martedì 18 giugno 2013

La prigione della prima persona singolare


Dovrei essere qui a rimaneggiare, correggere, emendare le ultime tesine per il Tirocinio Frantumativo Abietto, ma non gliela fo. Ne ho fin sopra i capelli della scrittura accademica (o di quella grottesca parodia della scrittura accademica che produco, malgrado i miei sforzi). Fatto non fui a scrivere tesine, ma per seguir virtute e canoscenza. E per dispensarvi saggezza, dall'osservatorio privilegiato del mio desabillé casalingo, peraltro corredato da un raffreddore fuori stagione, chissà come contratto, che mi fa colare costantemente il naso. Mai come ora ho fatto schifo. E, credetemi, nella vita ho avuto modo di fare abbastanza schifo.

Di che vi voglio parlare? Che cosa sarà mai questa prigione della prima persona singolare? Bene, prendiamoci una sana pausa dalla scrittura (pesudo) accademica di cui sopra e saltiamo i preamboli: io sono un cretino, e pure voi. Siamo accomunati in questo; la gente con le palle, veramente con le palle, o è morta, oppure non legge me. Io tengo un blog. Perché? Perché sento il bisogno di esprimermi, di non rimanere isolato, di non rimanere inespresso. Non certo per farmi dire bravo. Io so quanto valgo, cioè poco, ma più di tanti. Ed è già qualcosa.

Di cosa scrivo, su questo spazio? Le mie "confessioni di fesso reoconfesso". Vedete? Io sono sincero, non vi prendo in giro. What you see is what you get, come dicono a Montecorvino Rovella. Se mi leggete è perchè vi diverto, vi intrattengo, al limite vi ispiro curiosità. Certo, non vi aspettate da me chissà quale lucida e complessa analisi, e fate bene. Io vi dono impressioni, immagini, punti di vista. Tutto qui.

Ci sono poi quelli che mi paiono essere una parte consistente dei blogger italiani, malati di una qualche forma di narcisismo misto ad autismo, che scrivono per darsi un tono. Più un'opinione è controversa, perfino al limite dell'irragionevolezza, più ci si rotolano dentro come maiali nel fango. Molti di quelli si dichiarano esplicitamente, o danno ad intendere di essere, di sinistra; in base a cosa, non è dato sapere, visto che parlano solo di matrimonio gay, di ricette etniche o dell'ultimo libro del grande scrittore americano sconosciuto al grande pubblico che si è ritirato in una capanna nelle foreste dell'Oregon per ritrovare se stesso e ora vive in compagnia di un alce e di un castoro (che poi potrebbero anche essere i suoi editor, chi lo sa). Questa tendenza è così diffusa che oggi per molti essere "di sinistra" vuol dire giocare a fare gli intellettuali blasé, saperne sempre più degli altri su qualsiasi cosa, che sia la politica internazionale o la preparazione della parmigiana di melanzane, e assumere un'aria di sufficienza verso chiunque esprima dissenso per le loro tesi senza citare neanche una volta Derrida.

Io ricordo che una volta la politica si occupava del mondo reale: di dare di più a chi aveva di meno, o dare ancora di più a chi aveva già tanto. Punto. L'aborto e il divorzio sono state due battaglie sposate dalla sinistra italiana, ma con uno spirito diverso da quello interclassista, trasversale, "civil rights", che imperversa oggi. Erano battaglie contro il patriarcato e l'ingerenza clericale nella vita delle persone.

Come era possibile combattere contro simili avversari, e vincere? Io ero bambino, ma ricordo. Casa mia era spesso frequentata dai colleghi di mia madre, che allora insegnava alle superiori. Qualche volta mi portava alle feste dell'Unità o eventi del genere. Era la fine degli anni Settanta. Ricordo come parlavano, queste persone .Quando iniziavano un discorso, non dicevano "io". Dicevano "noi". Erano compagni perchè accomunati da una stessa lotta, non perchè ascoltavano la stessa musica, leggevano gli stessi libri e guardavano gli stessi film. Si stimavano a vicenda perchè sapevano di stare insieme dalla parte giusta, e l'obbrobbrio del politicamente corretto non aveva ancora instillato in loro la barbara credenza che l'opinione degli altri valesse quanto la loro. Sapevano di avere ragione, in termini valoriali, e sapevano la responsabilità che comportava. Unità, per loro, non era solo  il nome di un giornale e di una festa. Era un modo di vivere.

Per carità, ne avranno fatti di errori, se oggi stiamo come stiamo. Se, solo per il fatto di poterci aprire un blog o un account Facebook, pensiamo di poterci spacciare tutti per individui eccezionali e unici. Se, mentre le maggiori forze politiche inscenano una pantomima di alternativa e distruggono le basi materiali e culturali della democrazia economica (di quel poco che avevamo e di quella che avremmo potuto un giorno trovare). Se, chiusi in una prigione di idiozia e analfabetismo etico, ci pavoneggiamo di fronte a un mondo che ormai si approssima a una visione da romanzo distopico.

E io? Boh. Mi sembra di essere rimasto solo. Venite, accorrete numerosi. Datemi del cretino, esprimete dissenso, mettetemi alla berlina. Non fa niente che volete più bene a Pippo Civati che a me. Io lo so, di essere fesso. Non ho paura della prima persona plurale. Non ho niente da perdere, io.E voi?



1 commento:

  1. come richiesto:sei un CRETINO!!! ed io non meno di te, comunque il problema penso stia nella disgregazione sociale sempre piu' accentuata, credo dovuta all'imbarbarimento dell'insegnamento, della classe politica, delle istituzioni che non sono state curate ma lasciate a se stesse o in mano ad arroganti farabutti. Tu dici che l'unità era un modo di vivere, certo lo era forse perchè la disgrazia comune tende ad accomunare, oggi ?? che succede?? forse i nuovi mezzi di comunicazione ci stanno sovrastando perchè non siamo ancora in grado di usarli per aggregarci e/o siamo in un periodo di transizione e bisogna lavorare sul doppio binario analogico / digitale?? e poi ce anche il fatto che il precariato è in aumento al pari dello sfruttamento sopratutto sugli immigrati piu' facili da manovrare e sfruttare e noi chi siamo i prosperi della situazione e loro i calibani?? ciao carlo

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