martedì 5 luglio 2011

Il peccato mortale della condivisione

 Allora, uno vorrebbe crogiolarsi nella meschina piccolezza dei propri minuscoli, insulsi problemi privati, e invece si trova a dover scrivere di democrazia, libertà, progresso e compagnia cantante. Che palle. Mi dovete ancora rimborsare un'adolescenza e una giovinezza inservibili, e mi costringete a intervenire su tematiche di interesse comune e di grande delicatezza. Lo so che state attentando alla Costituzione, da parecchi anni ormai, ma non posso mica fare tutto io! Avrò anche il diritto di recuperare ciò che resta della mia vita interiore dallo sfacelo della civiltà occidentale contemporanea? Avrò anche il diritto di visionare, mentre sorseggio il mio caffè pomeridiano, scurrili volatili anglofoni dal turpiloquio facile...o no??? E invece mi si pongono problematiche più grandi di me, di fronte alle quali mi sento piccolo e impotente. E che acciderbolina!

Allora, l'AGCOM, ovvero quella branca della Mafia S.p.A. che si occupa di comunicazione mediatica, ha scatenato un vespaio di polemiche circa una sua delibera, che dovrebbe essere approvata domani, mercoledì 6 luglio. Molti temono che si profili un pericolo per la libertà di espressione, che le idee "scomode" possano essere censurate sul Web. Pur non escludendo questo rischio, io ritengo che il problema principale sia invece un altro: quello della lotta alla "pirateria" e della sua legittimità, o meno.

Da dove nasce tutto questo casino? Forse da una volontà di limitare la libera circolazione delle idee? Beh, il nesso fra le cosiddette libertà civili e il mercato è così forte e radicato nel mondo occidentale da non lasciare adito a dubbi: il rischio di censure tout court è praticamente inesistente. Possiamo pensare, dire e scrivere quello che ci pare, anche perchè esistono colossi della comunicazione mediatica e politica preposti a distribuire le caramelle dell'ideologia dominante alle masse, e uno sparuto numero di voci fuori dal coro non fa paura a nessuno. La questione è altra, a mio giudizio, e riguarda una delle principali aberrazioni del nostro tempo: il diritto d'autore.

Il diritto d'autore, tutelato ovunque da leggi e istituzioni talvolta appositamente create (vedi SIAE), si fonda sul concetto di proprietà intellettuale; un concetto che definirei assolutamente condivisibile. Se io scrivo un libro, una canzone, un articolo su un quotidiano, ho tutto il diritto di apporvi la mia firma, e vedermi riconosciuta la paternità di quell'opera. La proprietà intellettuale, però, non è solo questo. In una società in cui tutto è commerciabile (e dunque alienabile), la proprietà intellettuale diventa merce. Molta gente non è a conoscenza di questo aspetto, e l'ignoranza di un elemento fondamentale delle questione falsa il dibattito. Quando Pinco Pallino pubblica un libro per l'editore Tizio & Caio, firma un contratto in cui cede la proprietà intellettuale dell'opera del suo ingegno all'editore. Quest'ultimo, in base ai termini del contratto, si riserva il diritto di fare l'uso che più ritiene opportuno della merce da lui acquistata: correggere oppure omettere alcuni passaggi (ed esistono infatti figure professionali, i cosiddetti editor, dediti proprio a questo tipo di orrendi crimini), decidere in piena autonomia la veste grafica del libro, le strategie di marketing ecc. Naturalmente, un autore più affermato potrà firmare contratti a lui più vantaggiosi. Ma quello che conta di più è il diritto della casa editrice di vendere l'opera dell'ingegno di Pinco Pallino, corrispondendogli una piccola percentuale del ricavato (royalties). Il diritto d'autore, dunque, non serve tanto a tutelare l'autore, quanto chi acquista la proprietà intellettuale della sua opera.

Ricordate la battaglia combattuta anni fa dai Metallica ed altri "artisti" contro Napster? Fummo costretti ad assistere a strazianti appelli di stramiliardari che pregavano noi, comuni mortali perennemente in bilico sul baratro dell'indigenza, di non scaricare più i loro MP3, perchè la pirateria è un reato. Tremavano le ginocchia, a questi musicanti della minchia, al pensiero di non poter più viaggiare in jet privato, o non poter acquistare la quinta o sesta Ferrari Testarossa. E questo non perchè il file-sharing avrebbe ucciso il mercato musicale (solo un cretino può pensare una cosa del genere), ma perchè avrebbe seriamente ridimensionato l'industria musicale, quel sistema di surrettizia imposizione che fa funzionare il mercato del disco secondo logiche verticali, ovvero dall'alto verso il basso. Il file sharing non danneggiava e non danneggia la musica, come questi quattro accattoni volevano farci credere, bensì chi sfrutta la musica per arricchirsi, facendo pagare i CD prezzi assolutamente esorbitanti e sproporzionati rispetto ai costi di produzione.

Lo stesso discorso vale per l'editoria o il cinema. Quando cominciarono a diffondersi i videoregistratori, alcuni catastrofisti gridarono alla fine della settima arte. Naturalmente, era cambiato soltanto (e solo in parte) il modo di fruire del cinema; ma comunque c'era di che arricchirsi, per cui nessun problema. I programmi p2p, o quelli per scaricare torrent, ovviamente, sono invece il demonio fatto bytes. Non c'è dubbio che questi programmi abbiano fatto e facciano moltissimo per la diffusione del cinema e della musica (e in misura minore della letteratura), certamente di più dei canali di fruizione tradizionali. Permettono a chi lo desideri di conoscere ed eventualmente apprezzare un numero di artisti prima impensabile, se non per gli utenti ad alto ed altissimo reddito. E la gente non ha smesso di andare al cinema o ai concerti. Forse lo fa di meno, ma non è possibile che questo sia dovuto all'aumento del costo della vita (senza un corrispondente adeguamento dei salari) piuttosto che al file sharing? Tutto questo per dire che gli artisti potrebbero tranquillamente convivere con la pratica della condivisione. Chi non ci può assolutamente convivere sono quelle industrie che sarebbero rese superflue e superate dallo sviluppo di un mercato orizzontale, da pari a pari (per to peer). Dopo tutto il baratto non è una forma di scambio? Chi vuole che si consumi secondo logiche verticali, non democratiche, deve necessariamente guardarsi da quel pericolo. E lo fa criminalizzando la pratica, come vedete democraticissima, che lo minaccia. Io, per quanto mi riguarda, non accetto criminalizzazioni. Io, amici miei, sono un pirata e sono un signore.

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