giovedì 21 gennaio 2016

Ricchiòòòòòò!!!!!

Signori, qua il fatto è serio. Non sono più i tempi in cui tutto era lecito fin quando non si mettevano le mamme in mezzo; oggi il linguaggio è una selva di divieti e trappole. Puoi dire a qualcuno, ad esempio, che è la schiuma di mezzo alle pacche dei cavalli di Bellomunno quando arrancano sulla salita di Capodimonte sotto il sole di Agosto, trainando un morto chiattone, e nessuno avrà molto da eccepire; ma prova a mollare il classico "ricchione" e sarai subito nell'occhio del ciclone. La rima non era voluta, è che non so scrivere. Non c'è neanche bisogno di pronunciarlo con quella carica di disprezzo di quando uno dice "sì 'nu ricchione 'e mmerda!". Qui anche un ricchione semplice, un frocio o un finocchio, è passibile di gogna. Ma che ci sarà mai di offensivo nell'essere ricchione? Niente. Infatti, ormai nessuno che abbia completato la terza media ti chiama più ricchione per denigrare la tua omosessualità. Ad esempio, se io trovo dopo mille giri a vuoto un posto auto e faccio per entrare, ma vengo preceduto all'ultimo momento da un  astuto lestofante, potrei esclamare "ma tu vide a 'stu ricchione!", pur non avendo alcun elemento probatorio sul quale basare la mia ingiuria. Se lo chiamassi "figlio 'e zoccola", il ragionamento da fare sarebbe lo stesso. Le probabilità che io conosca la madre dello stronzo in questione, in una grande città, sono scarse. Succede che a volte usiamo certe parole ed espressioni in un modo che abbiamo ricevuto in eredità dal passato, quando i padri prendevano i figli a cinghiate e il delitto d'onore era punito con minore severità di un furto d'auto.

Ma una cosa è vera, nel mondo del calcio c'è tanta omofobia. La mia teoria, che forse troverete irrispettosa e irriverente, o forse bislacca, è che non possiamo dare tutta la colpa agli scostumati che spostano con la bocca. Un po' di responsabilità ce l'hanno anche i responsabili del design e del marketing (due parole discretamente gay, a mio parere), che hanno arricchiunito il meraviglioso giuoco del calcio. Ecco le mie umili proposte per riportare un po' di ommità nel mondo dell'arte pedatoria e così contrastare l'annoso problema dell'omofobia sul rettangolo verde:

- Abolire gli scarpini colorati. Cioè, voglio dire, porti lo scarpino fucsia e poi ti sorprendi se ti danno del buliccio? A questo punto mettiti il tacco dodici...

-  Decretare per legge che la superficie esterna del pallone deve essere composta tassativamente da pentagoni di colore nero ed esagoni di colore bianco; o, ancora meglio, presentare una colorazione omogenea, quella del bruno, ruvido cuoio non verniciato. Ommità a manetta.

- Togliere i nomi dei giocatori dalle maglie. Che cos'è questo vezzo da prime donne? Maradona non aveva scritto niente sulla schiena, ma la gente sapeva chi era. Certo, se sei un fesso qualsiasi rischi che nessuno ti riconosca quando tocchi palla. Ma se sei un fesso qualsiasi, perchè ricordarlo continuamente a tutti?

- Le maglie stesse devono essere in lana per i tempi freddi e in cotone - rigorosamente non acetato - per quando fa più caldo. Saranno ammesse solo tinte unite e strisce. Se guardando la divisa sociale in controluce si riesce a intravedere femminei ghirigori, il club riceve una penalizzazione di 10 punti.

- Ai giocatori non sarà consentito lamentarsi o restare a terra per più di cinque secondi, a meno che non abbiano subito un infortunio grave. Nel caso in cui un perito medico super partes dovesse verificare che il calciatore sta simulando, procederà con un apposito randello a procurare l'infortunio, e ristabilire così un clima di leale virilità.

- Per finire, gli arbitri torneranno a indossare la casacca nera e saranno diffidati dal sorridere. Un arbitro come si deve è brutto, cornuto e di estrema destra. 

 

giovedì 7 gennaio 2016

Un bastimento carico carico di...

Immaginate, cari lettori, un bastimento carico carico di affiliati ai Casalesi, ultras dell'Atalanta, borgatari romani, sottoproletari semi-analfabeti del profondo Veneto di quelli che tirano sassi dai cavalcavia, pluriomicidi della Locride e sicari di Cosa Nostra. Immaginate che questo bastimento carico carico di merda approdi nel porticciolo di una tranquilla cittadina norvegese. Quanto tempo impiegherebbero, secondo voi, i suoi occupanti per ridurre la suddetta cittadina a una landa desolata e devastata, in cui la gente si chiuderebbe in casa per paura di essere accoltellata, derubata, stuprata, torturata senza motivo, e mangiata viva? Magari questi infelici si lamenterebbero, naturalmente sottovoce, dell'arrivo degli italiani. E sbaglierebbero. Perché è evidente che in un caso simile non sarebbero gli italiani ad essere arrivati, ma la monnezza degli italiani.

Mi rendo conto di essere ripetitivo, ma certe contraddizioni sono diventate così lampanti, e la dimostrazione del fatto che io avevo ragione è così chiara, che non posso fare a meno di venire a riscuotere la mia vincita. Il sindaco di Colonia, una donna, ha invitato le sue concittadine a non vestirsi in modo vistoso per evitare molestie: di fronte al pericolo di un'ondata di razzismo, ha ritenuto preferibile enfatizzare le responsabilità delle donne, piuttosto che la bestialità di certi uomini. Se questa dichiarazione fosse stata fatta in un'altra città e in un altro momento, apriti cielo. Ma è stata fatta adesso, a Colonia, in un contesto in cui il migrante (categoria generica, guai a fare distinzioni!) è sacro, e anche la donna, di solito (giustamente) tutelata con particolare attenzione, è sacrificabile sull'altare della "multiculturalità". In buona sostanza, se ti metti la minigonna oggi a Colonia e uno qualsiasi degli animali che sono entrati in Germania nel votta votta della scorsa estate ti violenta, "te la sei cercata".

Vi stupite? Vi indignate? Pensavate che nel votta votta in questione ci fossero solo poveri profughi siriani in fuga dall'orrore della guerra? Ma ci siete mai stati allo stadio? Ma li avete fatti i tre giorni? Ma non lo sapete che una fetta ragguardevole della specie umana fa schifo al cazzo e non aspetta altro che un'occasione per dimostrarlo? Figuriamoci, poi, in una situazione in cui saltano tutti i controlli. Questa è la multiculturalità, non l'Erasmus a Barcellona. L'Erasmus non serve ad arricchire trafficanti di esseri umani, non serve alle organizzazioni criminali per muovere merce e manovalanza, non serve ai padroni a indebolire la posizione contrattuale dei lavoratori. Serve, quello sì, a scambiarsi esperienze e confrontarsi, venendo a contatto con altre culture. Tutte cose, come vedete bene, inutili, se non come spot pubblicitario. La "multiculturalità", quella seria, è un'altra cosa: è un bastimento carico carico di merda.