martedì 22 marzo 2011

The moral high ground

Io sono italiano. Io vivo in un paese dove ogni opinione è nutrita e manifestata con il fervore della convinzione religiosa. Vi dico la verità, non ci convivo bene, con questo atteggiamento. Ricordo bene di essere stato anch'io così, da giovanissimo. Poi, come Paolo sulla via di Damasco, sono stato folgorato; nel mio caso, da un amore tutto laico per la lingua inglese e la cultura anglosassone. Gradualmente, un po' perchè assorbivo quel modo di intendere il mondo tanto diverso dal nostro, un po' perchè crescevo, ho capito che la realtà non poteva essere decifrata secondo un metodo induttivo, partendo da una serie di postulati o assiomi ai quali accomodare l'interpretazione dei fatti; così facendo, si restringe il proprio campo visivo, si imbrigliano le proprie facoltà razionali nell'imbracatura dell'ideologia. Per avere un quadro soddisfacente di una qualsiasi problematica è necessario esplorare tanti punti di vista, pena il ritrovarsi con un'immagine bidimensionale.

Certo, mi ha aiutato il fatto che esistono modi divertenti e stimolanti per esplorare nuovi punti di vista. Tra questi quello che incontra la mia preferenza assoluta è sicuramente la public house, colloquialmente detta pub, laddove ogni sera, dopo un certo numero di pinte consumate, si scopre il senso della vita, solo per poi dimenticarlo di lì a poco e rendere necessaria una successiva ricerca. La sana atmosfera conviviale che contraddistingue tali ritrovi facilita il dialogo, secondo le modalità del metodo socratico, in tale contesto più esattamente definibile come maieutica etilica. A tutti i cittadini dovrebbe essere richiesto un periodo di leva obbligatoria di almeno due anni nel gaio esercito dei beoni: vivremmo certamente in una società meno ottusa, e più propensa al dialogo e all'empatia.

Alcuni beoni socratici impegnati nella ricerca della verità.

Combinando lo studio dell'idioma del bardo con la pratica della maieutica etilica, ho investito diversi anni della mia vita in un field study che mi ha portato di bettola in bettola alla ricerca di una sempre maggiore proprietà di linguaggio, nonchè di qualche scampolo di verità. E così, man mano che la mia pronuncia si affinava e la mia conoscenza dei capisaldi della cultura anglosassone aumentava, cominciai a mimetizzarmi fra i soggetti del mio studio imitandone i comportamenti, ad esempio citando a memoria celebri battute dei Monty Python o ingerendo quantità smodate di birra. David Attenborough, mi fai una pippa! Tu sarai anche in grado di mescolarti con disinvoltura agli scimpanzè o ai macachi, ma vorrei vederti prendere un caffè e parlare di politica in un qualsiasi bar di una qualsiasi città italiana. Sono sicuro che la tua gestualità sarebbe insufficiente, il tuo tono di voce troppo basso, e le tue opinioni troppo elaborate e per niente qualunquiste. Perchè tu, caro David Attenborough, sei il prodotto di una cultura che è troppo equlibrata, troppo laica, troppo pragmatica per consertirti di passare per uno di noi.
Io sono un italiano, nato e cresciuto in un paese di santi e briganti, madonne e puttane, tiranni e liberatori. L'equilibrio non fa parte del DNA della mia terra. Per questo, caro David, quando ho imparato a mescolarmi ai tuoi connazionali come tu ti mescoli ai lemuri o ai bradipi, io ho capito che la storia del mio paese ne condiziona lo sviluppo in un modo forse unico nel mondo occidentale.

Uno dei punti di arrivo, quando si studia una lingua straniera, è l'acquisizione della capacità di tradurre parole e concetti dalla propria lingua verso quella che si è appresa. A volte ciò è difficile, altre meno. Spesso determinati atteggiamenti culturali nostrani trovano un corrispettivo in altri paesi, pur non essendo ugualmente pervasivi; questo perchè, naturalmente, alcuni tratti sono comuni a tutti gli esseri umani. Uno di questi è la propensione verso la religione. In L'illusione di Dio, lo scienziato ed emerito mangiapreti Richard Dawkins ipotizza l'esistenza di una predisposizione genetica a postulare l'esistenza di un'entità divina. Attraverso il divino, l'essere umano cerca rifugio dalla propria finitezza e mortalità. Ma la religione non è solo conforto; è anche dogma. La mente del teista concepisce il Bene e il Male come due entità separate e distinte: dio da una parte, il diavolo dall'altra. O si fa la volontà di dio, o la si nega. Non c'è spazio per una sintesi, per un compromesso. Di conseguenza, la morale del teista è fondata su concetti assoluti di Bene e Male. Purtroppo questo tipo di approccio, in virtù del ruolo centrale svolto dalla religione nella storia di tutti i popoli, tende a perdurare nel nostro modo di pensare, spesso senza che ne siamo consapevoli. Un corollario di questa premessa è la divisione del genere umano in buoni e cattivi. I giusti da una parte (quella indicata da dio attraverso chi si è arrogato il diritto di rappresentarlo), dall'altra gli empi. The righteous versus the evil.

I giusti, ben riconoscibili dalle tonache, spiegano a un empio la differenza fra il Bene e il Male.

Trovo sorprendente il numero di dottrine filosofiche e politiche che nel corso dei secoli hanno validato una concezione così tragicamente fallace della morale, giustificando il ricorso alla violenza in nome della assoluta certezza di essere nel giusto; dopotutto, ognuno può crearsi il proprio dio su misura, e usarlo a proprio uso e consumo.
Prima di andare avanti, è forse il caso di fare una precisazione: tutta l'apparente preparazione culturale che dovesse trasparire dai miei post è un volgare bluff, sostenuto con l'ausilio (non da poco) di una connessione a Internet; io sono una persona mediamente ignorante. Tuttavia, leggiucchiando qua e là, mi capita di imbattermi in concetti interessanti. E così ho scoperto che in Gran Bretagna, nel XVIII secolo, è nata una corrente filosofica che rigetta i concetti assoluti di Bene e Male, opponendo ad essi quello di utilità: l'utilitarismo (duh!). Questa corrente ha anche rappresentato una delle basi del pensiero di un signore che si chiamava William Godwin, considerato uno dei pionieri del pensiero anarchico. Non ricordo il minino accenno a lui, a Bentham, o a John Stuart Mill nel mio manuale di filosofia del liceo; peccato. Tornando a citare i Monty Python, le vicende di Brian di Nazareth esemplificano mirabilmente il bisogno umano (o almeno di molti uomini e donne) di seguire un messia che ci dica cosa fare, anche di fronte all'evidenza della sua natura umana e, quindi, fallibile. Siamo piuttosto meschini: ci fidiamo così poco delle nostre facoltà razionali da sentire un costante bisogno di appellarci a una più alta autorità.

E proprio al concetto di una più alta autorità fa riferimento l'espressione che ho scelto come titolo di questo post: the moral high ground è la presunta superiorità morale di cui si appropria chi fa riferimento a principi etici assoluti, percepiti come universalmente validi, spesso senza tener conto di quegli aspetti di una data situazione che renderebbero problematica l'applicazione dei principi stessi, o che potrebbero creare contraddizioni fra principi ugualmente validi.
La violenza è sbagliata. Tendenzialmente, sì. Ma allora sbaglia il poliziotto che spara per fermare un folle armato, allo scopo di scongiurare una strage? La guerra è male. Certo che lo è. Questo vuol dire che abbiamo sbagliato a combattere il nazifascismo? In alcune situazioni si tratta di scegliere il male minore. Oggi alcuni paesi, fra cui l'Italia, sono impegnati in un'operazione militare contro la Libia di Gheddafi; prima di questo intervento il maturo ma ancora pimpante dittatore, per coronare degnamente 42 anni di governo autocratico e sprezzo assoluto del diritto internazionale, stava massacrando quella parte dei suoi sudditi (perchè tali sono, di fatto) che aveva espresso dissenso rispetto alla sua leadership. Dalle alture vertiginose del Mount Righteousness, picco più alto della Cordigliera dei Giusti, un ben nutrito coro ha cominciato prontamente a intonare una selezione di salmi tratti dal Vangelo "laico" dell'antagonismo, fra i quali Vogliono solo il petrolio, Gli Americani sono cattivi e Ora comincia il massacro. Un perfetto esempio del metodo induttivo di cui parlavo all'inizio e della determinazione, conscia o meno, ad ignorare tutto ciò che metterebbe in crisi la propria interpretazione ideologica dei fatti. Sì, il petrolio è stato certamente un incentivo all'intervento, ma l'ONU non approva risoluzioni al fine di consentire di depredare questo o quel paese; gli americani saranno anche cattivi, ma in questo caso non sono stati fra i promotori dell'intervento; infine, cosa più importante, il massacro era già cominciato prima dei bombardamenti della coalizione, ed è stato anzi il motivo per cui le Nazioni Unite hanno approvato prima delle sanzioni contro Gheddafi e la sua famiglia, poi una risoluzione che autorizzava un uso modico della forza per fermare la guerra civile. Una situazione, come si può capire, complessa e delicata. Qual è il male minore, in un frangente simile? Questa è la domanda che dovremmo porci. Se scendete dalla montagna magari ne possiamo anche discutere.

Questi gai quanto minuti giusti scendono giù dai monti della presunta superiorità morale.

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