lunedì 4 luglio 2011

Il garage del sempiterno oblio

Dopo anni di mobilità motorizzata, il vostro Bradipo 
è ridotto a deambulare come un qualsiasi vagabondo...

Ei fu, siccome immobile. La batteria era morta, non si accendeva neanche il quadro. Lo stupore si dipinse sul volto del giovane uomo che lo cavalcava, fiero come se fosse stato in arcione a un purosangue. I due avvocati scrutavano la scena con imbarazzo, senza proferire parola. Il sole, noncurante di cotale tragedia, picchiava imperterrito sulle loro più o meno rade capigliature, come a voler sottolineare che nulla contano, nell'economia dell'Universo, i nostri piccoli, puerili lutti privati. La mano girava la chiave, e poi lesta correva alla manopola dell'acceleratore, affannandosi nel cercare invano di rianimare il caro estinto. Nient'altro che accanimento terapeutico, dettato dal rifiuto della realtà di lui, che non lo volle creder morto. Cercava nello sguardo degli avvocati un appiglio, un cavillo legale, contenuto in chissà quale arcaico codice, che potesse vincolare il suo scooter all'esistenza. Ma la legge degli uomini è imperfetta, e l'opera delle loro braccia soggetta alla tirannia del tempo, che tutto logora e distrugge. E allora si diede per vinto, nascondendo dietro un sorriso emaciato un'incommensurabile angoscia, e il garage condominiale diventò cimitero per quel novello Ronzinante.
Il giovane uomo dalla più o meno rada capigliatura comprese che, da quel momento in poi, avrebbe dovuto contare solo sulle proprie gambe. Ripensò al suo primo motorino, un Sì bianco avuto in una sorta di comodato d'uso tacito e informale da un florido e rubicondo signorotto di campagna, a tutti i chilometri percorsi fra paesaggi campestri, scanditi dagli ulivi e dalle roche grida dei villici messapici; pensò al successore di quello, un vecchio Gilera verde scassato e polveroso, che lo accompagnò per poco meno di due anni, prima di spirare serenamente ad un'età di tutto rispetto; pensò al primo dei due giapponesi, prodotto dalla stessa casa della sua seconda chitarra, sul quale aveva battuto con consumata padronanza dei propri limiti le familiari strade dell'ebbrezza. E, infine, dedicò un pensiero anche a lui, il gigante buono, testimone del suo crepuscolo. Come due amanti che si incontrano tardi, avevano condiviso l'autunno delle loro vite. Lo scooter se ne era andato prima dell'uomo, ed ora lui sapeva con assoluta certezza che non sarebbe mai tornato ad amare.
Oggi il vecchio cammina, con passo incerto e quasi sempre senza una meta precisa. Lo sguardo è perso nel vuoto, gli occhi spenti, le braccia ciondolano come le inutili propaggini che sono, senza un acceleratore e un freno da azionare. Senza un compagno di strada, la sua vita è ridotta a un peregrinare senza meta. Se lo incontrate, non chiedetegli dove è diretto; vi sentireste rispondere l'ovvio. 
"Dove siamo diretti tutti, caro mio: verso il garage del sempiterno oblio."

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