domenica 7 giugno 2015

Quando il gallo scende dalla monnezza

Cari amici, buongiorno. Nonostante un riposo disturbato da problemi di respirazione, il mattino mi ha trovato giulivo e gaudente. Vedere i colori bianconeri sconfitti è una gioia pura, assoluta, che ci ripaga di una stagione non esaltante per i colori azzurri e di una vita che ci somministra le soddisfazioni come gocce di collirio. Ma gli occhi di Andrea Pirlo, ieri sera, lacrimavano della più cupa angoscia, non certo per una banale congiuntivite; e di questo noi, meschini odiatori di lestofanti, ci beiamo. Detto ciò, mi permetto di lanciarmi in una riflessione, invitandovi per la vostra sicurezza a localizzare le uscite di sicurezza più vicine.
 
Io mi aspettavo che la Juventus, ieri sera, perdesse. Non perchè il Barcellona fosse genericamente "più forte". Lo è, ma non è questo il punto. Il punto è che la Juventus è una squadra costruita per primeggiare in contesti diversi. In altre parole, per vincere nel nostro campionato sono necessarie delle qualità e un'impostazione che rendono molto improbabile vincere nelle competizioni europee. Cercherò di spiegarmi, partendo da un'affermazione apparentemente provocatoria: la Juventus è una squadra dalla mentalità perdente. Procediamo a illustrare.

Che cosa è successo ieri sera? Che, dopo il gol iniziale di Rakitic, i bianconeri sono riusciti a pareggiare, concretizzando una cinquantina di minuti di grande intensità. A quel punto, con il Barcellona rintronato dalla mazzata, avrebbero dovuto e potuto gestire l'incontro con calma, fare possesso palla, mantenere la lucidità e aspettare che il Barcellona, favorito e perciò sottoposto a una pressione psicologica maggiore, si scoprisse. Mi correggo, avrebbero potuto farlo se fossero stati una squadra costruita diversamente. Quello che è successo è stato che l'agonismo è schizzato alle stelle, con qualche fallo di troppo e una quantità di proteste francamente insopportabile (vederli fare così in Champions ricorda un po' Mastella che al poliziotto di New York diceva "lei non sa chi sono io"). Il Barça ha giocato a calcio. Non ha fatto una partita stellare, ha semplicemente giocato a calcio. Sì, qualcosa ha concesso, come è normale che sia quando si tiene il baricentro alto. Ma così si vince una finale di Champions' League.

Saltiamo di palo in frasca. Molti tifosi napoletani hanno salutato la dipartita di Benitez non solo con sollievo e soddisfazione, ma addirittura dando sfogo a un certo astio. Io, che non sono rafaelita perchè poco propenso all'idolatria, devo però dire che le colpe non sono tutte del panzarotto iberico. Noi l'abbiamo chiamato, teoricamente, per vincere. Ricordate De Laurentiis dire chiaro e tondo che lui voleva lo scudetto? Benitez ha portato con sè una mentalità vincente, il presidente avrebbe dovuto mettere a disposizione la potenza economica. Quella, lo sappiamo, è venuta meno. Eppure il Napoli in questi due anni ha provato a giocare come una grande. Ha perso la sfida, ma innanzitutto fuori dal campo. A sconfiggerlo è stata una cultura della rinuncia, il modus operandi di un paese in cui non si lavora per migliorarsi e ottenere il migliore risultato possibile, ma per impedire agli altri di superarti, con ogni mezzo. Le provocazioni di Chiellini, i calci di Vidal, le proteste di Lichtsteiner. Questa è la mentalità perdente a cui mi riferivo.

Il gallo sulla monnezza è il vero emblema della nostra esecrabile cultura sportiva, politica, economica. Il feudalesimo. Il banchettare arroccati nel proprio castello mentre intorno i marrani muoiono di stenti. Dovrebbe essere cucito sulla bandiera, un bel gallo fiero e protervo su un mucchio di rifiuti. E guai a scendere; si rimediano solo brutte figure.
 
 

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