martedì 28 marzo 2017

Rumenta

"Rumenta" è parola genovese che indica, come forse avrete intuito, la monnezza. Ora, vi ricordate quella storia che tutti gli uomini sono uguali, senza distinzioni di razza, censo eccetera? Si tratta di una clamorosa cazzata. Gli uomini, semmai, nascono uguali; il seguito sta a noi scriverlo. Dico "semmai" perché dobbiamo, se parliamo di uguaglianza, tenere conto di tutti coloro che nascono con seri handicap. Un esempio potrebbero essere le mie mani, geneticamente inadatte a suonare la chitarra, o qualsiasi altro strumento a corde.
 
Dunque, nasciamo più o meno tutti uguali. Ma poi ognuno di noi si scrive la propria parte nella commedia del mondo, e tutti insieme, di conseguenza, ne scriviamo la trama. E, per scrivere, bisogna saper tenere la penna in mano. Questo, in buona sostanza, è l'educazione. Parlo di educazione, e non di istruzione, perché siamo esseri umani e non lavatrici. Tutti diversi, sebbene uguali, e tutti sprovvisti dei programmi di lavaggio. Se sai scrivere, partecipi alla stesura del copione. Altrimenti, fai la comparsa fino al giorno in cui butti il sangue.
 
Amarcord. Quando ero fanciullo, mia madre insegnava in un istituto tecnico, proprio come me adesso. Io leggevo i temi dei suoi alunni (insegnava italiano e storia) con grande curiosità, frammista a un senso di ammirazione; sì, perché quei ragazzi e quelle ragazze, nonostante l'augusta genitrice li tempestasse di insufficienze, scrivevano non c'è male. Almeno, così mi pareva all'epoca, quando ancora avevo tutti i capelli in testa e neanche un pelo di barba. Oggi che la mia peluria è migrata verso Sud come una rondine, magari avrei un'impressione diversa, chissà. Ma una cosa mi appariva chiarissima: quei ragazzi e quelle ragazze si impegnavano.
 
Quando ho cominciato a insegnare, mi sono chiesto che tipo di insegnante volessi essere. Ho letto qualcosa, visto che a me hanno insegnato a leggere, e un testo in particolare mi ha colpito molto: La pedagogia degli oppressi di Paulo Freire. In questa opera ho trovato una formula che mi ha affascinato tanto da impararla a memoria: "la vocazione storica e ontologica a essere di più". Parole bellissime e sommamente pregne di significato. Ripetetele, assaporatele, palleggiatevele un po'. Sono la fine del mondo. O l'inizio di uno nuovo.

Già, un mondo nuovo. Una volta c'era chi ci credeva. Ora nessuno perde più tempo a immaginare qualcosa al di là dell'esistente. Forse molti non si rendono neanche conto che esista un divenire storico, che le società vanno cambiando. Ad ogni modo, non si concepisce più la possibilità di essere di più. Tutto è ciò che è, e basta. Chi è poco farà finta di essere molto, o almeno un po' di più, per non sentirsi quello che è: rumenta. La scuola non serve più al resto di niente. Dovrebbe insegnare (e in molti casi lo fa) a mentire, a imbrogliare, a falsificare, e soprattutto a nascondersi a se stessi. La Storia è finita, e la speranza di un futuro migliore è ormai qualcosa di inutile, inservibile: è rumenta.