domenica 3 aprile 2016

Il campanile più alto

Stasera non si parla di scuola. Per una volta tanto, mi dimentico dei miei pargoletti, e vi parlo di qualcosa di ancora più rovinoso e malandato del mondo dei giovani: vi parlo di quello dei vecchi. E se "giovani merda" è una parola d'ordine sacrosanta, non dobbiamo pensare che è tutt'oro quello che bofonchia sul pullman. I vecchi si distinguono in due categorie: quelli che hanno il potere e quelli che sono invecchiati bene. De primi, in questo post, parlerò.

Concedetemi, per pietà, una breve incursione in classe. Sapete perché mi sforzo tanto per insegnare qualcosa ai miei alunni? Perché so che fuori dalla scuola c'è tutta un curricolo informale pronto a traviarli e trasformarli in un gregge di pecore da portare all'infelicità e all'insuccesso collettivi. I pastori di questo gregge sono i vecchi. Non quelli anagrafici, che potremmo definire anche "giovani maturi", ma quelli "ontologici". In essi la vecchiaia è un dato costitutivo, un elemento fondante, non sopraggiunto con il passare del tempo. E te ne accorgi anche se li incontri a vent'anni, che sono vecchi. E ne devi avere paura. But I digress, come dicono a Crispano. Veniamo al punto.

Oggi il Napoli ha probabilmente perso la possibilità di giocarsi il primo posto, grazie a una prestazione pessima contro un avversario motivatissimo ma oggettivamente inferiore. Che le cose non andassero per il verso giusto, in casa degli azzurri, si era cominciato a capire da qualche turno; la pausa pasquale, durante la quale molti dei nostri calciatori sono stati impegnati nelle rispettive nazionali, ha aggiunto ulteriore ruggine, ed è arrivata una sconfitta meritata. Mi addolora constatare che tanti amici diano la colpa all'arbitraggio, quando l'inadeguatezza dell'approccio alla partita dei nostri è stata così palese. Preferirei assistere, in un momento come questo, a reazioni più composte e sportive. Sì, è vero che il campionato di serie A non ha quasi mai uno svolgimento corretto e un esito non falsato da sviste arbitrali in buona o in mala fede. Lo sappiamo bene. Il nostro campionato di calcio rispecchia semplicemente il nostro modo di essere, nel quale il fair play, purtroppo, occupa un posto men che marginale. La colpa è dei vecchi, naturalmente. Loro, tanti e tanti anni fa, hanno costruito i campanili, e a secoli di distanza noi siamo ancora impegnati a fare a chi ce l'ha più alto. Perché? Perché i vecchi, che possano andare tutti a percolato in una discarica abusiva, ce li hanno fatti venerare come totem mentre ci rubavano la gioventù. Sono secoli che lo fanno, e ancora non ce ne rendiamo conto. 

Se vogliamo guardare un campionato pulito, dallo svolgimento regolare, dobbiamo abbattere prima il campanile. E, vedete, il calcio è fra le ragioni meno importanti per cui dovremmo farlo. Per favore, comportiamoci da esseri dotati di moralità, smettiamola di "stringerci a coorte" continuamente in nome della nostra parrocchia, del nostro gruppetto, del nostro branco, e cominciamo a vivere da esseri umani; oppure smettiamo di ripetere "Juve merda" e invocare una giustizia che, a ben vedere, non è altro che difesa del proprio campanile. Basta, per pietà, con questa logica. Si è fatta vecchia.

 

mercoledì 30 marzo 2016

Quando mamma e papà non hanno fatto i compiti


Buonasera a lor signori. Parliamo, tanto per cambiare, di scuola. Tanto ormai lo avrete capito, ci sono fissato. Il lavoro debilita, certo, l'uomo, ma al contempo lo nobilita. Senza il mio lavoro io sarei un coglione dalla rada capigliatura che scrive idiozie su Facebook, strimpella orrendamente la chitarra e consuma le risorse del pianeta. Lo so per certo, perché fino a un paio di anni fa lo ero. 

Dunque, come potreste aver evinto dal titolo, parliamo delle colpe dei genitori rispetto all'indeguatezza scolastica dei figli. Lungi da me assolvere gli orridi mutanti che riempiono le mie classi da tutti i loro innumerevoli vizi, una vastissima gamma di nequizie che va dall'incontinenza al sadismo; piuttosto, mi interessa individuarne le cause scatenanti.

Imparare vuol dire interagire con il mondo, e fin qui non credo di dover dimostrare nulla. Tutti abbiamo un amico o un parente che, dopo un periodo più o meno lungo trascorso all'estero, è tornato in Italia onusto della conoscenza di una lingua straniera. Il malvagio John Peter Sloan, alfiere dell'imparare divertendosi e pertanto nemico naturale di ogni docente di inglese, vorrebbe farvi credere che l'idioma della perfida Albione è tutto una gag. Io, invece, vi dico che lo zio emigrante ha imparato a parlarlo soprattutto grazie all'immenso valore educativo della frustrazione. Il bambino impara a dire "acqua" nel momento in cui la madre decide di dargli da bere fuori dai pasti solo in seguito a una richiesta verbale. Se questa vi sembra una crudeltà, andatevi a guardare due gag del mio nemico e non mi leggete più. Frustrare il bambino, entro certi limiti, vuol dire fare il suo bene. Se lo zio emigrante ha imparato a esprimersi in inglese è stato per soddisfare le sue necessità, per sottrarsi a uno stato di perenne disagio. Ed è per lo stesso motivo che i nostri lontani antenati hanno imparato ad accendere il fuoco, inventato la ruota, ed escogitato sistemi di simboli per rappresentare il linguaggio. La frsutrazione è una sfida, e vincerla ci fa crescere, in ogni senso.

La domanda che scatta a questo punto è la seguente: i genitori vogliono che i loro figli crescano? Sono in grado di volerlo? Vi sembra un quesito strano? Bene, partiamo da lontano. Ve la ricordate la bufala dei gatti bonsai? L'idea di poter distorcere lo sviluppo di una forma di vita a fini estetici, sebbene abbia dei risvolti evidentemente grotteschi, non è così lontana dalla mentalità di molti genitori, sapete. I figli sono qualcosa di loro, quasi come una proprietà personale, da imbottigliare nelle loro aspettative, da assoggettare alle loro dinamiche, e soprattutto da esibire. E, in un'epoca di infelicità tragicamente dilagante, la prima cosa da esibire è proprio la felicità. La persona che non ha strumenti di analisi adeguati confonde la frustrazione di cui si parlava prima, quella che può essere vinta, con un altro tipo di frustrazione, perenne e strutturale, e cerca disperatamente di sottrarsi, e sottrarre coloro che ama, al malessere più tetro, soddisfacendo immediatamente ogni pulsione soddisfacibile. In breve, pratica il consumismo. Lo pratica in ogni ambito della vita sociale in cui gli sia possibile praticarlo. Dal momento che ormai la scuola è un servizio erogato ai singoli, non più alla collettività (con tutto il carico di responsabilità sociale che ne conseguiva), lo pratica anche nel rapporto con quella e con gli altri enti formativi.

Ecco qui, caro/a signore/a, perchè tuo/a figlio/a non impara. Non sa gestire la frustrazione, e non sa distinguere quella buona da quella cattiva. La colpa dei suoi insuccessi ha dunque un peso insostenibile, che lui o lei getterà immediatamente e immancabilmente sul docente. E tu, povero/a imbecille, lo/a asseconderai. E continuerete a comprare un sollievo effimero quanto incompleto, per tutta la vita. Gli comprerai l'iPhone, e in modo non dissimile gli comprerai un titolo di studio che senza "aiuto" non riuscirà mai a conseguire. Lo/a hai allevato al fallimento e all'incapacità di capire perché fallisce. L'impreparato che ti ha mandato su tutte le furie, mettitelo in testa, è tuo prima che suo.

 

mercoledì 23 marzo 2016

Tertium non datur

Da un po' ormai latito dalle lunghe, estenuanti discussioni sulla politica nazionale a cui per un periodo mi sono dedicato su Facebook. La ragione è semplice: adesso ho modo di agire, in una professione secondo me cruciale nel forgiare il futuro di un paese, laddove prima non mi era concessa che un'inane chiacchiera. Oggi, come insegnante, io esercito un potere, che non è certo quello di scrivere numerini su un registro (e non mi sorprende che quegli alunni e quei genitori che ci vedono solo in tale veste ci considerino dei coglioni); il vero potere di un insegnante sta nell'opportunità che ha di risvegliare il senso critico dei suoi alunni, facendoli uscire dal dogmatismo e dal feticismo di nozioni morte che puzzano di cadavere.
 
Per questo, cari i miei loro, non parlo più di politica su Facebook. Preferisco dedicare le mie energie al lavoro, un'ora del quale vale più di mesi di sterili ciance. Questo perché sono i fatti, come si suol dire, che contano. I trionfi intellettuali ci danno soddisfazione, ma lasciano il tempo che trovano. E, soprattutto, i trionfi intellettuali spesso si realizzano in un nichilismo che nega ogni prassi, mentre conserva una purezza inutile quanto puerile. 
 
Eppure, di tanto in tanto, mi ritrovo taggato in qualche discussione. Ed ora che sono in vacanza, il vuoto temporaneo lasciato dai miei amati mostriciattoli dalla mente virginea come la prima neve deve essere occupato.Torno a chiedermi, dunque, perché ce l'avete così tanto con il M5S. Non sarà mica che anche voi vi siete chiusi nella cieca venerazione di nozioni morte che puzzano di cadavere? Perché, se guardiamo i fatti, la situazione è estremamente semplice: esiste un establishment politico che ha affossato questo paese, da qualunque prospettiva si voglia guardare la cosa. Per fermarlo, prima che ci riduca ancora peggio di come siamo ridotti, occorre una forza che coaguli intorno a sé consenso di massa. Questa forza, oggi, può essere solo il M5S. Non ne esistono altre, né è ipotizzabile che ne sorgano, nella situazione attuale. Chi vuole agire politicamente (agire, non elucubrare) oggi in Italia, deve necessariamente muoversi nella scia di questa forza, se non dentro di essa. Questo perché oggi in Italia l'unico tema generativo, per usare un'espressione mutuata dalla pedagogia, è l'onestà. Tutto il resto è chiacchiera liturgica. E l'onestà è una delle facce della giustizia. Fino a quando non si affermerà nel senso comune dell'italiano la necessità di rispettare delle regole, e di pretenderne il rispetto da chi gestisce il potere politico, qualsiasi cambiamento significativo sarà impossibile. 

Dunque, scegliete fra una visione opportunistica, vile e parassitaria della politica, e una imperfetta, eterogenea, contraddittoria forza di opposizione con una leadership discutibile. Tertium non datur. La vostra superiorità analitica e morale non ha valenza politica, e se non siete stupidi lo capite bene. O 1 oppure 0. O ti mangi questa minestra o ti butti dalla finestra. O ti tieni la classe politica della "buona scuola", o li mandi a casa. Tertium non datur. O resti a sviluppare raffinatissime costruzioni mentali mentre ti smantellano il paese intorno, o smetti di sedere e rimirare, e ti sporgi per guardare cosa c'è effettivamente oltre la siepe. Vedrai, esimio professore, un popolo esausto e moralmente distrutto. Se gli vuoi parlare, comincia da ciò che gli sta a cuore; oppure continua a parlare di lui, e mai con lui. O l'una o l'altra. Tertium non datur.

martedì 1 marzo 2016

Guai ai vinti!

Una volta esisteva una chiara differenza fra Destra e Sinistra. Al di là di ogni possibilità di confusione o di convergenza sul piano teorico, c'era un elemento che le distingueva immediatamente nel discorso quotidiano, informale, non accademico. Si trattava di un aspetto "sentimentale", sebbene indubbiamente collegato a una Weltanschauung precisa e strutturata: la Sinistra aveva pietà dei vinti. 
Quel signore che getta la spada sulla bilancia, facendola ulteriormente abboccare a danno dei poveri Romani, è Brenno. Nel 390 a.C. assediò l'Urbe, riducendone la popolazione allo stremo delle forze, fino a che non fu raggiunto un accordo per il pagamento di un tributo aureo da parte dei nostri antenati. Secondo le fonti romane, la bilancia con cui fu pesato l'oro da consegnare a Brenno era stata truccata dai Galli. Alle italiche proteste, il baffuto duce ribattè compiendo il suddetto gesto e pronunciando la frase riprodotta nel fumetto, e che io ho scelto come titolo di questo post.
Dov'è la ragione di Brenno? Nella forza. Nel mondo antico, il forte ha ragione e il debole ha torto. Ciò che distingue il debole dal forte, in quel momento storico, è il valore militare. In altre parole, chi ha il vigore e l'abilità necessarie per annichilire le ragioni dell'altro trionfa. Se sia giusto o meno questo principio lo lascio giudicare a voi, o augusti lettori.
Che differenza passa fra il mondo di Brenno e Furio Camillo e il nostro? Ecco, quando ci spostiamo dal passato al presente abbiamo subito un evidente vantaggio: la disponibilità di fonti dirette. Andate a fare un giro nei quartieri della vostra città abitati dagli immigrati, dalla "classe meno abbiente",  da chi oggi è assediato da parte di una forza al cospetto della quale le truppe di Brenno fanno sorridere. Poi accendete la televisione o leggete un giornale. Ecco, basta tanto a capire chi sono i forti oggi, e su cosa si fonda il loro diritto. Un diritto declinato in svariate forme, ma sempre riconducibile all'archetipo di tutti i diritti borghesi, cioè quello alla proprietà dei mezzi di produzione. Di tutti  i mezzi di produzione. Anche un utero, un ventre, sono mezzi di produzione. Guai ai vinti, che per sopravvivere all'assedio dell'altrui diritto sono costretti a gettare finanche la propria carne su una bilancia che insulta la giustizia quanto la pietà.

domenica 14 febbraio 2016

L'importanza di essere membro esterno

Cari amici, rieccomi a voi. Reduce da una tornata infernale di scrutini, in cui immancabilmente si apre il vaso di Pandora della italica pubblica distruzione, torno a rendere conto degli usuali orrori. Per me, titolare di supplenza su sei classi del triennio, l'orrore in questo momento si chiama 5A e 5C. Costoro, perlopiù ignari di quasi tutto lo scibile umano, dalla scoperta del fuoco in poi, formano un Calibano collettivo che provoca la rabbia del docente nel vedersi rispecchiato in cotanta turpitudine. E neppure sperano di affrancarsi un giorno dalla loro schiavitù, della quale non hanno percezione alcuna. Pascono beati nei prati dell'indeterminatezza come l'agnellino di Blakiana memoria, allietando le verdi vallate con i loro placidi belati. Bene, che belino pure.

V'è stato un tempo in cui il pedagogo si dannava, strappandosi per la disperazione quella rada peluria che ancora gli ricopre il capo, nel tentativo di ridestare nei fanciulli una prometeica scintilla di ribellione alla Vita nella Morte che vinse ai dadi l'antico marinaio di cui cantava il buon Coleridge. Non è stato sempre così serafico, il vostro Bradipo, di fronte all'inerzia dei neuroni che lo fissavano da quegli occhi vitrei, come di squalo. Ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a strappare segnali di vita senziente a quei ricettacoli di inanità. Ogni suo tentativo si scontrava con l'impenetrabilità, l'imperturbabilità, l'irremovibilità di quei corpi virtualmente privi di vita, dando luogo a un penosissimo effetto Has Fidanken.  

Ma tutto questo, ormai, è solo un brutto ricordo. Il commissario di Lingua e civiltà inglese, quest'anno, al Liceo Artistico, sarà esterno. A qualcun altro toccherà sedersi di fronte a questi ruminanti e ascoltarli violentare la morfosintassi e la logica, mentre un sudore gelido gli imperlerà la fronte a dispetto del caldo estivo. A me toccheranno altri ebeti ruminanti, altri placidi ovini, altri atarassici canidi. Non sarà meno madida la mia fronte, ma almeno, per Giove, non dovrò fingere che Has Fidanken sia dotato di talento. E questa è, in poche parole, l'importanza di essere membro esterno.

giovedì 21 gennaio 2016

Ricchiòòòòòò!!!!!

Signori, qua il fatto è serio. Non sono più i tempi in cui tutto era lecito fin quando non si mettevano le mamme in mezzo; oggi il linguaggio è una selva di divieti e trappole. Puoi dire a qualcuno, ad esempio, che è la schiuma di mezzo alle pacche dei cavalli di Bellomunno quando arrancano sulla salita di Capodimonte sotto il sole di Agosto, trainando un morto chiattone, e nessuno avrà molto da eccepire; ma prova a mollare il classico "ricchione" e sarai subito nell'occhio del ciclone. La rima non era voluta, è che non so scrivere. Non c'è neanche bisogno di pronunciarlo con quella carica di disprezzo di quando uno dice "sì 'nu ricchione 'e mmerda!". Qui anche un ricchione semplice, un frocio o un finocchio, è passibile di gogna. Ma che ci sarà mai di offensivo nell'essere ricchione? Niente. Infatti, ormai nessuno che abbia completato la terza media ti chiama più ricchione per denigrare la tua omosessualità. Ad esempio, se io trovo dopo mille giri a vuoto un posto auto e faccio per entrare, ma vengo preceduto all'ultimo momento da un  astuto lestofante, potrei esclamare "ma tu vide a 'stu ricchione!", pur non avendo alcun elemento probatorio sul quale basare la mia ingiuria. Se lo chiamassi "figlio 'e zoccola", il ragionamento da fare sarebbe lo stesso. Le probabilità che io conosca la madre dello stronzo in questione, in una grande città, sono scarse. Succede che a volte usiamo certe parole ed espressioni in un modo che abbiamo ricevuto in eredità dal passato, quando i padri prendevano i figli a cinghiate e il delitto d'onore era punito con minore severità di un furto d'auto.

Ma una cosa è vera, nel mondo del calcio c'è tanta omofobia. La mia teoria, che forse troverete irrispettosa e irriverente, o forse bislacca, è che non possiamo dare tutta la colpa agli scostumati che spostano con la bocca. Un po' di responsabilità ce l'hanno anche i responsabili del design e del marketing (due parole discretamente gay, a mio parere), che hanno arricchiunito il meraviglioso giuoco del calcio. Ecco le mie umili proposte per riportare un po' di ommità nel mondo dell'arte pedatoria e così contrastare l'annoso problema dell'omofobia sul rettangolo verde:

- Abolire gli scarpini colorati. Cioè, voglio dire, porti lo scarpino fucsia e poi ti sorprendi se ti danno del buliccio? A questo punto mettiti il tacco dodici...

-  Decretare per legge che la superficie esterna del pallone deve essere composta tassativamente da pentagoni di colore nero ed esagoni di colore bianco; o, ancora meglio, presentare una colorazione omogenea, quella del bruno, ruvido cuoio non verniciato. Ommità a manetta.

- Togliere i nomi dei giocatori dalle maglie. Che cos'è questo vezzo da prime donne? Maradona non aveva scritto niente sulla schiena, ma la gente sapeva chi era. Certo, se sei un fesso qualsiasi rischi che nessuno ti riconosca quando tocchi palla. Ma se sei un fesso qualsiasi, perchè ricordarlo continuamente a tutti?

- Le maglie stesse devono essere in lana per i tempi freddi e in cotone - rigorosamente non acetato - per quando fa più caldo. Saranno ammesse solo tinte unite e strisce. Se guardando la divisa sociale in controluce si riesce a intravedere femminei ghirigori, il club riceve una penalizzazione di 10 punti.

- Ai giocatori non sarà consentito lamentarsi o restare a terra per più di cinque secondi, a meno che non abbiano subito un infortunio grave. Nel caso in cui un perito medico super partes dovesse verificare che il calciatore sta simulando, procederà con un apposito randello a procurare l'infortunio, e ristabilire così un clima di leale virilità.

- Per finire, gli arbitri torneranno a indossare la casacca nera e saranno diffidati dal sorridere. Un arbitro come si deve è brutto, cornuto e di estrema destra. 

 

giovedì 7 gennaio 2016

Un bastimento carico carico di...

Immaginate, cari lettori, un bastimento carico carico di affiliati ai Casalesi, ultras dell'Atalanta, borgatari romani, sottoproletari semi-analfabeti del profondo Veneto di quelli che tirano sassi dai cavalcavia, pluriomicidi della Locride e sicari di Cosa Nostra. Immaginate che questo bastimento carico carico di merda approdi nel porticciolo di una tranquilla cittadina norvegese. Quanto tempo impiegherebbero, secondo voi, i suoi occupanti per ridurre la suddetta cittadina a una landa desolata e devastata, in cui la gente si chiuderebbe in casa per paura di essere accoltellata, derubata, stuprata, torturata senza motivo, e mangiata viva? Magari questi infelici si lamenterebbero, naturalmente sottovoce, dell'arrivo degli italiani. E sbaglierebbero. Perché è evidente che in un caso simile non sarebbero gli italiani ad essere arrivati, ma la monnezza degli italiani.

Mi rendo conto di essere ripetitivo, ma certe contraddizioni sono diventate così lampanti, e la dimostrazione del fatto che io avevo ragione è così chiara, che non posso fare a meno di venire a riscuotere la mia vincita. Il sindaco di Colonia, una donna, ha invitato le sue concittadine a non vestirsi in modo vistoso per evitare molestie: di fronte al pericolo di un'ondata di razzismo, ha ritenuto preferibile enfatizzare le responsabilità delle donne, piuttosto che la bestialità di certi uomini. Se questa dichiarazione fosse stata fatta in un'altra città e in un altro momento, apriti cielo. Ma è stata fatta adesso, a Colonia, in un contesto in cui il migrante (categoria generica, guai a fare distinzioni!) è sacro, e anche la donna, di solito (giustamente) tutelata con particolare attenzione, è sacrificabile sull'altare della "multiculturalità". In buona sostanza, se ti metti la minigonna oggi a Colonia e uno qualsiasi degli animali che sono entrati in Germania nel votta votta della scorsa estate ti violenta, "te la sei cercata".

Vi stupite? Vi indignate? Pensavate che nel votta votta in questione ci fossero solo poveri profughi siriani in fuga dall'orrore della guerra? Ma ci siete mai stati allo stadio? Ma li avete fatti i tre giorni? Ma non lo sapete che una fetta ragguardevole della specie umana fa schifo al cazzo e non aspetta altro che un'occasione per dimostrarlo? Figuriamoci, poi, in una situazione in cui saltano tutti i controlli. Questa è la multiculturalità, non l'Erasmus a Barcellona. L'Erasmus non serve ad arricchire trafficanti di esseri umani, non serve alle organizzazioni criminali per muovere merce e manovalanza, non serve ai padroni a indebolire la posizione contrattuale dei lavoratori. Serve, quello sì, a scambiarsi esperienze e confrontarsi, venendo a contatto con altre culture. Tutte cose, come vedete bene, inutili, se non come spot pubblicitario. La "multiculturalità", quella seria, è un'altra cosa: è un bastimento carico carico di merda.