domenica 31 marzo 2013

Il calvinista


Signore e signori, mi presento. Il mio nome è Pier Paolo Palermo, e sono un calvinista. Mi piace lavorare, e mi piace il lavoro. Lo ritengo l'aspetto più importante e più straordinario dell'esperienza umana. Non so se ci farà entrare in Paradiso, ma sicuramente non c'è progresso fuori di esso. La storia dell'evoluzione della specie umana coincide con la storia dell'organizzazione del lavoro. Più l'uomo impara, più impara a fare, più è in grado di modificare il mondo che lo circonda. Di renderlo più ospitale, più sicuro, più predisposto ad essere ulteriormente migliorato in funzione dei bisogni e delle aspirazioni umane. 

Dal Medio Evo a oggi, la storia del continente europeo può essere vista come un continuo, strenuo tentativo di liberare il lavoro dal giogo del potere politico, da parte di coloro che attraverso il lavoro cercavano di migliorare la propria sorte, anzichè continuare a trascinarsi stancamente nel solco tracciato dai padri. Il lavoro è rivoluzionario, nel momento in cui si interpreta come opportunità di crescita individuale e collettiva, e non come un infausto destino.

Ma che discorsi fai, Bradipo? Sembra di leggere uno di quei siti Web aziendali in cui si parla di vision e mission! Se avete questa impressione, è evidentemente perchè il vostro concetto del lavoro è figlio di un'epoca senza slancio, più vicina allo spirito del contadino feudale che non a quella del mercante tardomedievale. In realtà, se andiamo a (ri)leggere i classici del socialismo, tanto sul versante marxista quanto su quello libertario, troveremo unanimi riconoscimenti dei meriti storici della borghesia, della sua intraprendenza, della sua alacrità. Giustizia, uguaglianza, solidarietà, sono tutti concetti che dobbiamo alla borghesia; prima che arrivasse lei a sparigliare l'ordine feudale, esistevano solo Dio e il Re, e il loro volere. 

Obiezione: ma la borghesia si è arricchita attraverso lo sfruttamento del lavoro! Stai forse elogiando il capitalismo, dannato mammifero arboricolo? Assolutamente no. Ma il fatto che in un regime di proprietà privata il lavoro sia schiavitù, nè più e nè meno che in sistema feudale, con la differenza che la necessità di soddisfare dei bisogni si sostituisce all'istituto della servitù della gleba, non cancella il fatto che il lavoro sia in potenza un fattore di progresso. Va organizzato, tutto qui.

Nel corso del Novecento sono emersi nella prassi due modelli, o meglio una serie di modelli riconducibili a due tipi fondamentali. Uno, molto più rodato, con più partigiani, in breve più forte; l'altro più giusto, ma più debole, per una serie di motivi che non è certo questa la sede per affrontare. La sintesi fra questi due modelli ha prodotto la socialdemocrazia, che senza voler andare troppo per il sottile potremmo descrivere come un capitalismo "attenuato". Il lavoro è comunque ridotto alla condizione di merce, ma lo sfruttamento del lavoratore è quanto più possibile regolamentato, per assicurargli un'esistenza che non si discosti troppo dalle nozioni di dignità e benessere condiviso. Un compromesso che si potrà giudicare più o meno positivo, ma pur sempre un compromesso. L'unica forza attiva restava il capitale, con il lavoro in catene. I deboli lacci che vincolavano il capitale non potevano durare a lungo, e difatti sono stati strappati. Oggi il lavoro è quanto mai mortificato, i lavoratori hanno meno diritti di quanti ne avessero i loro genitori. Non hanno rispetto, non hanno amore per il lavoro (e in effetti, in quanti possono permettersi questo lusso?), ma di riflesso godono del benessere accumulato dalle generazioni passate. Un benessere per cui non hanno lavorato.

Gli italiani non vogliono farsi mettere le mani in tasca. Gli italiani non vogliono perdere il diritto al benessere. Gli italiani ce l'hanno con la casta. Gli italiani si devono svegliare. Mi forzo a dirlo, perchè ho ancora nella memoria tutti quegli atroci "ITALIANI SVEGLIA!!!" che circolavano su Facebook dopo le elezioni, in relazione al risultato positivo del PDL. Ma state tranquilli, non ce l'ho con Berlusconi. Sto cercando di fare un discorso serio, una volta tanto. Gli italiani si devono svegliare, e devono capire che la ricchezza si produce attraverso il lavoro. E che i piccoli privilegi, gli sgravi fiscali, i BOT e le azioni della Telecom non li salveranno dalla recessione che ci sta facendo a pezzi. Bisogna riscoprire il lavoro, imparare a rispettarlo, comprenderne l'insostituibile ruolo di motore del progresso sociale. Bisogna capire che è il momento di smettere litigare sulle briciole, e rimboccarsi le maniche. Rimettere il lavoro davanti a ogni altra cosa. Il socialismo non è più un'utopia; è una necessità. Il Paradiso non esiste, ma si può costruire.

sabato 30 marzo 2013

Guerra di posizione e guerra di manovra


Bene, nell'ultimo post abbiamo lasciato Libero nel suo fortino, mentre tutt'intorno l'Italia sprofondava in un demenziale declino fatto di amoralità e sensi di colpa e inadeguatezza. Chi mai ci fermerà la follia che per le strade va, sotto forma di cortei di lavoratori, disoccupati, studenti? Chi mai spezzerà le nostre catene? Chi darà un futuro alle generazioni benvenute in Vodaphone, ma puntualmente respinte quando provano a farsi strada nella cosiddetta civiltà del benessere? Ci vorrebbe come minimo un incrocio fra Mario Merola e Gaetano Bresci, un supereroe che gira la mano e si mette a paccariare i signorotti feudali che gestiscono il potere politico in questo paese fino alla loro resa icondizionata; fatto quello, tale supereroe dovrebbe poi avere la forza e la determinazione per mettersi a tu per tu con il novello Sacro Romano Impero che ci opprime non meno di quanto il Barbarossa opprimesse le fiere città lombarde nel XII secolo, e dirgli che lo spread ci arimbarza, e che la strada verso la prosperità dovrebbe essere percorsa mano nella mano, non lastricata dei cadaveri dei paesi "poco virtuosi".

Vabbè, ci siamo fatti prendere la mano. I supereroi, lo sappiamo bene, non esistono. Esistono invece personaggi di particolare carisma che riescono a raggruppare intorno a loro moltitudini di scontenti. Il lettore capirà a questo punto che, se nell'Italia di qualche decennio fa l'insoddisfazione era più informata, e aveva una solida base nei meccanismi economici e nelle condizioni da essi creati, in quella di oggi il malcontento è istintivo, confuso, in qualche modo infantile. Questo dipende da fattori storici, nonché dall'azione incessante e indefessa della cultura e dei mezzi di informazione, che da una parte deovevano fare spazio al vuoto berlusconiano, dall'altra al vuoto piddiessino. Nuddu ammiscatu cu nnenti, mi pare si dica in siciliano. E allora eccola, la gioiosa macchina da guerra di Beppe Grillo, questa armata Brancaleone che va avanti a botte di vaffanculo. Qual è il suo obiettivo? Togliere di mezzo questo vuoto bipolare e ingombrante, questo buco nero che assorbe il futuro. Per metterci cosa? Su questo ognuno ha la sua particolare teoria, su cui è pronto a scommettere. Qualcuno, per forza di cosa, deve sbagliarsi. 

Ma osserviamolo, questo manipolo di cowboy, questa posse armata di palmari, mentre attraversa il territorio Comanche e si infoltisce di nuovi membri. Libero la scorge, dal suo posto di osservazione nel fortino, e immediatamente prova antipatia e diffidenza. Se non sono qui nel forte, non sono dei nostri. Semplice. Dice, ma quelli ce l'hanno con i Comanche, Libero. Una volta anche tu ce l'avevi con i Comanche, non te lo ricordi più? Lo sceriffo ti sta chiamando, ti sta invitando a uscire e unirti a lui. Togliti quella divisa da soldato blu che non significa più niente. Andiamo a sparare agli indiani. Facciamo guerra di manovra, conquistiamo il West. Nossignore, niente da fare; io resto nel fortino, e voi siete dei fuorilegge, senza divisa. Io faccio la guerra di posizione, nel fortino c'è posto, casomai entrate voi. 

A questo punto lo sceriffo fa notare a Libero che l'approvvigionamento del forte costa. Che i peones sono lì fuori, a lavorare come muli, taglieggiati dagli indiani, taglieggiati dai soldati blu. Ah, e non dimentichiamo i lanzichenecchi. Insomma, i peones fanno fatica a mettere un piatto di fagioli a tavola, e sempre di più si stanno rendendo conto che, se è vero che gli indiani li derubano in modo più sfacciato, questo non cambia la sostanza delle cose: il forte è un costo per la comunità, e non sembra avere una reale funzione. Ma chi combatterà gli indiani? Ma fammi il piacere, Libero. Combattere gli indiani? Voi? Fin quando non minacciano la sicurezza del vostro fortino, non vi scomodate nemmeno a sparare qualche colpo di avvvertimento. Allora, non vuoi uscire? No, entrate voi, piuttosto.

Dunque, lo sceriffo arriva all'unica conclusione possibile: il soldato blu è nemico quanto l'indiano. Tanto più che è in ottimi rapporti con i lanzichenecchi, e di questo i peones si sono accorti. Libero scuote la testa, dice che questa è roba da Selvaggio West. Ma mica esce da quel forte, eh... E allora i peones si facciano i loro calcoli. I fagioli prima o poi finiscono; per quanto ancora vogliamo darli a questi signori? Guerra di posizione, o guerra di manovra? Meglio affrontare la fame, o le picche dei lanzichenecchi? Questo è il dilemma. Il colore della divisa, diciamocelo chiaramente, è un fatto che non ci riguarda più.

giovedì 28 marzo 2013

Libero: un romanzo di deformazione


Cari amici e lettori, la vita è un triste affare. Il tempo è brutto, ho il cranio pieno di muchi, ho dormito male. Eppur bisogna andar. Non è che adesso mi viene un'idea sotto la doccia, mentre mi lavo il pube (ve lo giuro!) e me la tengo per me. Tanto più che si tratta di un'idea che mi ronza per la testa da un po', e il contatto del sapone con i miei naughty bits non ha fatto che metterla a fuoco.

Ebbene, il protagonista della nostra storia si chiamerà Libero. Libero, tipico nome rosso, nome da figlio di partigiani. Orbene, e dico orbene, una volta Libero militava nel PCI. Con tutti i dubbi, le remore, i tentennamenti che la pressoché totale inerzia e mancanza di integrità di quel partito poteva suscitare. Ma qual era l'alternativa? Alla lotta armata Libero non ci ha mai creduto, anzi; magari si è concesso qualche sorrisetto saccente e un po' - diciamola tutta - meschino, quando l'ha vista sconfitta. Il PSI era praticamente la banda di Rififì, per cui stare a sinistra voleva dire stare nel PCI. Amen.

E che faceva il PCI? Boh? Se aveva una strategia, non era da tutti capirla. Come il Lindo Ferretti ante-conversione, Libero si ricordava di discorsi belli tondi e ragionevoli, ma in qualche modo si era convinto che l'esasperata intellettualizzazione della sua sinistra fosse un fatto naturale, necessario, che il bizantinismo dei suoi dirigenti fosse prova di una profonda capacità analitica. Ogni tanto usciva un film di Nanni Moretti, e la catarsi era compiuta, come una sorta di schizofrenica liturgia.

Un giorno, mentre Libero stava facendo i piatti, gli arrivò la notizia che stavano buttando giù il muro di Berlino. Siccome Libero, a dispetto del nome che gli avevano dato il babbo e la mamma, senza muri perimetrali veniva preso da attacchi di agorafobia, gli venne un panteco. E mo'? Che fare? I colonnelli sembravano confusi, stravolti, impreparati. Meno male che quel superbo stratega di Achille Occhetto prese in mano la situazione, e ritagliò uno spazio in cui la sinistra italiana potesse stare dopo la fine della storia, senza dare fastidio, senza il timore di doversi confrontare con un'offensiva del nemico che, a dispetto di ogni tentativo di ripiegamento, l'aveva travolta. "Entriamo tutti nel fortino", disse questo basset hound con i baffi, e non usciamone più. Io porto i dischi di De Gregori, tu porta i film di Nanni, per l'abbonamento all'Unità si fa la colletta. Non dovremo mai più temere la luce del sole.

Mentre i nostri eroi discettano dottamente sulla poesia di Majakovskij e le ragioni storiche della NEP, senza peraltro muovere una falange, non dico un dito, per provare a costruire una via italiana al socialismo, arriva la notizia che hanno arrestato Mario Chiesa: è cominciata Tangentopoli. Prima che i compagni riescano a farsi un'idea della portata di questo fenomeno, hanno messo dentro mezza Italia. A questo punto, mentre il giovane e frizzante cinefilo Veltroni legge il Vangelo e i più anziani piangono di nostalagia pensando alle salamelle del tempo che fu, il compagno D'Alema ha un'idea: la destra non c'è più, mettiamoci al posto loro! Non possiamo più prendere ordini da Mosca; ebbene, li prenderemo da Londra, Bruxelles e Washington. I vecchi balzano in piedi (si fa per dire), spellandosi le mani in un applauso interminabile, Walter pregusta un festival pieno di vescovi e cardinali seduti in prima fila. Signore e signori, il potere. 

Qualcuno comincia a dare segnali di impazienza. E passi per i porporati, ma stare con uno come Blair mai e poi mai! Fondiamo un altro fortino, compagni! Naturalmente, ci arriva anche un bambino, se devi chiuderti in un fortino, tanto vale stare in quello più grosso e meglio difeso. Eppure chiunque fuoriesca dal fortino di Libero finisce invariabilmente per costruire la sua palizzata, tempestivamente circondata e assediata dagli indiani. Altro che conquista del West, qui è fortunato chi sopravvive.

Libero si mette in riga, che altro potrebbe fare? Contrordine, compagno, i preti non si mangiano. D'ora in poi solo tofu e cous-cous. E va bene, basta che mi date le mie quattro mura, ve l'ho detto che ho l'agorafobia. E così Libero resta nel fortino, che man mano si va riempendo di quelli che in inglese si direbbero strange bedfellows. Visto che il mercato ha trionfato, e che adesso è ufficiale: ai lavoratori gli puzzano i piedi, i padroni sono bravi e belli, bisogna rimettersi a studiare. E siccome quelli come Libero sono gli unici in Italia a saper leggere e scrivere, il nuovo corso della destra italiana lo devono dettare loro. Quegli altri hanno fondato un partito insieme a mafiosi e massoni per salvare il culo di Berlusconi, mica per governare, e poi apparano una licenza elementare ogni tre. Hanno già abbastanza da fare. Quelli là, lo sappiamo, sono quelli che ai compiti in classe copiavano sempre, e nella peggiore delle ipotesi papà li mandava all'istituto di recupero. Forza, Libero, mettiamoci a lavorare, 50 anni di socialdemocrazia non si distruggono da soli.

Taglio. Voce fuori campo su schermo nero: "Mannaggia alla Madonna di Pompei, ma è possibile che devo passare la vita a lavorare part time in un fetente di call center per 400 euro al mese?" Primo piano sul volto di Libero, recante un'espressione di arcigna determinazione, fra Giuseppe Stalin e il Drugo. Man mano che la telecamera si allontana, una voce narrante ci racconta i suoi pensieri.
"Mi chiamo Libero, ho 62 anni e voto per il Partito Democratico. Un tempo questo paese faceva paura: se non beccavi una coltellata da un fascista, rischiavi di saltare in aria mentre prendevi un treno. Eravamo in preda alla violenza, alla divisione ideologica, alla confusione. Ma oggi tutto questo non esiste più. Tanto abbiamo fatto per l'Italia, e tanto altro possiamo fare. Vieni anche tu nel fortino. Unisciti a noi, e non dovrai mai più temere la luce del sole".

Titoli di coda?

...continua

domenica 24 marzo 2013

La politica è una cosa seria



Cari lettori del Bradipo, buonasera. Avete fatto una buona domenica? Avete trascorso qualche ora serena, senza gli svarioni difensivi del Napoli e l'isterismo di Morgan De Sanctis? E allora, adesso che siete belli appaciati e tranquilli, ci pensa Bradipo vostro a farvi salire la pressione sanguigna. Come? Parlandovi di politica. 

Come sapete, a meno che non abbiate vissuto gli ultimi mesi in Patagonia o nel Circolo Polare Artico, alle ultime politiche c'è stata un'importante affermazione del Movimento 5 Stelle. Che cos'è il M5S? A mio modestissimo parere, qualcosa che tutti si fregiano di aver compreso, ma del quale molti non hanno capito niente, e pochi qualcosa. Nessuno, compresi loro, i "grillini", ne ha catturato l'essenza e le potenzialità fino in fondo. Il M5S è come la teoria delle stringhe: se credi di averlo capito, probabilmente non lo hai capito.

Quello che io credo di aver compreso, di questo ciclone che ha fatto irruzione sulla scena politica italiana, è che non può essere valutato in base agli stessi criteri che si usano per i partiti. Perché? Perché non è un partito, e guai se dovesse diventarlo. Ma, sempre per quanto posso capirne io, questo non accadrà. Le modalità della genesi di questo movimento, e il modo in cui è diretto, gli impediscono di evolversi in quel senso.

E veniamo così al punto. Molti, moltissimi italiani, non riescono a pensare alla politica, se non nei termini in cui è sempre stata fatta nell'Italia repubblicana. Avendo una mentalità essenzialmente conservatrice, al di là delle ormai sempre più vacue differenze fra destra e sinistra (fatta eccezione per quelle più radicali, ormai esigue sul piano numerico), queste persone vedono il M5S come una sorta di intruso, un po' come lo zappatore della famosa sceneggiata che arriva alla festa che si tiene a casa del figlio e si mette a ballare senza chiedere permesso. 

Una frase ricorre, nelle discussioni che mi capita di avere da qualche settimana a questa parte con amici e parenti: quella che ho scelto come titolo del post. Naturalmente, si tratta di un concetto mutuato dal  discorso sviluppato attraverso i mass media per conto e a beneficio del PD, dalla cui sopravvivenza dipendono grossi interessi, all'interno del territorio nazionale e oltre. Ma il fatto che i mezzi di comunicazione ci stiano martellando ossessivamente con questo tipo di messaggio non giustifica l'incapacità o - peggio - la riluttanza a riconoscere una verità lampante: la politica, in questo paese, non è mai stata una cosa seria. La politica in questo paese è stata latrocinio, consociativismo, nepotismo, corporativismo, miope compromesso sulle spalle delle generazioni future. Quando la politica ha abbandonato il ruolo di volgare teatrino, è stato per mettere le bombe nelle banche, nelle piazze, sui treni, nelle stazioni ferroviarie; per reprimere il dissenso, per criminalizzarlo, per spaventare il ceto medio allo scopo di immobilizzarlo come la nostra democrazia parlamentare. 

Quando io sento dire che Beppe Grillo è fascista, o che i "grillini" sono irresponsabili e impreparati al compito che li aspetta, penso a quello che li ha preceduti, e mi viene da ridere. Penso a come hanno ridotto questo paese, e il riso si fa un po' più amaro, pensando alla cultura, all'intelligenza che abbiamo prodotto, e a come un popolo ricco di eccellenze e comunque vivo è stato ridotto a un vivaio di semi-infermi politicamente corretti e pavidi.

Forse, perdonatemi la provocazione, quello che volete dire non è che la politica è una cosa seria, ma piuttosto che la politica è qualcosa che non ci riguarda. Che preferite continuare a essere governati da chi questo paese sa come farlo funzionare così come è, piuttosto che rischiare di sfasciare quello che non va (ed è tanto) e ricostruirlo da capo. Voi non volete ammetterlo, non lo ammetterete mai, ma avete paura del M5S non perché sia fascista, impreparato, amorfo e via discorrendo; ne avete paura perché è rivoluzionario, nel senso più oggettivo, meno ideologicamente connotato, del termine. Io sono d'accordo con voi. Intendiamoci, con quello che dite, non con quello che sospetto pensiate. La politica è una cosa seria, è vero. Per questo non possiamo lasciare che continuino a gestirla dei teatranti. Cali il sipario, e luce in sala.

venerdì 15 marzo 2013

Francesco I, Lot e il bivio


Buonasera, amici del Bradipo. E' venerdì sera, quindi se non siete usciti o siete un pochettino sfigati, oppure non avete più tanto da chiedere al venerdì sera. In entrambi i casi, siete proprio il pubblico che vorrei sempre avere. La storia che voglio raccontarvi riguarda la pietà e l'obbedienza. Una storia di dilemmi morali, di pesantume, che comunque vi meritate tutto. Perchè, se restate a casa il venerdì sera, non potete aspettarvi che la vita vi sorrida con la leggerezza del Philadelphia e dell'olio Cuore: vi tocca il tortano. E adesso vi dovete assumere la responsabilità di fare una scelta: continuare a leggere, e andare incontro al mio dichiarato moralismo; o chiudere questa finestra, e rischiare di perdervi un'occasione in più per darmi del cretino.

Orbene, siamo in Genesi, 18. Geova manifesta ad Abramo la sua volontà di annichilire la perversa città di Sodoma, dove uomini svergognati ed empi giocano a incularella senza mostrare timore alcuno dell'ira divina. In effetti la Genesi non dice proprio così, ma che il peccato dei Sodomiti sia, appunto, la sodomia, si capisce chiaramente più avanti. Ad ogni modo, Geova ha un diavolo per capello, e ha deciso di far fare una lampa agli abitanti di Sodoma, e come bonus track ci mette pure Gomorra. Non si è mai capito che cosa facessero di male i Gomorresi. Sicuramente, comunque, offendevano parecchio il Signore. A questo punto Abramo protesta, sostenendo che non sarebbe giusto compiere una strage indiscriminata, arò coglio coglio, quando in quelle città avrebbero potuto trovarsi uomini virtuosi e rispettosi della legge del Signore. Geova allora acconsente a risparmiare l'intera popolazione di Sodoma, se vi dovesse trovare cinquanta giusti. Bene, parrebbe che si sia trovato un accordo. Se non che, Abramo si rende conto di aver sparato una cifra un po' esagerata. Sodoma è piena di fetentoni, si rischia di non trovarli, i cinquanta uomini probi. E allora comincia a "tirare sul prezzo", fino ad arrivare a dieci. E dieci siano.

Dunque, due angeli vengono mandati a Sodoma, per verificare l'esistenza dei dieci uomini retti di cui sopra. Giunti nella città, essi vengono ospitati da Lot, che in effetti lì era l'unico uomo retto, e non rotto. Il resto dei Sodomiti, venuto a sapere che ci sono due nuovi sederini in città, assedia la casa di Lot e pretende di fare la conoscenza (biblica, ovviamente) degli angeli. Ecco il bivio. Lot, essendo un uomo obbediente e devoto, nega ai Sodomiti le angeliche natiche; tuttavia per placare il laido disio di costoro, offre in cambio le sue due figlie:

"Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace, purché non facciate nulla a questi uomini, perché sono entrati all'ombra del mio tetto".

Gli angeli tirano dentro Lot e chiudono la porta appena in tempo. L'obbediente e devoto israelita stava per dare le sue figlie in pasto a una folla di erotomani, pur di salvare gli emissari del dio che di lì a poco avrebbe distrutto la sua città.

Secondo alcuni studiosi, un erotomane dell'Età del Bronzo aveva più o meno questo aspetto

Avrete sicuramente letto delle accuse del giornalista argentino Horacio Verbitsky al nuovo pontefice. In caso contrario, non avrete la minima difficoltà a trovare abbondante materiale in rete. Ora, premesso che io non sono credente, e che dunque il papa non deve piacere a me, va anche detto che si tratta pur sempre di un capo di stato. Se dice che non dobbiamo usare il preservativo non mi meraviglio, né me ne faccio un cruccio. Ma confesso che mi piacerebbe, una volta tanto, vedere un pontefice che avesse un po' di rispetto per l'ABC dei diritti fondamentali dell'essere umano. Quando due preti evidentemente imbevuti di un certo cristianesimo che, vi faccio un'altra confessione, non mi dispiace per niente, hanno deciso che loro dalla favela in cui portavano Cristo nelle parole ma anche nei fatti non se ne volevano andare, il card. Bergoglio si è trovato davanti a un bivio: stare con il popolo e la chiesa del popolo (ecclesia nel senso più pieno del termine) , o stare con il potere. E alla pietà ha preferito l'obbedienza. Sfortunatamente, nessun angelo ha avuto la prontezza di spirito di sottrarre padre Jalics e padre Yorio a gente ben peggiore dei Sodomiti.

Papa di rottura o di continuità? Non mi interessa. L'ho detto, non sono credente. Eppure, da osservatore esterno, fra il dio in carne ed ossa che moltiplica i pani e i pesci e quello che brucia le città, io preferisco il primo. Quello che, al bivio, gira a sinistra. 

venerdì 8 marzo 2013

Un pappagallo morto chiamato PD



L'Italia trattiene il fiato. Fra la minaccia mai scongiurata dello spread e quella del ciclone Grillo (che magari verrebbe ridimensionata se vi prendeste la briga di conoscere da vicino il M5S, anzichè farvelo raccontare da chi può sopravvivere solo se riesce a distruggerlo), la parte sana, informata e democratica del paese conviene su un punto: questo è un momento molto delicato. Un po' come se i genitori di un bambino che sta perdendo i denti da latte si chiedessero preoccupati che cosa sta succedendo al loro piccolo.

Abbiate pazienza, ma il mondo deve progredire. Perfino l'Italia, guardate, non può esimersi da questa necessità. E io, che ribadisco sempre di essere fesso e ignorante, ultimamente mi sento una cima. Eh, sì, perchè mi guardo intorno e vedo persone di una certa età, che per tutta la vita hanno mangiato pane e politica, e che non capiscono l'aspetto più ovvio di questa crisi: la politica italiana, dopo venti anni di pantomime ignobili e rivoltanti, ha rimesso i piedi per terra. Le si chiede di risolvere problemi reali, di agire per trasformare la società, per curarla dai suoi mali. Non è "antipolitica", tutt'altro: è il desiderio di una politica che serva a qualcosa, oltre che a elargire "selettivamente" e sperperare denaro pubblico.

Due forze politiche sono finite più delle altre sotto i riflettori: il Movimento 5 Stelle, grande vincitore della tornata elettorale, e il Partito Democratico, o meglio quello che ne resta. Si chiede "responsabilità" a Grillo, e ci si indigna quando dà del "morto che cammina" a Pierluigi Bersani. Come se questo fosse un insulto, e non la constatazione di un'ovvietà che solo la faziosità può impedire di vedere.

Come John Cleese nei panni del signor Praline, nel leggendario sketch dei Monty Python, l'elettorato italiano ha riportato indietro il pappagallo morto che la Bolognina gli aveva rifilato. Caspita, ce ne abbiamo messo di tempo per capire che il pappagallo era morto, ma alla fine ci siamo riusciti. Ci ha aiutati la crisi economica (è ben noto che il sazio non crede al digiuno, per cui talvolta saltare il pasto può fare bene), oltre che il prorompere sulla scena del movimento creato da Beppe Grillo; guarda caso, dopo che un lungimirante PD gli aveva rifiutato la tessera. Comunque sia andata, e qualsiasi altro fattore possa aver contribuito al panorama che si è venuto a determinare, gli italiani vogliono un nuovo pappagallo.

Se John Cleese rappresenta gli elettori, Michael Palin rappresenta il sistema mediatico che si ostina a negare la realtà. Basta prenderci in giro: il volatile non sta dormendo, non è stordito, e se lo avete inchiodato al trespolo è per farlo tenere in piedi, non per impedirgli di piegare le sbarre della gabbia e volare via. Come il Norwegian Blue, il Partito Democratico non avrebbe uno scatto di vitalità nemmeno se gli dessimo una scarica da 4.000 volt. E' un cadavere, privo di vita. Se ne è andato al creatore. E' un ex partito.

Quello che io, il signor Praline, adesso esigo è un pappagallo nuovo. Un partito di sinistra, che difenda il lavoro, la dignità umana, il diritto dei popoli a determinare la loro realtà politica ed economica. Un partito anti-imperialista, a favore di un ordine mondiale multi-polare, che ripudi la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, e non ci prenda per il culo facendola sotto  la dicitura "missione di pace". Un partito che non si permetta neanche per scherzo di nominare lo spread quando si parla di politica, che abbia il coraggio di dire a chiare lettere che l'Europa neoliberista, l'Europa dei capitali, HA FALLITO, e che è ora di iniziare a costruire una Europa dei popoli.

Lo so, il pappagallo non c'è, e la lumaca non è un adeguato sostituto. Ma preferisco andare a Bolton e correre il rischio che la situazione degeneri fino a quando un colonnello non interromperà la scenetta per eccesso di idiozia, piuttosto che tenermi un pappagallo morto dal nome improbabile. Sebbene il nostro "ceto intellettuale" faccia di tutto per farcelo credere, i pappagalli non li vende solo Michael Palin.

giovedì 7 marzo 2013

Nosostros somos Chávez


Che dire sulla dipartita di Hugo Chavez? Chi ne ha seguito la parabola in questi ultimi anni sa chi era, e non c'è bisogno, nè è il caso, che io aggiunga altro. Chi lo ha conosciuto tramite la stampa e la televisione mainstream non capirà le manifestazioni di stima e di affetto che oggi gli arrivano dal suo popolo, dai capi di stato latinoamericani con cui ha impostato un lavoro di integrazione politica ed economica di inestimabile valore, da tantissime persone in tutto il mondo che hanno visto in lui un esempio prezioso in un momento storico tristissimo. Chavez continuerà ad essere un tiranno populista per alcuni, e un autentico partigiano della democrazia per altri.

Quello che voglio raccontarvi è come ieri il consolato del Venezuela a Napoli abbia aperto le porte a chiunque desiderasse portare le proprie condoglianze al popolo venezuelano, attraverso i suoi rappresentanti. Senza cerimonie, al di fuori di ogni protocollo, come se la persona che se n'è andata fosse un parente comune, uno zio emigrato in Venezuela come tanti italiani, al quale tutti volevano bene. Il perchè di quell'affetto sono fatti nostri; a chi vuole capire non mancherà il materiale per informarsi, avvicinarsi alla figura di un capo di stato inconcepibile all'interno dei nostri paradigmi europei, purtroppo finiti in una spirale di decadenza; e per cominciare a comprendere un popolo così diverso da noi, così giovane, proteso verso il futuro.

Nosostros somos Chávez. Quanto sia inclusivo questo "nosotros" dipende dalla coscienza e dall'intelligenza di ciascuno di noi. L'uomo ha seminato: chi vuole raccogliere non ha che da rimboccarsi  le maniche. Questo frutto si chiama socialismo, e appartiene a tutti.
 
Hasta siempre Comandante Chavez. I poveri e gli sfruttati del mondo ti salutano.

venerdì 1 marzo 2013

Grillo, la sinistra e Miss Havisham


Sono passati pochi giorni dal voto, e le analisi politiche si affastellano come fascicoli in un tribunale. Siccome, più il vostro Bradipo va avanti, più scopre di essere fesso in termini assoluti, ma relativamente al resto della specie forse mica tanto, vi vorrebbe donare anche lui qualche suo pensiero. Lo farà nella forma che gli è più congeniale: cercherà di affabularvi. Sa bene quanto i Wu Ming abbiano catilinescamente abusato della vostra pazienza, e non vuole addure ulteriori lutti agli Achei.

Ordunque, il risultato elettorale ci ha fornito due dati immediatamente percepibili. Uno è la vittoria del M5S, che alla sua prima apparizione alle politiche raccoglie un voto su quattro alla Camera e appena meno al Senato; l'altro è l'aumento dell'astensionismo. Questi sono in effetti i due maggiori partiti. PDL e PD, messi insieme, rappresentano una minoranza degli Italiani. Ovvero: il bipolarismo, la democrazia dell'alternanza, ha fatto fetecchia, e questa volta probabilmente in modo definitivo. Partiamo da questo aspetto.

In cosa è consistito il bipolarismo italiano? Nella contrapposizione fra un centro-destra conservatore post-democristiano e filofascista, e un centro-sinistra neoliberista che si andava progressivamente allontanando dalla difesa degli interessi del lavoro dipendente, per avvicinarsi alla (cosiddetta) borghesia intellettuale e ai redditi spurii, ovvero ai tantissimi lavoratori dipendenti che, risparmiando risparmiando, si erano comprati BOT, quartini e quant'altro. Riuscite a pensare a qualcosa di più efficace per neutralizzare la dialettica destra-sinistra a cui eravamo abituati nella Prima Repubblica? Io no. Il messaggio lanciato da entrambi gli schieramenti ai loro elettori era sostanzialmente identico: "Voi che ci votate siete belli e bravi, tutti i nostri problemi li creano quegli altri." Lo slogan del PD è un perfetto esempio di questo atteggiamento: "L'Italia giusta". 

In realtà, dietro il paternalismo "anticomunista" berlusconiano e l'autocelebrazione diessina, e poi piddina, di una presunta superiorità culturale e morale, c'erano ben altri interessi. La vecchia dialettica destra-sinistra, ovvero quella fra gli interessi del capitale e gli interessi del lavoro, era stata sostituita dallo scontro senza quartiere fra piccoli imprenditori e commercianti da un lato, e grande capitale dall'altro, con il suo appoggio più o meno incondizionato all'UE. Riconoscere quest'ovvietà, che il fenomeno leghista ci ha sbattuto sotto gli occhi, è doveroso. Pensate anche solo alla vertenza delle quote latte. Parlo della Lega perchè, con i suoi aspetti folkloristici, ha colpito maggiormente l'immaginario degli italiani di sinistra, attirandone comprensibilmente gli sfottò. Ma liquidarla come un'orda di barbari rumorosi e ridicoli è stato un errore: i movimenti di massa, qualsiasi colorazione assumano, e qualsiasi segmento della società rappresentino, vanno capiti.

Cosa è successo negli ultimi anni? Che la trippa per i gatti ha cominciato a scarseggiare. Lascio ad altri l'analisi sulle cause di una crisi che è mondiale, ma che senza dubbio in Europa (specie in quella meridionale) ha assunto proporzioni spaventose. Ha colpito i piccoli imprenditori e commercianti, ha colpito i redditi spurii, ha colpito il lavoro dipendente. Il PD, ormai trincerato in un antiberlusconismo non meno stantio e fuori luogo dell'anticomunismo del Cavaliere, ha appoggiato quello che oggettivamente è stato un putsch, sebbene portato avanti all'interno delle istituzioni parlamentari. Si è schierato con un governo di gente che veniva da Marte, e sapeva che presto ci sarebbe tornata. In una situazione socio-economica come quella attuale, se Monti si fosse presentato in televisione con un bambino in braccio e l'avesse gettato in pasto ai leoni, avrebbe generato minore indignazione e risentimento dell'IMU sulla prima casa. Dunque, il vecchio rattuso Berlusconi è sempre meno credibile (in termini assoluti ha perso oltre il 40% rispetto alle ultime politiche), il PD del sostegno incondizionato a Monti peggio che andar di notte. Si resta a casa, o si vota Grillo.

E la sinistra radicale? Finita. Kaput. Inevitabilmente. Occupando posizioni residuali, spaccandosi in tanti rivoli, da un operaismo che purtroppo è ormai anacronistico (gli operai li stanno facendo estinguere a base di licenziamenti e delocalizzazioni, e molti ormai non votano a sinistra) a un legalitarismo che non ci azzecca, come direbbe uno dei trombati di questa tornata elettorale. Una Miss Havisham aggrappata al passato, rancorosa, senza più slancio vitale. E queste elezioni l'hanno bruciata.

Da dove si ricomincia? Dall'aprire le finestre al nuovo sole. Uscire da una stanza rimasta sempre uguale negli anni, uscire dalle trincee. Andare in mezzo alla strada, toccare le femmine. Smettere di serrare gli occhi come bambini davanti a tutto ciò che non è rosso, e capire come portare i propri contenuti in spazi che hanno aperto altri. Oppure restare a casa, raccogliere quello che le fiamme hanno risparmiato dell'inutile velo nuziale di Miss Havisham, e attendere che la prossima vampata di una realtà non compresa bruci anche noi.