a Kant. Hegel credeva in dio. Per cui, quando ha sviluppato il suo sistema filosofico, ce lo ha messo dentro. Semplice, no? Se io descrivo una dinamica devo anche spiegare qual è la forza che la muove, e questa in Hegel, se non ho capito male, dovrebbe essere la Provvidenza. Il nomos di cui sopra che dall'esterno plasma la Storia.

Mo', se voi credete a dio, vi può anche stare bene tutto questo. Resta però un Kant appeso, e una domanda sorge spontanea: e se dio non esistesse? Il nomos dove lo andiamo a prendere? Al Carrefour? No, lo produciamo noi, cari lettori che ancora non mi avete mandato in mona, come dicono a Castellammare di Stabia. Lo produciamo noi costruendo giudizi su ciò che chi fa le veci della Provvidenza ci propina attraverso il ben noto processo di tesi-antitesi-sintesi. 

Non invidio i teisti, in questo preciso momento storico e in questo paese. La loro fede sarà messa a dura prova. Perché cercheranno il nomos, la legge, l'ordine immutabile che cambia continuamente nella forma per lasciare la sostanza immutata, dal momento che la sostanza è la divinità; lo cercheranno e, come la Titina della vecchia canzoncina, non lo troveranno. Inorridiranno nel vedere stuoli di semianalfabeti completamente ignari dei concetti di noumeno e giudizio sintetico a priori dare l'assalto alle loro chiese, ai loro santi e ai loro paramenti sacri. Si rifugeranno sui tetti, chiederanno al nomos di trarli in salvo, mentre la manifestazione fenomenica della minchia cacata inonderà le strade e le piazze. E quando resteranno buggerati da chi aveva scommesso, nonostante tutto, sull'Uomo, capiranno con un certo fastidio nella regione rettale cosa vuole dire "la legge morale dentro di me".
 

lunedì 12 maggio 2014

La bandella che non fu


Little Britain Mr Mann - Film di Hyperbolic778

"Vorrei noleggiare un film con Chevy Chase e Rick Moranis nella parte di due poliziotti che si calano nei panni di rapper per fermare un traffico di droga". Sembra avere le idee molto chiare il sig. Mann. Il commesso non conosce questo film, ma la moglie Margaret, invariabilmente fuori campo in queste gustosissime scenette, ne sa di cinema. Interpellata, ammette però che questa trama non le dice niente. Il punto è questo film potrebbe anche non esistere, ma è comunque quello che il sig. Mann vorrebbe vedere.

Smettetela di ridere. Guardate che non siamo tanto lontani dalla realtà. Anni fa collaboravo con una nota casa editrice italiana; dopo una caterva di schede di lettura di pessimi thrilleracci americani pagate come la giornata di lavoro di un bracciante guatemalteco, mi fu commissionata una bandella. Questo era per me motivo di soddisfazione, visto che mi avrebbero pagato cento, dico CENTO euro, a fronte dei circa 40 delle schede. La prima cosa che notai è che mi passarono la scheda di lettura del romanzo in questione. Ecco dunque il passaggio successivo della filiera: prima la scheda, poi la bandella, poi l'inevitabile barbarie dell'editing. Ogni volta che penso all'editing mi viene in mente la scena di Goodfellas in cui tagliano a pezzi i cadaveri nel seminterrato e li mettono nelle buste della monnezza. Ma non divaghiamo.

Dunque, leggo la scheda, qualche cartella del libro, e scrivo qualcosa. Me la rimandano subito indietro, spiegandomi che non è esattamente quello che cercano. Ci riprovo, e di nuovo la rispediscono al mittente. Per farla breve, avete presente quelle bandelle in cui vi riassumono e spiegano il libro che state per leggere? Così la volevano. Ma io la bandella mi rifiuto di scriverla per andare incontro al sig. Mann. Se tu pensi di sapere esattamente cosa vuoi leggere, secondo me c'è un problema. Dice una vecchia canzone di Paul Weller che il pubblico vuole ciò che gli viene dato. E dice Oscar Wilde ne L'anima dell'uomo sotto il Socialismo che non è l'artista a dover andare incontro al pubblico, ma esattamente il contrario.E, per non citare sempre figli della perfida Albione, in Ingresso libero Marziano fa osservare ai suoi personaggi che il rock ha cominciato a scapezzarsi quando il mercato ha cominciato a proporre sottogeneri sempre più ristretti. La gente comprava i dischi o andava ai concerti sapendo già cosa aspettarsi. La musica aveva perso la capacità di proporre qualcosa di fresco. A ognuno il suo scaffale, nel grande supermercato che stava diventando il mondo. E qui sono costretto, dopo questo italianissimo Marziano, a citare il Peter Gabriel dei Genesis di Selling England by the Pound


La libertà di scelta è una cosa seria, e come tutte le cose serie implica sforzo. E, soprattutto, implica che si esca da un'ottica passiva. Non è libertà poter consumare esattamente ciò che pensiamo di voler consumare, quando chi produce ciò che consumiamo non è libero. Quella bandella io non la scrissi mai. Mi tenni le mie schede di lettura, e le traduzioni che poi arrivarono a incatenarmi davanti a un PC che a luglio e agosto si faceva fornace. E devo ringraziare tutta la mediocrità che ho incontrato in quel percorso professionale se, autocritico e insicuro come sono, ho avuto il coraggio di aprirmi questo blog. E più mi rileggo, e più rileggo loro, più mi rendo conto di aver scelto bene.

domenica 11 maggio 2014

L'eterna lotta fra il bene e gli sciemi

Ieri, nel tardo pomeriggio, mi sono recato presso la libreria Librido di Via Nilo, al centro storico della mia città, Napoli. Aprendomi con notevole difficoltà un varco fra la monnezza e i camorristi, e dopo aver confutato le tesi deprecabili di alcuni giovani giuristi in T-shirt che chiedevano la riapertura del processo ad Antonino Speziale, con la deplorevole conseguenza di far piangere con le lacrime svariati epigoni di Torquemada e Mastro Titta, sono giunto al cospetto di un signore che si chiama Amleto De Silva. Devo dire però, con tutta l'ammirazione che ho per Amleto, che io non sono andato lì per lui, ma per me. Per provare a spiegare questo concetto sono costretto ad avventurarmi in un ragionamento. Vi chiedo scusa in anticipo delle eventuali, nefaste conseguenze.

Aprite il vostro social network preferito, e provate a leggere come i commenti dei vostri amici trattano un evento o una questione di cui avete esperienza diretta, o su cui vi siete comunque formati un certo bagaglio di conoscenze e un'idea ben documentata. Comproverete, nell'arco di pochi minuti, come si sia instaurata in questo paese una vera e propria dittatura dell'idiozia. Orwell aveva peccato di ottimismo. La sua visione di un'umanità costretta a uniformarsi a un pensiero dettato dall'alto è stata superata a destra e senza mettere la freccia da una concezione del vivere sociale da istituto di igiene mentale, un enorme opificio in cui ci costruiamo le nostre catene da soli, convinti per giunta di esprimere in quello la nostra individualità. Come è successo?

Ha fatto bene ieri lo zio Amlo a invitare Daniele Sepe. La cultura è condivisione e memoria, e in un paese che ne ha ormai pochissima la testimonianza e la prospettiva che può darti chi non ha voluto dimenticare sono preziose. Ti permettono di capire meglio quella parabola emotiva che in questo paese ha travolto vite, intelligenze, patrimoni di identità collettive, e ha lasciato il profumo per l'uomo che non deve chiedere mai e i cioccolatini della moglie dell'ambasciatore. La Storia non è fatta solo di guerre, battaglie, date, trattati, confini tracciati su una mappa; chi vorrebbe ridurla a questo vorrebbe ucciderla. E con lei la possibilità per noi e chi ci succederà di guardare avanti e scorgere un domani che non sia uno stanco, stolido trascinarsi del presente. Ma vedo che mi sto lasciando prendere la mano. Visto che la scrittura è sottrazione, mi autocensuro e vado avanti.

Dunque, parlavamo della Storia. Nel bel mezzo del banchetto che seguì il crollo del Muro di Berlino, con lo sfaldamento del blocco orientale e la facogitazione di quei disgraziati popoli da parte della "logica" che aveva vinto, qualcuno cominciò a suggerire che la Storia era finita. Era ufficiale: quello era il migliore dei mondi possibili. Quest'idea si è purtroppo affermata. Ormai la nozione che il mondo in cui viviamo sia plasmato da conflitti che vanno oltre la dimensione personale, familiare o di clan, e che dunque si possa vincere o perdere insieme, è limitata a un numero penosamente ristretto di persone. Il mondo è letto dalla stragrande maggioranza di noi come un enorme talent show: si compete tutti contro tutti, solo in pochi ce la fanno, e lo decide la giuria.

Ma chi decide da chi è formata la giuria? Perchè io non ne faccio parte? Perchè gli scrittori, i musicisti, i giornalisti e gli intellettuali oggi in Italia sono una banda di sciemi? E perchè io, che come scemo non sono secondo a nessuno, devo andare elemosinando lavoro a destra e a manca? Ma è semplice, cari amici del Bradipo: perchè abbiamo comprato il quieto vivere al prezzo del silenzio. Perchè, a torto o a ragione, lascio ad altri il giudizio, una generazione che aveva vissuto un conflitto purtroppo inevitabile quando si mettono in discussione le "decisioni della giuria" ha pensato che forse l'idiozia e l'inanità erano preferibili al disordine. Si è bevuta un bel whisky, sognando di poter esclamare "abbiamo l'esclusiva", e se ne è andata a nanna.

Ecco perchè mi sono recato a via Nilo, ieri sera. Per capire se si può costruire un'alternativa alla dittatura degli sciemi, e con quale voce può parlare. Perchè non voglio soccombere. Perchè posso al limite anche accettare di vivere male e con poco, ma non in silenzio. Reclamo il diritto di far parte di un'altra giuria, che ragioni e giudichi in base a criteri diversi. Reclamo il diritto, insieme agli altri membri di una giuria che non ha bisogno di essere legittimata perchè è popolare, di promuovere e bocciare, fino a quando gli sciemi non saranno ridotti al silenzio. Allora, e solo allora, sarà veramente finita la Storia.

domenica 4 maggio 2014

Fratelli d'Italia

E ieri sera abbiamo esagerato con la birra. Non poteva essere altrimenti, la vittoria va festeggiata, specie quando la vita è un susseguirsi di sconfitte. Quando l'amico pessimista mazzarriano preconizza sventure al vedere Insigne e Hamsik in campo, solo perchè hanno fatto un'annata deludente quanto un paio di zizze a pellecchia tirate fuori da un wonderbra. O uomo di poca fede, non hai ancora capito che Rafa resuscita i morti? E se il buon Fernandez si muove nella linea difensiva come un bambino con la sindrome da deficit di attenzione e iperattività, regalando un gol a un vivace Vargas, poco male: in panchina c'è un belga più eplosivo del grisù che vuole il gol molto più intensamente di quanto un ricorsista Anief vuole la cattedra. 3-1 e quinta Coppa Italia per il Napoli, la prima conquistata da Don Rafael. Veni, vidi, vici.

Ma siccome esiste una regola cosmica che recita così: "Tu non avrai tregua. Noi, gli sciemi, padroni e demiurghi dell'Universo, troveremo il modo di intossicarti ogni momento di gioia",  alla soddisfazione e al godimento viscerale per il coronamento della più bella idea di calcio mai portata a Napoli da un allenatore si è sovrapposto il disappunto per l'ennesima constatazione di un amaro destino.

Tardo pomeriggio. Sono davanti al PC in cerca di aggiornamenti sulla situazione ucraina, quando mi imbatto nella notizia del ferimento di un tifoso napoletano. Raggiunto al petto da un colpo di arma da fuoco, sarebbe grave. Avevo appena terminato di bestemmiare l'Unità per il grottesco travisamento del massacro di Odessa. Sono stato costretto a ricominciare subito. L'idea stessa che ci siano persone in questo paese che aspettano un evento sportivo per percuotersi con o lanciarsi oggetti contundenti mi porta a conclusioni scoraggianti sul futuro che ci attende tutti. Non è che mi voglio mettere a fare il pippone sulla violenza, ma diciamo che si possono trovare motivi migliori per tirarsi coltellate, come dimostra una nutrita produzione musicale e drammatica napoletana. Mah, meno male che Higuain ha recuperato, mi dico.

Arriva l'ora convenuta per il match, e sono insieme ai soliti amici di pallone, davanti al televisore. Si gioca, non si gioca...non si capisce. Il nostro capitano va a conferire con alcuni esponenti della tifoseria. Alcuni dirigenti e poliziotti confabulano coprendosi la bocca come è ormai di prammatica (staranno svelando il segreto di Ustica o i mandanti di Piazza Fontana?). In realtà stanno concordando la verità ufficiale sulla sparatoria di qualche ora prima: si tratta di un episodio che non ha niente a che vedere con il calcio. La notizia viene prontamente diffusa, e in breve si raggiunge un accordo con i capi della tifoseria partenopea: si gioca, ma senza tifo azzurro. Siccome si tratta degli ultrà del Napoli, il tifoso che dà l'ok per cominciare è subito identificato come "Genny la carogna", legato ad ambienti malavitosi. Forse qualcuno dimentica un derby romano di qualche anno fa, o una sfida fra la nostra nazionale e la Serbia, in cui si verificarono situazioni analoghe, senza che l'intero sistema mediatico nazionale sentisse il bisogno di tirare in ballo la banda della Magliana e le Tigri di Arkan. La camorra, si sa, vende. Accattateve a Genny 'a carogna. Vabbè, perlomeno si gioca.

Ma prima che si possa finalmente guardare un po' di benedetto calcio, ci dobbiamo sorbire l'inno cantato da una sciacquabicchieri che mi dicono gli amici essere una cantante. Io dico "guarda, non è possibile, questa c'ha la stessa voce di Memmo Carotenuto!" E invece è proprio una cantante, ha vinto Amici. Frateeelliii, d'Italiaaa!!! La partita si gioca, vinciamo noi, l'arbitraggio una volta tanto è ottimo. L'uomo che ormai io amo ai limiti dell'omosessualità e idolatro ai limiti del teismo solleva la Coppa. Attimi di gioia, coadiuvata da un flusso continuo e costante di birra rigorosamente italiana.

Mi sveglio, stamattina, con un po' di mal di testa. Ho paura ad accendere il PC. Ho paura, perchè so di essere circondato, so che questa massoneria potente e numerosa ha in pugno il paese. Quale massoneria? Quella dei succitati sciemi. Genny la carogna ha più copertura della nostra vittoria, il tifoso ferito resta grave ma passa in secondo piano. Io resto in pigiama, e scrivo queste poche righe. Fratelli d'talia, l'Italia s'è desta. Chissà se l'hanno svegliata i colpi di pistola o tutte le stronzate che ci fidiamo di dire.

venerdì 2 maggio 2014

Ai piedi di un altare


Cari amici del Bradipo, ormai credo di poterlo affermare senza tema di smentita: questo è un paese fanatico fino al midollo. Ieri pare che Piero Pelù, un artista che non seguo più da anni, abbia lanciato dal palco del concerto del 1 maggio, che pure non guardo da anni, delle accuse a Matteo Renzi. Lo ha definito "il boyscout di Licio Gelli" e ha criticato la sua politica. Siccome io non vado trovando "dio sul secondo canale", per parafrasare Massimo Troisi, mi sono rallegrato del fatto che un artista a me non più caro abbia colto l'occasione di una manifestazione a me non gradita per esprimere una critica che ritengo giusta a un personaggio che, per quanto mi riguarda, non verrà mai criticato abbastanza. 

Bene, su quello zoo safari chiamato Facebook (che per me ha ormai la stessa valenza dei sogni di Anna O. per Freud) ho cominciato a leggere tutta una serie di critiche all'ex cantante dei Litfiba. In parole povere, alla sua esternazione sono seguite, come una sorta di riflesso pavloviano (in Italia quel tipo di reazione è putroppo una triste norma) innumerevoli e varie constatazioni dell'umana fallacia di Pelù, e del suo "vivere nel peccato". E' un milionario rancoroso, ce l'ha con Renzi perchè lo ha sostituito in un talent show, ha rovinato i Litfiba e via discorrendo. Un'opinione pubblica da paese in via di sviluppo, anzichè soffermarsi sulla locuzione "boyscout di Licio Gelli", ha sentito l'immediato bisogno di affrettarsi a mettere dei paletti, temendo evidentemente che l'estroso musicista venisse canonizzato, avendo compiuto il miracolo di lanciare un messaggio controverso dal palco più democristiano dell'Italia post-bellica.

Let's cut to the chase, come dicono a Sparanise: una società che non risolve il suo rapporto con dio è destinata a vivere e morire ai piedi di un altare. Vi pare un concetto astratto e "filosofico"? Sappiate che ne sono incapace. Io sono terra terra, semi-illetterato, ma non stupido. E quando afferro un'idea nella sua concretezza che te ne fai di un pitbull, non la mollo più. Se vogliamo affrancarci dalla sudditanza al concetto di divinità, dobbiamo innanzitutto capire come e perchè l'abbiamo generato. Vi invito dunque per l'ennesima volta a leggere Proudhon, in particolare l'introduzione alla Filosofia della miseria. Uno dei sei o sette libri che ho letto nella vita, e ne è valsa la pena. Il fatto è che Proudhon postula dio come concettualmente antinomico all'uomo: l'uno non esiste senza l'altro. Fare come se dio non esistesse, fingere che non sia una presenza costante nei nostri schemi mentali, vuol dire condannarsi a subire la sua tirannia, diventare burattini mossi dalle sue dita, che parlano attraverso la sua voce maldestramente camuffata.

Io sono un uomo. Non ridete, su, fate i bravi. Io sono un uomo: finito, fallace, contraddittorio, meschino, debole. Sono tutte queste cose in parte per via della mia natura, e in parte perchè ho millenni di autoritarismo sulle spalle, millenni in cui l'Umanità non ha fatto altro che litigare sugli attributi di dio, perfino in quelle manifestazioni culturali e politiche che ne postulavano l'inesistenza. Millenni in cui ci siamo dannati a erigere una Torre di Babele dopo l'altra, anzichè sforzarci di comprendere i nostri, di attributi. Da solo non posso migliorare più di tanto. Ho bisogno di voi, e voi di me. Se no si mischiano le lingue, e litigare su quale sia quella parlata da Geova non risolverà una beata mazza. Se cresciamo, cresciamo a scapito di dio. E lo facciamo insieme. Io, voi, Piero Pelù e chiunque smetta di cercare un infinito che chiude sempre la porta in faccia a qualcuno.

giovedì 1 maggio 2014

Uno orizzontale

Cari compagni nella sventura del vivere qui ed ora, buon 1 maggio. Come accade ciclicamente, oggi voglio propinarvi un post di egocentrica riflessione ed introspezione. La ragione di questa decisione sta nel flusso di pensieri, come al solito scalcagnati e indisciplinati, che mi hanno portato dalla disgustosa vicenda  degli applausi agli assassini di Federico Aldrovandi in un tortuosissimo percorso mentale, il cui capolinea è stato, purtroppo per me, Michele Serra. 

Dovete sapere, cari amici, che ogniqualvolta io sento su di me tutto il peso della violenza connaturata al sistema, mi si para innanzi agli occhi il volto furbo e sornione di Michele Serra. Quest'uomo, un tempo sedicente comunista, commenta pacioso dalla sua amaca le cronache di un popolo che sprofonda nel baratro; una voragine aperta sotto i suoi piedi da un capitalismo che ormai non si pone neanche più il problema di mitigare i suoi appetiti, essendosi imbattuto nell'idea geniale quanto aberrante di trasformare i consumatori in debitori. Mentre i figli dei beneficiari di decenni di teoria e pratica economica quanto meno ragionevoli vanno avanti a contrattini dalla durata e dalla retribuzione ridicole, lui pontifica nel suo iperuranio su questioni che possono apparire rilevanti solo a chi è attrezzato per resistere al cannoneggiamento della rapacità elevata a credo. 

Cosa scatta nella mia mente quando penso a Michele Serra? Avete presenti i filmati che il drugo Alex è costretto a visionare durante la sua rieducazione in Arancia Meccanica di Stanley Kubrick? Ecco, moltiplicate quello per dieci, e forse vi avvicinerete. E ogni volta questa tempesta di odio e risentimento mi fa riflettere. Mi dico che la violenza è una risposta istintiva a un'aggressione, reale o percepita; è un meccanismo di difesa, e non certo fra i più evoluti. I meccanismi di difesa più evoluti sono quelli costruttivi.

E qui scattano altre due elucubrazioni. La prima riguarda una conclusione alla quale sono giunto dopo questi tre anni e mezzo di blogging: la gente ha una forte tendenza a leggere quello che conferma la sua visione del mondo, e ignorare quello che la mette in crisi. Detto così sembra ovvio. Certo, ero ben consapevole di quanto il contrario sia vero per quanto riguarda l'editoria, l'intrattenimento, la cultura prodotta dall'alto. Pensavo che invece attraverso un blog sarebbe stato possibile costruire con i lettori un rapporto diverso, genuinamente interpersonale. Non è stato così. Ho ricevuto apprezzamenti da molte persone, a ben vedere, ma quasi esclusivamente quando scrivevo quello che loro volevano leggere. I pochi commenti che ho raccolto sono stati, al 90%, indignate proteste contro alcune opinioni che avevo espresso. Ho riscontrato, in breve, una passività scoraggiante. Questo mi ha dissuaso, in certi periodi, dallo scrivere.

Il punto è che, come dicono Protagora e il prof. Bellavista, l'uomo è la misura di tutte le cose; e l'uomo Bradipo ama essere esposto a idee e punti di vista nuovi, e non ritiene che cambiare idea voglia dire rinunciare a qualcosa, ma esattamente il contrario. Come dicevo prima, la migliore difesa sta nel costruire. Il problema è che, per costruire un edificio grande e solido, in grado di difenderci dalle cannonate di cui sopra, bisogna essere in tanti. E bisogna mettersi d'accordo. Il Novecento è stato, per motivi storici e strutturali che mi sembrano ovvi, il secolo dell'assalto al cielo. Nel XXI secolo questo approccio non appare più praticabile. La qual cosa, secondo l'uomo Bradipo, è un fatto estremamente positivo. Siamo rimasti ognuno in compagnia e in adorazione del suo dio, alla ricerca della sua ombra: prima o poi dovremo renderci conto di quanto sia futile questo atteggiamento. L'assalto al cielo non solo non è più possibile, ma neanche necessario. Non è verso l'alto che dobbiamo protenderci, ma gli uni verso gli altri. E capire che Fontana è arte, e Fontana non è arte. Sta tutta lì la nostra salvezza.