mercoledì 7 dicembre 2011

Il gioco più bello del mondo


 Di ritorno da una serata trascorsa al pub Penny Black, in via Enrico Alvino, per seguire l'ultima e decisiva partita del girone di qualificazione di Champions League del Napoli, mi pare doveroso scrivere poche righe celebratorie. Mi accorgo con disappunto di non avere niente da bere in casa, per chiudere in bellezza la serata; una serata in cui ciò che ho bevuto passa comunque in secondo piano, perchè è di Napoli che mi sono ubriacato.

Brutta, la partita, a dire il vero, almeno per buona parte. Napoli contratto, Villareal orgoglioso e sportivo, deciso a onorare il campo, come è giusto che sia. C'è molto in palio, e si vede. Primo tempo inguardabile, si soffre insieme agli undici in campo. La birra, gli snack al pollo, l'eccellente panino consumato sono un magro contentino. I bei volti di fanciulla che costellano l'ambiente sono una tetra (si spera non profetica) allegoria della speranza delusa, dell'aspettativa frustrata, di ciò che sarebbepotuto essere, e come sarebbe stato bello se, eppure...

Eppure ci sono ancora 45 minuti da giocare, e ne abbiamo di forze da spendere, e soprattutto voglia di vincere. Il sottomarino giallo ormai ha tirato dentro il periscopio, è andato in immersione e ormai pensa solo a difendersi. Il campo è nostro, lo inonda l'azzurro delle nostre maglie, il frastuono del nostro disordinato amore, il calore asfissiante dei nostri sogni. Si potrebbero fare forse analisi tecnico-tattiche, ma chi ne ha voglia, adesso? Ciò che io ho intravisto, attraverso i fumi di un desiderio smodato di vittoria, è stato un leone ferito che ha improvvisamente alzato la testa e aggredito la preda con una zampata terrificante; e poi la calma serafica, assolutamente incongrua con il contesto,  del solito vecchio volpone (eppure non è che un giovanotto pressochè imberbe) che dopo tre quarti di gara in sordina riesce, come spesso capita, a trovarsi nel posto giusto al momento giusto, e a trasformare una deviazione casuale in oro.

Il resto è tripudio. La consapevolezza di aver avuto la meglio su un rivale molto più attrezzato di noi per il passaggio del turno; la soddisfazione nel sentire i giornalisti di Mediaset Premium parlare finalmente di noi come una realtà con la quale TUTTI devono fare i conti. E, perdonatemi se vi sembra che io stia esagerando, l'orgoglio di essere un figlio di questa città e questi colori, perchè il calcio è qualcosa che trascende il rettangolo verde. Vittima di una minorità della quale è responsabile una storia scellerata, certo non io o chi mi è caro, stasera mi prendo il lusso di sentirmi vicente, per una volta. Faccio "ciao ciao" con la manina a sceicchi e affini, e come il proverbiale zappatore mi autoinvito alla festa e ballo pure io (sì, questa analogia l'ho già usata, si vede che mi piace...). 

Getto un'altra occhiata a quei bei volti di fanciulla, che di solito mi appaiono tanto crudeli (tali paiono le donne a chi è solo, come notavano Jim Morrison e Giacomo Leopardi), e non mi sembrano più tanto alieni. Stasera nulla è altro da me, lo spirito di comunione ispirato dall'evento sportivo ha inondato l'intero locale. Tra i crolli strutturali di una vita che cade a pezzi, le picconate di una manovra finanziaria che non lascerà niente del paese che è stato l'Italia, e gli shakespeariani strali della sorte avversa, si intravede un barlume di speranza. E tutto questo per una partita di calcio... Signore e signori, di questo è capace il pallone. Ho imparato la grammatica dei sogni guardando Maradona, Giordano, Bagni, Careca, e continuo a sognare oggi con il Matador, il Pocho, Maggio, Inler... Nel mezzo la vita; contenuta nella forma perfetta di una sfera di cuoio.

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