martedì 15 marzo 2011

Paura, eh?

La paura fa 90. Illustrazione di Gustavo Dorè

Ieri sera, su Rai 1, è andata in onda la prima puntata di Qui Radio Londra, il nuovo programma di Giuliano Ferrara. In circa cinque minuti il giornalista (si fa per dire) affronta un problema di attualità, riassumendone i termini per grandi linee, e trovando anche il tempo di farci sapere come la pensa lui: il format perfetto per un comunicato di propaganda. Del resto, spero che nessuno dei miei lettori si sogni anche lontanamente di ipotizzare che Giuliano Ferrara possa aspirare al benché minimo grado di indipendenza editoriale; e questo lo spero perchè vi voglio bene, cari amici, e sarei addolorato sapendo che qualcuno di voi è finito nell'orrendo baratro della follia. Dunque, cinque minuti dedicati dal visir a un argomento caro al sultano, per inculcare alle masse sempre più appecoronate le verità ufficiali.

L'argomento scelto per la prima puntata è stato l'energia nucleare. Vorrei mettere subito in chiaro che non ho mai sentito un tale concentrato di cazzate. In cinque minuti, l'obeso e viscido sicofante è riuscito a non dire quasi niente di sensato, sebbene abbia dimostrato la solita abilità oratoria e la consueta scaltrezza comunicativa. Replicare punto su punto darebbe vita a un post lungo e tedioso, che ammorberebbe l'anima a chi lo scrive e chi lo legge. Invece, mi piacerebbe soffermarmi su un punto in particolare, su un equivoco semantico messo dal Goebbels de noantri a fondamento del suo impianto difensivo (perchè di una difesa del nucleare si tratta).

Il conduttore esordisce dicendoci di avere paura. Di cosa? Del colesterolo che gli sta saturando le arterie, e che quasi certamente gli farà venire un infarto nei prossimi cinque o sei anni? Del sudore che traspira da ciascuno dei suoi pori, rendendolo ripugnante e, probabilmente, maleodorante? Del sebo che abbonda visibilmente sul suo cuoio capelluto, concorrendo con il succitato sudore e con altre mille immonde secrezioni a renderlo antitetico a qualsiasi idea di bello? Per il momento non ci è dato saperlo. Ci viene detto, invece, che non tutti hanno paura allo stesso modo; e, a dimostrazione di questa affermazione, ci viene mostrato un video.

Si tratta di un estratto da un servizio di una televisione giapponese sul disastro che ha colpito quel paese. In particolare, vediamo un'onda anomala travolgere la cittadina di Fukushima, quella presso la quale sorge la centrale nucleare che sta tenendo il mondo col fiato sospeso. Il servizio è in lingua originale, per darci la possibilità di sentire la voce della giornalista, che si direbbe leggere un bollettino. Non è sottotitolato, per cui non ne capiamo il senso. Questa scelta è il primo indizio dell'approccio manipolatorio che ha caratterizzato la trasmissione: si vuole creare un contrasto fra la drammaticità delle immagini e la calma che traspare dalla voce che ascoltiamo, un effetto che ulteriori informazioni rischierebbero di inficiare. Infatti, al termine del breve contributo, Jabba the Hut ci fa notare che "gli orientali hanno paura in modo più calmo, riflessivo". Di fronte al cataclisma che li ha colpiti, "riescono a trovare quella calma, quella pace della ragione e del cuore che è così difficile trovare da noi". Naturalmente, questa osservazione è priva di fondamento logico, e andiamo subito a vedere perchè.

Aver studiato lingue mi ha garantito un'esistenza misera, una situazione economica tragicomica, e un prestigio sociale inferiore solo a quello dei trafficanti di organi umani. D'altra parte, mi ha donato la capacità di vedere oltre le parole, dentro le parole, e quindi la facoltà di ribellarmi quando qualcuno usa le parole, che SONO DI TUTTI, per metterlo nel culo a molti. C'è differenza fra la paura intesa come responso automatico, istintivo a una minaccia immediata, e la paura come timore motivato, come risultato di una valutazione razionale di scenari ipotetici. La prima è una risposta evolutiva ai pericoli di cui abbondava l'habitat dei nostri antenati. Secondo Wikipedia, "un'emozione dominata dall'istinto [...] che ha come obiettivo la sopravvivenza del soggetto ad una suffragata situazione pericolosa". In quanto tale, è ovvio che in determinati contesti possa e, in effetti, debba essere dominata. Pensiamo ad esempio a una visita dal dentista: l'odontoiatra mette mano al trapano, e il nostro cervello attiva quel meccanismo che, se non ne andasse della nostra dignità, ci spingerebbe immediatamente alla fuga. E allora ci controlliamo, e alla fine della seduta ci congratuliamo in silenzio con noi stessi per il coraggio che abbiamo dimostrato. Tornando al filmato di cui parlavamo, c'è una ragione evidente per cui la voce della telecronista non mostra segni di paura: il pericolo non è prossimo ed imminente. Il giorno prima della visita dal dentista potrò provare un po' di apprensione; ma è quando vedo il trapano, quando ne sento il sibilo, che i miei muscoli si irrigidiscono e i miei pori iniziano a traspirare (mai come quelli di Giuliano Ferrara, comunque).

Giuliano Ferrara e le sue secrezioni. Illustrazione di Gustavo Dorè.

Dunque è chiaro che, quando si parla di paura del nucleare, non ci si riferisce a un'emozione, a una reazione istintiva, irrazionale, bensì a un timore generato dalla prudenza, dalla capacità di valutare un pericolo ipotetico in base ai dati a nostra disposizione. Se vogliamo, è proprio la nostra distanza da quei tragici eventi a metterci in grado di ragionare sui pro e i contro di un certo modo di produrre energia. E di riflettere sul fatto che il nostro è un paese in cui mancano tante cose, ma non il sole; che siamo una terra ben messa dal punto di vista idrografico; che, almeno sul versante adriatico, possiamo affidarci anche all'eolico. Dall'altra parte, basta pensare alle case di sabbia dell'Aquila e alla cricca che, all'indomani di quel terremoto, sghignazzava al telefono, per essere colti da una giustificatissima paura di fare la fine dei sorci. Oppure (ma mi sembra meno probabile), di Robert Bruce Banner.

Se ti esplode un reattore nucleare vicino casa, potresti diventare così. Ipotesi grafica di Gustavo Dorè.

La calma con la quale il Giappone sta affrontando la sciagura che l'ha colpito non è il frutto di una filosofica accettazione dell'eventualità di essere annichiliti dalle proprie scelte di politica energetica; è il sintomo, a mio modestissimo parere, di una cultura positiva, del fare, che in un simile frangente si preoccupa di arginare i danni, per quanto è possibile, e di rimettere in piedi il paese, pur rendendosi conto che la batosta è stata terrificante. Non credo però che i giapponesi sarebbero così serafici se venisse fuori che la centrale di Fukushima è stata costruita senza osservare alla lettera gli standard di sicurezza, dal primo all'ultimo, o che esistevano alternative praticabili al nucleare.

Su altre affermazioni discutibili del dirigibile umano mi asterrò dal commentare, giacché mi pare di aver detto abbastanza. Come dicono gli avvocati americani delle serie televisive dopo le loro brillanti arringhe, I rest my case. Chiuderei a questo punto adattando al pingue imbonitore un vecchio slogan che si intonava per Bettino Craxi: Giuliano Ferrara, quanto sei brutto! Oggi maiale, domani prosciutto!

Un'ipotetica fine della quale Giuliano Ferrara potrebbe ragionevolmente aver paura.

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