sabato 29 agosto 2020

Complotti e non...

 

 Buongiorno a tutti. Il mese di agosto sta finendo, settembre si avvicina, e con esso la riapertura delle scuole, per la quale tanto si stanno impegnando una pluralità di soggetti, dalla ministra ai presidi, fino ad arrivare ai soldati semplici di questo gaio esercito, gli insegnanti. Se il 14/09 è ormai dietro l'angolo, comunque abbastanza vicino è l'autunno, con la prossima ondata di influenza stagionale. Combiniamo questi due fattori, e aggiungiamoci lo stile comunicativo e la linea editoriale della maggor parte dei mezzi di informazione, e l'unico risultato possibile è il panico. Se questo ragionamento è tanto trasparente quanto scontato, ci si potrebbe chiedere per quale motivo i timonieri della nave dello Stato puntino dritto dritto contro l'iceberg, anziché virare con decisione. Bene, prendiamo le mosse da questo dubbio.

Ora, sappiamo bene come chiunque sollevi dubbi sul modo di inquadrare tutta una serie di eventi e fenomeni (dei quali il covid è solo l'ultimo in ordine temporale) venga immediatamente bollato come complottista. Per questo credo possa essere utile fare una distinzione: quella fra complotti e congiure da un lato, e qualcosa di più sottile e sfuggente dall'altro, che proveremo ad afferrare insieme con la stessa grazia e destrezza con la quale un ubriaco prova ad afferrare una farfalla; dopotutto siete nelle mani di un fesso, non ve lo dimenticate mai.

Orbene, e dico orbene, sappiamo che i complotti non mancano nella storia. Giulio Cesare non è morto cadendo dalle scale, a quanto ci risulta. La Rivoluzione Francese, da un certo punto in poi, non è altro che la cronaca di una serie di macchinazioni e tradimenti, con annessi omicidi.

 

 La congiura delle polveri ha lasciato un'impressione così viva nell'immaginario inglese da essere ricordata ogni anno, il 5 di novembre, con dei falò in cui la gente brucia oggetti non più desiderati. Ma questi complotti hanno tutti una caratteristica in comune: sono scontri fra potenti. Nessuno trama nell'ombra per accoltellare un poveraccio. Forse è questo l'elemento che rende ridicolo il complottismo propriamente detto.

Poi c'è una cosa diversa, che con i complotti c'entra veramente poco, e che  non è facile - almeno per questo fesso - definire in poche parole: chiamiamolo la capacità delle classi dominanti di orientare il discorso pubblico. Una volta si sarebbe potuto parlare di egemonia culturale, ma il mondo in cui ci troviamo a vivere è andato oltre; indebolendo i legami sociali e spingendo a tavoletta il pedale dell'individualismo, lascia i singoli soli davanti a uno schermo, terrorizzati dall'eventualità di rimanere soli, aggrappati all'unica forma di gregarietà che sopravvive ai cataclismi socioeconomici che ormai non ci danno tregua: l'identità di vedute. Siamo animali sociali, dobbiamo sentirci uniti agli altri in qualche modo. Che questo modo sia una comune fede religiosa, politica, calcistica, è poco più che un dettaglio. Abbiamo bisogno di sapere che altri esseri umani vedono lo stesso mondo che vediamo noi.

Naturalmente, l'AD di un grande gruppo industriale o finanziario non vede lo stesso mondo che vediamo noi, mi sembra chiaro. I suoi interessi non sono i nostri, i modi in cui tesse i suoi rapporti sociali e le finalità a cui essi sono ispirati sono profondamente diversi dai nostri. Ma, e questo è il punto cruciale, nel momento in cui queste persone controllano in modo capillare ed estremamente sofisticato il discorso (come è sempre accaduto in tutte le epoche, ma mai in modo così pervasivo), i loro occhi diventano i nostri. Quindi ha perfettamente ragione chi ride delle pur esistenti teorie del complotto, sostenendo che tutto avviene alla luce del sole. Certo che è così. Il punto non è cosa vediamo, ma come lo guardiamo. I giochi di prestigio, si sa, si eseguono proprio sotto il naso del pubblico.