mercoledì 30 marzo 2016

Quando mamma e papà non hanno fatto i compiti


Buonasera a lor signori. Parliamo, tanto per cambiare, di scuola. Tanto ormai lo avrete capito, ci sono fissato. Il lavoro debilita, certo, l'uomo, ma al contempo lo nobilita. Senza il mio lavoro io sarei un coglione dalla rada capigliatura che scrive idiozie su Facebook, strimpella orrendamente la chitarra e consuma le risorse del pianeta. Lo so per certo, perché fino a un paio di anni fa lo ero. 

Dunque, come potreste aver evinto dal titolo, parliamo delle colpe dei genitori rispetto all'indeguatezza scolastica dei figli. Lungi da me assolvere gli orridi mutanti che riempiono le mie classi da tutti i loro innumerevoli vizi, una vastissima gamma di nequizie che va dall'incontinenza al sadismo; piuttosto, mi interessa individuarne le cause scatenanti.

Imparare vuol dire interagire con il mondo, e fin qui non credo di dover dimostrare nulla. Tutti abbiamo un amico o un parente che, dopo un periodo più o meno lungo trascorso all'estero, è tornato in Italia onusto della conoscenza di una lingua straniera. Il malvagio John Peter Sloan, alfiere dell'imparare divertendosi e pertanto nemico naturale di ogni docente di inglese, vorrebbe farvi credere che l'idioma della perfida Albione è tutto una gag. Io, invece, vi dico che lo zio emigrante ha imparato a parlarlo soprattutto grazie all'immenso valore educativo della frustrazione. Il bambino impara a dire "acqua" nel momento in cui la madre decide di dargli da bere fuori dai pasti solo in seguito a una richiesta verbale. Se questa vi sembra una crudeltà, andatevi a guardare due gag del mio nemico e non mi leggete più. Frustrare il bambino, entro certi limiti, vuol dire fare il suo bene. Se lo zio emigrante ha imparato a esprimersi in inglese è stato per soddisfare le sue necessità, per sottrarsi a uno stato di perenne disagio. Ed è per lo stesso motivo che i nostri lontani antenati hanno imparato ad accendere il fuoco, inventato la ruota, ed escogitato sistemi di simboli per rappresentare il linguaggio. La frsutrazione è una sfida, e vincerla ci fa crescere, in ogni senso.

La domanda che scatta a questo punto è la seguente: i genitori vogliono che i loro figli crescano? Sono in grado di volerlo? Vi sembra un quesito strano? Bene, partiamo da lontano. Ve la ricordate la bufala dei gatti bonsai? L'idea di poter distorcere lo sviluppo di una forma di vita a fini estetici, sebbene abbia dei risvolti evidentemente grotteschi, non è così lontana dalla mentalità di molti genitori, sapete. I figli sono qualcosa di loro, quasi come una proprietà personale, da imbottigliare nelle loro aspettative, da assoggettare alle loro dinamiche, e soprattutto da esibire. E, in un'epoca di infelicità tragicamente dilagante, la prima cosa da esibire è proprio la felicità. La persona che non ha strumenti di analisi adeguati confonde la frustrazione di cui si parlava prima, quella che può essere vinta, con un altro tipo di frustrazione, perenne e strutturale, e cerca disperatamente di sottrarsi, e sottrarre coloro che ama, al malessere più tetro, soddisfacendo immediatamente ogni pulsione soddisfacibile. In breve, pratica il consumismo. Lo pratica in ogni ambito della vita sociale in cui gli sia possibile praticarlo. Dal momento che ormai la scuola è un servizio erogato ai singoli, non più alla collettività (con tutto il carico di responsabilità sociale che ne conseguiva), lo pratica anche nel rapporto con quella e con gli altri enti formativi.

Ecco qui, caro/a signore/a, perchè tuo/a figlio/a non impara. Non sa gestire la frustrazione, e non sa distinguere quella buona da quella cattiva. La colpa dei suoi insuccessi ha dunque un peso insostenibile, che lui o lei getterà immediatamente e immancabilmente sul docente. E tu, povero/a imbecille, lo/a asseconderai. E continuerete a comprare un sollievo effimero quanto incompleto, per tutta la vita. Gli comprerai l'iPhone, e in modo non dissimile gli comprerai un titolo di studio che senza "aiuto" non riuscirà mai a conseguire. Lo/a hai allevato al fallimento e all'incapacità di capire perché fallisce. L'impreparato che ti ha mandato su tutte le furie, mettitelo in testa, è tuo prima che suo.

 

mercoledì 23 marzo 2016

Tertium non datur

Da un po' ormai latito dalle lunghe, estenuanti discussioni sulla politica nazionale a cui per un periodo mi sono dedicato su Facebook. La ragione è semplice: adesso ho modo di agire, in una professione secondo me cruciale nel forgiare il futuro di un paese, laddove prima non mi era concessa che un'inane chiacchiera. Oggi, come insegnante, io esercito un potere, che non è certo quello di scrivere numerini su un registro (e non mi sorprende che quegli alunni e quei genitori che ci vedono solo in tale veste ci considerino dei coglioni); il vero potere di un insegnante sta nell'opportunità che ha di risvegliare il senso critico dei suoi alunni, facendoli uscire dal dogmatismo e dal feticismo di nozioni morte che puzzano di cadavere.
 
Per questo, cari i miei loro, non parlo più di politica su Facebook. Preferisco dedicare le mie energie al lavoro, un'ora del quale vale più di mesi di sterili ciance. Questo perché sono i fatti, come si suol dire, che contano. I trionfi intellettuali ci danno soddisfazione, ma lasciano il tempo che trovano. E, soprattutto, i trionfi intellettuali spesso si realizzano in un nichilismo che nega ogni prassi, mentre conserva una purezza inutile quanto puerile. 
 
Eppure, di tanto in tanto, mi ritrovo taggato in qualche discussione. Ed ora che sono in vacanza, il vuoto temporaneo lasciato dai miei amati mostriciattoli dalla mente virginea come la prima neve deve essere occupato.Torno a chiedermi, dunque, perché ce l'avete così tanto con il M5S. Non sarà mica che anche voi vi siete chiusi nella cieca venerazione di nozioni morte che puzzano di cadavere? Perché, se guardiamo i fatti, la situazione è estremamente semplice: esiste un establishment politico che ha affossato questo paese, da qualunque prospettiva si voglia guardare la cosa. Per fermarlo, prima che ci riduca ancora peggio di come siamo ridotti, occorre una forza che coaguli intorno a sé consenso di massa. Questa forza, oggi, può essere solo il M5S. Non ne esistono altre, né è ipotizzabile che ne sorgano, nella situazione attuale. Chi vuole agire politicamente (agire, non elucubrare) oggi in Italia, deve necessariamente muoversi nella scia di questa forza, se non dentro di essa. Questo perché oggi in Italia l'unico tema generativo, per usare un'espressione mutuata dalla pedagogia, è l'onestà. Tutto il resto è chiacchiera liturgica. E l'onestà è una delle facce della giustizia. Fino a quando non si affermerà nel senso comune dell'italiano la necessità di rispettare delle regole, e di pretenderne il rispetto da chi gestisce il potere politico, qualsiasi cambiamento significativo sarà impossibile. 

Dunque, scegliete fra una visione opportunistica, vile e parassitaria della politica, e una imperfetta, eterogenea, contraddittoria forza di opposizione con una leadership discutibile. Tertium non datur. La vostra superiorità analitica e morale non ha valenza politica, e se non siete stupidi lo capite bene. O 1 oppure 0. O ti mangi questa minestra o ti butti dalla finestra. O ti tieni la classe politica della "buona scuola", o li mandi a casa. Tertium non datur. O resti a sviluppare raffinatissime costruzioni mentali mentre ti smantellano il paese intorno, o smetti di sedere e rimirare, e ti sporgi per guardare cosa c'è effettivamente oltre la siepe. Vedrai, esimio professore, un popolo esausto e moralmente distrutto. Se gli vuoi parlare, comincia da ciò che gli sta a cuore; oppure continua a parlare di lui, e mai con lui. O l'una o l'altra. Tertium non datur.

martedì 1 marzo 2016

Guai ai vinti!

Una volta esisteva una chiara differenza fra Destra e Sinistra. Al di là di ogni possibilità di confusione o di convergenza sul piano teorico, c'era un elemento che le distingueva immediatamente nel discorso quotidiano, informale, non accademico. Si trattava di un aspetto "sentimentale", sebbene indubbiamente collegato a una Weltanschauung precisa e strutturata: la Sinistra aveva pietà dei vinti. 
Quel signore che getta la spada sulla bilancia, facendola ulteriormente abboccare a danno dei poveri Romani, è Brenno. Nel 390 a.C. assediò l'Urbe, riducendone la popolazione allo stremo delle forze, fino a che non fu raggiunto un accordo per il pagamento di un tributo aureo da parte dei nostri antenati. Secondo le fonti romane, la bilancia con cui fu pesato l'oro da consegnare a Brenno era stata truccata dai Galli. Alle italiche proteste, il baffuto duce ribattè compiendo il suddetto gesto e pronunciando la frase riprodotta nel fumetto, e che io ho scelto come titolo di questo post.
Dov'è la ragione di Brenno? Nella forza. Nel mondo antico, il forte ha ragione e il debole ha torto. Ciò che distingue il debole dal forte, in quel momento storico, è il valore militare. In altre parole, chi ha il vigore e l'abilità necessarie per annichilire le ragioni dell'altro trionfa. Se sia giusto o meno questo principio lo lascio giudicare a voi, o augusti lettori.
Che differenza passa fra il mondo di Brenno e Furio Camillo e il nostro? Ecco, quando ci spostiamo dal passato al presente abbiamo subito un evidente vantaggio: la disponibilità di fonti dirette. Andate a fare un giro nei quartieri della vostra città abitati dagli immigrati, dalla "classe meno abbiente",  da chi oggi è assediato da parte di una forza al cospetto della quale le truppe di Brenno fanno sorridere. Poi accendete la televisione o leggete un giornale. Ecco, basta tanto a capire chi sono i forti oggi, e su cosa si fonda il loro diritto. Un diritto declinato in svariate forme, ma sempre riconducibile all'archetipo di tutti i diritti borghesi, cioè quello alla proprietà dei mezzi di produzione. Di tutti  i mezzi di produzione. Anche un utero, un ventre, sono mezzi di produzione. Guai ai vinti, che per sopravvivere all'assedio dell'altrui diritto sono costretti a gettare finanche la propria carne su una bilancia che insulta la giustizia quanto la pietà.