venerdì 17 dicembre 2010

Nè con don Saviano nè contro don Saviano


Ah, che bello poter finalmente discutere di qualcosa che non sia sempre il solito Napoli o un generico malessere privato. Con la vita politica ormai ai minimi storici dell'Italia repubblicana, i movimenti si impadroniscono delle strade e, nel bene e nel male, fanno parlare di loro. Come accade di norma ogniqualvolta gruppi numerosi di persone si riuniscono in un qualsiasi luogo, per un qualsiasi scopo, sono scaturite tensioni e si sono innescate dinamiche potenzialmente pericolose. Martedì pomeriggio, a Roma, nella zona di Via del Corso/P.zza del Popolo, queste dinamiche sono sfociate in tafferugli piuttosto violenti fra manifestanti e forze del (dis)ordine. Come è ovvio nell'era della comunicazione e dell'high-tech, questi scontri sono stati ampiamente documentati con video e fotografie. Abbiamo visto i sanpietrini, le bombe carta, i fumogeni, e poi i manganelli, le suole degli anfibi e addirittura la pistola di un finanziere che, a dirla tutta, non aveva l'aria di essere molto presente a se stesso mentre la brandiva, anche perchè aveva subito un discreto cappottone a base di calci, pugni e colpi di bastone. Fatemelo dire subito: è stato un errore. Se porti centomila persone in una piazza non hai bisogno della violenza per avere visibilità. Inoltre, dare addosso ai servi per colpire il padrone non ha il minimo senso: per quanto Ignazio La Rissa ieri sera si prodigasse in complimenti e leccate di culo ai poliziotti che per 1200 euro al mese devono fare quel lavoraccio e devono anche prendersi gli insulti e le botte, la verità è che non interessa a nessuno se un povero cristo che non ha trovato di meglio per guadagnarsi da vivere si rompe la testa. Condanno quella violenza, senza attenuanti.
Ora che ho messo in chiaro la mia posizione, vorrei però far notare come quelle intemperanze, tra l'altro frutto di una esasperazione che chi ha il sederino al caldo (metaforicamente, in questo gelido inverno...) difficilmente può capire, hanno fatto passare in secondo piano (se non terzo o quarto) le ragioni della protesta. La situazione insoddisfacente della ricostruzione all'Aquila. La gestione tragicomica dell'emergenza rifiuti a Napoli. E, dulcis in fundo, una riforma dell'istruzione così cattiva da aver messo d'accordo studenti, ricercatori e docenti nel condannarla.
Non sono così ingenuo da non capire che i movimenti spontanei, quelli non pilotati da partiti o altre istituzioni politiche o economiche, fanno paura. Fanno paura a tutti coloro che esercitano un potere, la cui gestione o la cui stessa legittimità potrebbe essere messa in discussione. La stampa non fa eccezione. Un giornale come Repubblica, che conduce una battaglia quotidiana contro Berlusconi e il centro-destra, martedì e nei giorni seguenti si è prodigato nel mostrarci la violenza dei manifestanti, come se gli scontri con la polizia fossero qualcosa di nuovo e inaudito nel panorama delle lotte sociali. Siccome il PD con tutta probabilità muore dalla voglia di cavalcare questa protesta (così come il PCI nel '90 fa provò a cavalcare la Pantera) per riavvicinarsi alle masse che si è perso per strada durante questi vent'anni di costante degenerazione e impoverimento politico, bisogna isolare i violenti. O, per meglio dire, gli elementi più radicali. Non per aiutare il movimento a esprimersi in modo più intelligente e democratico, ma per imbrigliarlo e strumentalizzarlo. La lettera di don Saviano agli studenti , così come la salita di Bersani sul tetto della Facoltà di Architettura di Roma, rientra esattamente in questa logica.
Non è sulla condanna della violenza che dissento; avete letto la mia, poche righe fa. Quello che vorrei discutere è se sia opportuno o meno di usare il tuo spazio su un quotidiano che orienta l'opinione della sinistra moderata per criticare gli errori di un movimento che, sebbene passibile di critiche, è nato per opporsi a ben altre violenze. Un approccio che conosciamo bene, perchè è lo stesso che i sionisti in genere (fra cui lo stesso Saviano) usano per giustificare alcune politiche e iniziative militari di Israele: si mostra il palestinese (magari bambino) che lancia la pietra contro il blindato, e questo serve per instaurare una narrativa distorta, che catapulta lo spettatore nel mezzo dell'azione senza fargli lo "spiegone" di quello che è successo prima. Un po' come se ci mostrassero Otello che soffoca Desdemona senza farci capire cosa lo ha portato a farlo; certo che così Iago ne uscirebbe pulito. Dalle testimonianze dei contemporanei sappiamo che gli spettatori partecipavano molto attivamente alle rappresentazioni dei drammi di Shakespeare, in un'epoca in cui non esistevano molte altre forme di intrattenimento oltre al teatro, e quindi questo era rivolto a persone di ogni estrazione sociale. Pare che in più occasioni qualcuno dei più esagitati fra il pubblico provasse addirittura a salire sul palcoscenico per aggredire fisicamente il rancoroso veneziano. Le ingiustizie, si sa, suscitano indignazione e rabbia nell'animo umano. E se può tanto la rappresentazione di un'ingiustizia, un torto vissuto in modo indiretto, stiamo a meravigliarci che in mezzo a una folla di persone private della loro dignità e del loro futuro ce ne fossero alcune decise a sfogarsi contro i bersagli che avevano a disposizione? Ripeto, a scanso di equivoci, che questo metodo di protesta io non lo condivido. Ma perchè non parliamo di Iago? Di questo governo vergognoso, e di quello che ha fatto e continua a fare al nostro paese? Di un'opposizione preoccupata solo di limitare i danni, di non essere travolta dal fiume in piena delle "invasioni barbariche", di questa merda di pensiero unico, mentre da tre anni abbiamo sotto gli occhi i penosi limiti dell'ordine mondiale che quella "cultura" ha prodotto?
Roberto Saviano, mo' due parole te le voglio dire pure io che sono l'ultimo stronzo (a differenza dello sceicco Beige). Ti ho stimato tantissimo quando ho letto Gomorra. Era qualcosa di nuovo, un modo di parlare di camorra che non era più quello freddo e distaccato del bollettino di guerra, o semplicemente ricostruzione giornalistica dell'attività poliziesca e giudiziaria di contrasto alla criminalità. Tu ci hai portato negli atelier (in inglese li chiamano sweatshops e mi suona meglio) dove cinesi e napoletani si contendono il lavoro che offrono loro i grandi marchi, a nero e per pochi soldi, per poi rivenderne i prodotti a caro prezzo nelle boutiques, o addirittura farli indossare a una Angelina Jolie per una serata di gala. Ci hai portato in mezzo alla guagliunera di Casal di Principe e di Scampia, ci hai fatto capire che vuol dire per loro entrare nel Sistema o imbracciare un Kalashnikov. Ci siamo fatti una pisciata sui sogni di onnipotenza di quel boss che voleva essere Scarface, proprio nella piscina della sua villa sequestrata e poi data alle fiamme perchè nessun altro potesse occuparla. E che tu avessi da dire qualcosa di nuovo lo hanno capito milioni di persone in tutto il mondo, persone che grazie a te ora sanno cosa è veramente Napoli, e cosa è l'Italia.
Poi sono arrivate le minacce, la vita sotto scorta, e l'assalto di un altro sistema alla tua immagine pubblica. Hai cominciato a scrivere articoli per Repubblica, l'Espresso e compagnia bella, tutti deludenti, banali, buonisti. Quella rabbia, quel bisogno di dare voce a chi non ce l'ha, quella cazzimma di cui parlava Pino Daniele (lo cito di nuovo, ma è sempre un Pino d'antan) quando diceva "aiza 'o vraccio 'e cchiù, pe nun te fà 'mbruglià, e dalle 'nfaccia senza te fermà"; tutte queste cose ti hanno abbandonato. Avevi paura, comprensibilmente, che ti facessero fuori. E allora ci hai pensato tu: hai ucciso quella voce solista che faceva tanta paura. Sei entrato nel coro, ti sei preso lo spartito che ti hanno dato, e adesso canti la stessa canzone che cantano tutti gli altri benpensanti, quelli che scrivono un libro all'anno e vendono 5000, 10.000 copie, perchè parlano a una sparuta minoranza di bravissime persone con un alto livello di istruzione e dal reddito in genere medio-alto che non vedono altra soluzione ai mali della nostra società al di fuori di una constatazione ciclica e fine a se stessa del malcostume e della corruzione. Bene, questa è stata la tua scelta, e io posso dirmene deluso, ma non certo metterne in discussione la legittimità. Però allora anche tu astieniti dal parlare di cose che non ti appartengono più, da cui tu stesso ti sei voluto allontanare. Non sei più uno scugnizzo, non sai più stare per strada, non sai più cantare il blues. Sei diventato un prete. E allora, visto che i pulpiti non ti mancano, fai pure i tuoi sermoni. Ma, per carità di dio che non esiste, non li fare a chi, per dirla con Guccini, ha sempre avuto, e sempre avrà contro, "gli dèi, i comandamenti ed il dovere". Quelli, Robè, sono scugnizzi, e tu con loro non ci accocchi più niente.

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